Le critiche al nuovo Codice antimafia

È stato approvato ieri in via definitiva, ma molti contestano la decisione di estendere la confisca dei beni a reati di tipo non mafioso

(ANSA/CLAUDIO PERI)
(ANSA/CLAUDIO PERI)

Mercoledì 27 settembre la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il nuovo Codice antimafia, cioè il testo che stabilisce le norme della lotta alla mafia in Italia. Il nuovo Codice, che sostituisce quello del 2011, è stato approvato con 259 voti a favore, 107 contrari e 28 astenuti: a sostenerlo è stato principalmente il Partito Democratico, mentre hanno votato contro Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia. La Lega Nord si è astenuta. Il testo era già stato approvato nel novembre del 2015 alla Camera, poi era stato modificato lo scorso luglio dal Senato, ed è diventato legge dopo il nuovo passaggio di ieri alla Camera. Il Codice dovrebbe rendere più veloce la confisca dei beni, migliorare il controllo sulle infiltrazioni mafiose nelle aziende, rendere più trasparente la selezione degli amministrazioni giudiziari dei beni confiscati e tutelare maggiormente i posti di lavoro nelle aziende sequestrate; inoltre prevede la riorganizzazione dell’agenzia che si occupa della gestione dei beni confiscati.

Nel dibattito alla Camera c’è stata molta discussione attorno a un particolare aspetto della legge, contestato soprattutto da Forza Italia ma anche da parte del PD e di Alleanza Popolare: il Codice prevede infatti l’equiparazione di reati contro l’amministrazione pubblica, come corruzione e concussione, a quelli di associazione mafiosa. Con il nuovo Codice, in pratica, potranno essere sequestrati i beni di chi è anche soltanto sospettato di fare parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione propria e impropria, corruzione in atti giudiziari, concussione e induzione indebita.

Già con il “pacchetto sicurezza” del 2008/2009 la confisca patrimoniale era stata estesa a reati non strettamente legati alla mafia tradizionale, legati alla criminalità organizzata straniera e all’immigrazione. Il nuovo Codice, però, estende l’applicazione di questa misura anche a reati più comuni, e che per molti giuristi – e per molte forze politiche – non andrebbero assimilati a quelli mafiosi. Sempre il nuovo Codice prevede la possibilità della confisca dei beni nei casi di stalking violento, di favoreggiamento della latitanza e di terrorismo: ma non è intorno a questi punti che si è concentrata la discussione.

Come per i reati mafiosi, anche nel caso di quelli contro la pubblica amministrazione, perché sia disposta la confisca dei beni, l’indiziato deve essere giudicato «socialmente pericoloso», e deve essere riscontrata una disponibilità di beni incompatibile con il suo reddito. Non è però necessario che la persona a cui vengono sequestrati i beni sia stata condannata, e questo è l’altro punto sul quale si sono concentrate le critiche. Renato Brunetta di Forza Italia ha detto che «con la pessima riforma del Codice antimafia siamo al ‘panpenalismo’. Non c’è alcuna distinzione, si porta tutto sul piano penale, senza selezionare le singole tipologie di reato. A nostro avviso quest’estensione del penale a reati che nulla hanno a che fare con la criminalità mafiosa o con quella economica è inaccettabile». Sulla prima pagina del Mattino di oggi c’è un editoriale del giurista Giovanni Verde che definisce il Codice «una legge che offende la libertà», accompagnata da un disegno della Morte (con la falce, proprio).

Non è detto comunque che l’equiparazione di reati comuni a quelli mafiosi rimarrà legge: un ordine del giorno presentato da Walter Verini del PD, da Antonio Marotta e Rosanna Scopelliti di AP e dall’indipendente Stefano Dambruoso, e approvato ieri, prevede infatti che il governo debba «mettere in campo tutti gli strumenti che riterrà opportuni ed efficaci al fine di monitorare e verificare le prassi applicative della legge», con riferimento particolare alla confisca dei beni per i reati contro la pubblica amministrazione. In pratica, il governo è tenuto a controllare come sarà applicata, per poi eventualmente cambiarla se non dovesse funzionare. Secondo i giornali, l’ala renziana del PD non sarebbe molto d’accordo con questo aspetto del Codice e vorrebbe cambiarlo. Non è però facile trovare il modo di farlo: RaiNews dice che potrebbe essere presa in esame una misura all’interno del Milleproroghe, oppure potrebbe essere fatti dei cambiamenti nella legge sulle vittime dei crimini domestici.

Il Codice antimafia prevede molte altre modifiche tecniche al sistema di confisca dei beni, che oltre ad essere stato esteso è stato anche reso più veloce ed efficace, secondo il PD: tra le altre cose, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo potrà proporre quali misure di prevenzione adottare, avendo accesso al Sistema di interscambio flussi (SID) dell’agenzia delle Entrate. Il Codice stabilisce che non è possibile giustificare la provenienza di beni sostenendo che li si è comprati evadendo le tasse, e che se il bene confiscato è stato destinato a finalità di interesse pubblico può essere restituito – nel caso in cui sia deciso così – con un bene equivalente. È stato poi modificato anche il sistema con il quale vengono scelti gli amministratori giudiziari per i beni confiscati e i curatori fallimentari, che non potranno essere «conviventi e commensali abituali» del magistrato che dà l’incarico.

Il Codice introduce anche un procedimento di controllo giudiziario per impedire l’infiltrazione mafiosa nelle aziende: potrà durare da uno a tre anni, e potrà anche essere chiesto volontariamente dalle imprese. È stato poi istituito un fondo di 10 milioni di euro all’anno e nuove misure per aiutare le aziende sequestrate a proseguire le attività, tutelandone i dipendenti. L’Agenzia nazionale per i beni confiscati è stata riorganizzata: avrà 200 dipendenti e sarà controllata dal ministero dell’Interno. Avrà sede a Roma, e sono state estese le sue competenze: tra le altre cose, potrà assegnare i beni confiscati a enti territoriali e associazioni.