“The Handmaid’s Tale” è arrivata in Italia
La trovate da oggi su TIMVISION e se la gioca per essere la serie dell'anno
Da oggi The Handmaid’s Tale – la serie distopica tratta da un romanzo di Margaret Atwood – si può vedere anche in Italia: su TIMVISION, un servizio di streaming che permette di fare un abbonamento di prova di quattro settimane. Negli Stati Uniti The Handmaid’s Tale uscì ad aprile e nel frattempo è stata rinnovata per una seconda stagione: pochi giorni fa, inoltre, la serie è diventata una delle più premiate agli Emmy, vincendo anche il premio per la miglior serie drammatica. The Handmaid’s Tale è una serie di cui si è parlato tanto, per tanti motivi: è tratta da un libro noto e importante (uscito in Italia come Il racconto dell’ancella); tratta temi forti in cui molte persone hanno visto risonanze e possibili parallelismi con certi contesti attuali; più in generale, è una serie ben recensita e di qualità.
A dover scegliere di iniziare giusto un paio di nuove serie l’anno, ci sono diversi motivi per cui questa dovrebbe essere una di quelle. Anche perché, come ha scritto Willa Paskin su Slate, The Handmaid’s Tale «è un terrificante dramma distopico su omicidi e stupri sistematici. Ma è anche, in un certo senso, una serie piacevole da vedere». In altre parole: la serie è piena di concetti, racconti e immagini che potrebbero risultare difficili, ma, allo stesso tempo, è una serie che riesce molto bene a far entrare nella storia chi la sta guardando.
Leggi anche: Tu non sei tua, tu sei una cosa, tu non sei nessuno
Di cosa parla
Margaret Atwood, l’autrice del libro, ha detto che ogni cosa che viene raccontata è in qualche modo tratta da qualcosa che è successa davvero: che sia la Bibbia, un fatto di cronaca o la rivoluzione iraniana del 1978.
La storia è ambientata ai giorni nostri in una società che è quello che un tempo erano gli Stati Uniti, che non ci sono più. C’è un regime estremista e misogino, c’è una guerra di cui si sa poco, e soprattutto c’è il fatto che – per l’inquinamento e altri fattori – le percentuali di fertilità sono diventate molto basse. Tutte le donne sono quindi sottomesse e usate per un fine preciso: alcune di loro, le poche che sono rimaste fertili, sono usate per la riproduzione. Sono le Handmaid, le ancelle, e sono considerate “risorsa nazionale”: vengono assegnate a coppie sterili della gerarchia che controlla il paese e sono animali da riproduzione. Il riferimento ideologico con cui la dittatura giustifica questa istituzione è l’episodio dell’Antico Testamento in cui Rachele, sterile, chiede a Giacobbe di avere rapporti sessuali con la sua serva Bilhah, davanti a lei, e di metterla incinta, in modo da poter avere un figlio attraverso di lei. Tutte le donne sono sottomesse: quelle che non si adeguano vengono torturate o mandate ai lavori forzati. Le Handmaid sono odiate da molte delle altre donne. Come ha scritto James Poniewozik sul New York Times, «ci sono atti di violenza brutali, mostrati o lasciati intendere. Ma la più potente arma di Gilead [il nome di quello che c’è al posto degli Stati Uniti] sono la paranoia e la divisione».
La protagonista del libro, e della serie, è Offred (Of-Fred, cioè Di Fred), chiamata così perché viene assegnata alla casa di un uomo di nome Fred. Offred aveva un marito, che forse è stato ucciso e una figlia che le è stata portata via. Vive da semiprigioniera in una stanza da cui sono stati accuratamente tolti tutti gli oggetti con cui poteva farsi del male. Può uscire pochissimo e sempre in coppia con un’altra Handmaid, per andare a fare la spesa (al supermercato c’è poco perché c’è la guerra, e le etichette sono disegni perché leggere per le donne è reato), ad assistere ai parti delle altre Handmaid e alle impiccagioni. Offred è interpretata da Elisabeth Moss.
Com’era li libro
Margaret Atwood ha 77 anni e Il racconto dell’ancella è il suo libro più noto; ma potreste conoscere anche Occhio di gatto o L’altra Grace (da cui Netflix ha tratto una serie, che arriverà a novembre). Atwood scrisse il libro nel 1985 (in Italia arrivò tre anni dopo, pubblicato da Ponte alle Grazie, che qualche mese fa ne ha fatto una nuova edizione) e lo ambientò in quegli anni. La serie, che almeno all’inizio è molto fedele al libro, è invece ambientata ai giorni nostri: o meglio in un ipotetico futuro distopico successivo – ma non di molto – ai giorni nostri. Quando le protagoniste parlano (di nascosto, perché è vietato) o ripensano a cosa c’era prima, parlano di ISIS e Uber, per esempio. Se avete letto il libro troverete che la coppia di cui Offred è ancella nella serie è molto più giovane. Nella serie ci sono poi diversi personaggi neri: nel libro non c’erano perché veniva detto che il regime fondamentalista al potere li aveva uccisi, o esiliati, anche in quel caso prendendo come pretesto un vecchio riferimento biblico. Molte altre differenze le ha elencate Slate qui.
