È morto Hugh Hefner, il fondatore di Playboy
Aveva 91 anni, ora lo associamo soprattutto a donne nude molto più giovani di lui: ma cambiò le riviste e fu un simbolo della libertà contro il moralismo borghese
Mercoledì 27 settembre Hugh Hefner, fondatore di Playboy, la rivista erotica più famosa al mondo, è morto a 91 anni, nella sua casa vicino a Beverly Hills, la celebre “Playboy Mansion”. La notizia è stata data dalla sua società, la Playboy Enterprises.
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Hefner non fu un semplice fondatore e direttore di un giornale: era un famoso personaggio pubblico, a lungo considerato controverso e “di rottura”, e la sua immagine coincideva con quella di Playboy, entrambi simbolo della rivoluzione sessuale, dell’edonismo e del consumismo, insieme al rifiuto del perbenismo borghese americano, del moralismo, dell’intolleranza. Negli anni, scrive il New York Times, Hefner e Playboy «sono diventati entrambi volgari, adolescenziali, sfruttatori, e anacronistici», ma quando Hefner lo fondò nel dicembre del 1953, con una foto di Marilyn Monroe in copertina, i tempi non aspettavano altro.
La prima copertina di Playboy
All’epoca Hefner, che era nato a Chicago, aveva 27 anni, era da poco diventato padre ed era sposato con la prima ragazza con cui aveva fatto sesso, stando a quel che racconta lui, che l’aveva tradito mentre faceva il militare («il momento più devastante della mia vita»). Aveva lavorato come copy pubblicitario per un grande magazzino, poi da Esquire e poi responsabile della vendita di una rivista per bambini, che aveva lasciato per aprire la sua rivista, con i suoi risparmi di 600 dollari, altri 7.000 presi in prestito in giro, tra cui mille dalla madre . Già nel primo editoriale di Playboy profilava una vita un po’ più leggera e gaudente, che poi avrebbe condotto in modo sempre più sfrenato: «Ci divertiamo a mescolare cocktail e qualche stuzzichino ascoltando un po’ di musica sul fonografo, invitiamo qualche ragazza per conoscerla discutendo di Picasso, Nietzsche, il jazz, il sesso».
Sempre nel primo editoriale Hefner scriveva con sornione maschilismo: «se sei un uomo tra i 18 e gli 80 anni, Playboy fa per te», e «vogliamo chiarire fin dall’inizio che non siamo un magazine per famiglie. Se sei la sorella, la moglie o la suocera di un uomo, e hai preso questa rivista per sbaglio, per favore passala a lui e torna al tuo Ladies Home Companion [una rivista femminile]».
Il New York Times spiega che questa figura maschile, un misto tra un macho e un gentiluomo sicuro di sé, era il modello che si affacciava all’epoca, con i film di James Bond e, negli anni successivi, con un presidente giovane come Kennedy e la cultura degli anni Sessanta, la liberazione sessuale, le proteste, la leggerezza, il rifiuto delle regole. Hefner fu subito osteggiato dai moralisti dell’epoca, come J. Edgar Hoover, il primo direttore dell’FBI, e più tardi dalle femministe che lo accusarono di rendere le donne un semplice oggetto – «sono le nostre acerrime nemiche», rispose lui commissionando un pezzo che le screditava – ma Playboy ebbe un grandissimo successo durante tutti gli anni Sessanta e Settanta: nel 1960 raggiunse un milione di copie, negli anni Settanta arrivò al suo massimo di sette milioni.
Hugh Hefner e la sua fidanzata Barbi Benton all’arrivo all’aeroporto di Heathrow (Central Press/Getty Images)
È vero che l’immagine di Playboy è collegata soprattutto a foto di donne nude, giovani, ammiccanti e dedite a compiacere i maschi, ma soprattutto agli inizi non fu soltanto questo: approfittando di guadagni e successo Hefner ne riempì le pagine di articoli di costume, interviste dai toni più leggeri e divertenti a personaggi famosi – come Miles Davis, Bertrand Russell, Malcolm X, Ingmar Bergman, Henry Miller e Cassius Clay –, racconti brevi di scrittori importanti, tra cui Norman Mailer, Vladimir Nabokov, Gabriel Garcia Màrquez, Jack Kerouac, John Updike e Chuck Palahniuk, e illustrazioni di disegnatori importanti (qui trovate una selezione di letture fatta da Slate).
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Hefner divenne milionario, la sua azienda iniziò a occuparsi di cinema, produzione digitale, aprì una linea di vestiti e gioielli, e discoteche, casino, resort in tutto il Paese. Lui invece si separò nel 1959 e si spostò da Chicago in California, dove si fece costruire una villa di duemila metri quadrati, la Playboy Mansion, in cui ospitava molte Conigliette di Playboy e teneva feste pazze lunghe notti intere (ha poi venduto la villa nel 2016 per 100 milioni di dollari). Hefner nel frattempo aveva avuto un altro figlio con la prima moglie, che tradì a destra e a manca, con uomini e donne (si vantò di averne avuto più di mille), per tutto il tempo del matrimonio; nel 1988 sposò la “Coniglietta dell’anno” Kimberley Conrad, di cui era 36 anni più grande e con cui ebbe due figli. Si separarono nel 1998 e nel 2010 si fidanzò con la modella e showgirl Crystal Harris, che lo lasciò a cinque giorni dal matrimonio: quel numero di Playboy aveva Harris in copertina, non ci fu tempo per modificarla e nelle edicole uscì con un’etichetta con scritto “sposa fuggita”. Poi si riconciliarono e si sposarono un anno dopo: lui aveva 86 anni, lei 26.
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Nel tempo Playboy perse questo prestigio e nel 2015 arrivò a vendere solo 800 mila copie. Diventata sempre più morigerata e sorpassata nella sua immagine “trasgressiva”, finì per annunciare nel 2013 che non avrebbe più pubblicato foto di donne nude. Un anno dopo fece retromarcia e il figlio di Hefner, Cooper, che ha 25 anni ed era diventato il nuovo direttore creativo di Playboy, scrisse su Twitter: «Oggi ci riprendiamo la nostra identità e rivendichiamo ciò che siamo».
— Cooper Hefner (@cooperhefner) February 13, 2017
Lo scorso aprile è uscito su Amazon American Playboy, una docuserie in dieci puntate che racconta la vita di Hefner attingendo anche dai suoi archivi, e di cui si è parlato molto bene.