#MargaretAtwood e “Il racconto dell’ancella” tra serie tv, distopie e zombie: https://t.co/7oVWsORzzW @ponteallegrazie @maurotosca pic.twitter.com/PfOhrZyWcl
— Il Libraio (@illibraio) September 21, 2017
I vestiti e quella che li ha fatti
Una delle cose che si notano fin da subito sono i vestiti delle ancelle, che da soli dicono molte cose sul mondo della serie. Sono rossi perché quello è il colore delle mestruazioni; e ci sono poi dei copricapi bianchi fatti apposta per far sì che le ancelle vedano il meno possibile quello che le circonda, per evitare che altri le “vedano troppo” e per rendere loro difficile anche solo un normalissimo dialogo con un’altra ancella. Le attrici hanno parlato in diverse occasioni della difficoltà di dover recitare in quel modo e la costumista Ane Crabtree ha spiegato di essersi ispirata a diversi abiti di diversi culti religiosi e di gruppi militari (ha detto di aver anche guardato molti filmati di Leni Riefenstahl, che girò diversi film per i nazisti) e di aver anche messo alcuni dettagli che magari nemmeno si notano: i vestiti e gli stivali delle ancelle, per esempio, non hanno lacci; per evitare che li usino per uccidersi.
Fotografia e coreografia
La regista dei primi tre episodi è Reed Morano, che è anche direttrice della fotografia. Già dalle primissime scene della prima puntata si vede una particolare attenzione alle luci (in particolare quelle che entrano dalle finestre) e, più in generale, come ha scritto il New York Times, Morando «ha dato a questo incubo un aspetto sereno e nostalgico che rende il tutto ancora più angosciante. È una crudele dittatura, ma sarebbe perfetta per Pinterest». C’è bel tempo, c’è tanta luce; più Truman Show che Blade Runner, per capirci. Qui trovate un po’ di cose abbastanza tecniche sulle camere usate e su come sono state mosse. Oltre alla fotografia “da film” (da film bello) c’è anche una certa attenzione alla coreografia, alla scenografia, alla disposizione ordinata di cose e persone. Come succede in altri film o serie distopiche, molte cose sono ordinate, organizzate, pulite, messe in fila; le ancelle sono in file di banchi ordinatissimi, formano cerchi quasi perfetti, si dispongono in file ordinate e rigorose.
“Offred”, il primo episodio, è stato premiato agli Emmy per la miglior regia in una serie drammatica, per la miglior fotografia e per la miglior scenografia.
Netflix se l’è fatta scappare, e tanti la invidiano
Ted Sarandos, capo dei contenuti di Netflix, ha detto che «tre o quattro anni fa» presero in considerazione The Handmaid’s Tale ma che «non era nella forma creativa in cui è oggi» e che quindi preferirono puntare su altro. Alcune settimane fa (prima che la serie vincesse nove Emmy) Indiewire intervistò alcuni importanti dirigenti delle più importanti società (canali, servizi di streaming) che producono serie tv. Tra le altre cose chiese loro cosa avrebbero voluto rubare alla concorrenza. Dana Walden, presidente di Fox TV, disse: «Il sesso è oltre il livello che ci permetterebbe di trasmetterlo in tv. Ma a parte questo, potrebbe benissimo essere una serie da tv [cioè da mandare in onda su un canale normale, magari in prima serata]. È raccontata con semplicità, con flashback, con una voce narrante, con un’ottima recitazione». Negli Stati Uniti la serie va in onda su Hulu.
Dal libro fu tratto anche un film, nel 1990.
«Nolite bastardes carborundorum»
È una frase che incontrerete a un certo punto della serie, e diventerà piuttosto importante. Vuol dire «Non lasciare che i bastardi ti calpestino» ed è una frase latina, più o meno. “Più o meno” perché in realtà suona latina ma non lo è; Atwood ha detto che è una frase di quelle scritte scherzando dai giovani studenti che facevano lezioni di latino con lei. Atwood ha detto che se la segnò e ricordò da allora e che, negli anni Ottanta, le sembrò perfetta per la storia che stava scrivendo. È diventato, grazie alla serie e al libro, un motto ben più famoso. Lei ha detto: «È strano, questa cosa della mia infanzia ora è tatuata sulla pelle delle persone».
Ai tempi di Trump
Succede spesso che le persone vogliano dare a film o serie un significato politico; spesso dimenticando che i film richiedono anni per passare dall’essere un’idea all’essere un film in un cinema. Soprattutto dopo le elezioni vinte da Trump, molti hanno fatto a gara a trovare i primi film o le prime serie “dell’era Trump”, i primi a criticarle, a prenderle in giro, a celebrarle, a rappresentarle, eccetera. The Handmaid’s Tale è stata un’idea di serie da molto prima che Trump fosse anche solo un bizzarro candidato alle primarie Repubblicane; ma non c’è dubbio comunque che l’elezione di Trump (e i suoi primi mesi da presidente, e altre notizie dal mondo in quei mesi) siano stati «la più assurda campagna di marketing virale per questa serie».
La serie è anche entrata nel mondo vero, diciamo, quando alcune donne hanno scelto di vestirsi come le ancelle della serie per protestare contro provvedimenti o proteste di legge (per esempio in Texas o in Ohio) che, secondo loro, andavano un po’ troppo verso le premesse raccontate in The Handmaid’s Tale. Se avete altri dieci minuti: un lungo articolo del New York Times in cui, a marzo, Margaret Atwood spiegò “Cosa significa The Handmaid’s Tale ai tempi di Trump“.
"The Handmaid's Tale" inspired a Hulu series. It then inspired a protest movement. https://t.co/Ot24s7WAA6 pic.twitter.com/0plYNoB5XA
— The New York Times (@nytimes) July 1, 2017