Il governo birmano sta bruciando le case dei rohingya per costringerli a scappare?
Sembrano sostenerlo immagini satellitari, video e testimonianze dei membri di una delle minoranze più perseguitate al mondo
Alcune immagini satellitari del Myanmar analizzate da Amnesty International e Human Rights Watch, insieme a diversi video e testimonianze di persone sul posto, sembrano mostrare che le forze di sicurezza birmane stiano attuando una precisa campagna per costringere i membri della minoranza musulmana rohingya a lasciare le loro case e oltrepassare il confine con il Bangladesh. Secondo Amnesty International, il governo del Myanmar – che da decenni nega ai rohingya la cittadinanza birmana, accusandoli di essere immigrati – ha iniziato giorni fa a bruciare sistematicamente le case dei villaggi rohingya, costringendo gli abitanti locali a scappare e rifugiarsi nei campi profughi del Bangladesh.
Due immagini satellitari a confronto della città di Maungdaw, nello stato del Rakhine: quella a sinistra è stata scattata il 30 gennaio 2014, quella a destra il 2 settembre 2017. Secondo Human Rights Watch, il colore viola scuro dell’immagine a destra mostra le case della minoranza rohingya distrutte negli incendi (Human Rights Watch via AP)
Il governo birmano ha detto che in almeno il 30 per cento dei villaggi rohingya dello stato del Rakhine, nel sud-ovest del Myanmar, non ci vive più nessuno: il governo però non si è preso la responsabilità degli incendi e ha accusato i rohingya delle violenze, iniziate tre settimane fa. Le immagini satellitari, ha detto Amnesty International, mostrano che dal 25 agosto almeno 80 grandi incendi sono stati appiccati in diverse zone abitate del nord del Rakhine, dove l’esercito del Myanmar ha avviato una grande operazione militare contro i rohingya.
Due immagini satellitari diffuse da Amnesty International/Planet Labs scattate rispettivamente il 27 agosto 2017 e l’11 settembre 2017: a destra sono visibili gli incendi che hanno distrutto le case dei rohingya nel paesino di Inn Din (Amnesty International/Planet Labs via AP)
Ieri il Guardian ha scritto che le testimonianze che ha raccolto sono compatibili con le conclusioni di Amnesty International sugli incendi provocati sistematicamente dalle forze di sicurezza birmane. Il Guardian, inoltre, ha pubblicato un video ricevuto da alcuni rohingya costretti a lasciare le loro case, diretti verso il Bangladesh, mentre attraversano un fiume portandosi dietro solo pochi oggetti personali. Il Guardian ha specificato che non è stato possibile verificare l’autenticità dei video, anche perché il governo birmano nega ai giornalisti – e a tutti gli stranieri – l’accesso alle aree del Rakhine vicino al confine con il Bangladesh; ha però aggiunto di avere visto almeno due immagini che mostravano dei cadaveri e di avere sentito testimonianze che raccontavano di attacchi casuali e non provocati delle forze di sicurezza birmane sui rohingya costretti alla fuga.
Nelle ultime tre settimane, i rohingya che hanno attraversato il confine con il Bangladesh sono stati almeno 370mila; l’Unicef ha stimato che tra loro c’erano più di 1.100 minori non accompagnati. Diversi governi occidentali e alcune organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani hanno definito quello che sta succedendo in Myanmar una “pulizia etnica” ai danni della minoranza rohingya.
Attenzione, la gallery contiene immagini forti
I rohingya appartengono a una delle minoranze più perseguitate al mondo. Sono musulmani e vivono per lo più nello stato del Rakhine: sono poco più di un milione, in un paese dove la stragrande maggioranza delle persone è buddista. Gran parte delle discriminazioni a cui sono sottoposti i rohingya sono legali e attuate dal governo in maniera ufficiale. Nel 1982, per esempio, ai rohingya fu tolta la cittadinanza birmana, perché il governo li accusava di essere immigrati dal Bangladesh dopo il 1823, anno in cui il Myanmar perse l’indipendenza e divenne una colonia britannica. Non avendo la cittadinanza, i rohingya sono diventati cittadini di “serie B”: hanno grosse limitazioni per quanto riguarda l’accesso all’istruzione – motivo per cui molti di loro hanno soltanto un’istruzione religiosa, a volte di tipo fondamentalista – alla sanità e alla proprietà di terreni. Non hanno nemmeno il diritto di voto, perciò non hanno potuto partecipare alle elezioni del 2015, quelle vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia (NDL) di Aung San Suu Kyi.
Dallo scorso anno la loro situazione è ulteriormente peggiorata: il governo birmano ha infatti deciso di ritirare loro le “carte di identità temporanee”, trasformandoli in apolidi, cioè persone prive di nazionalità.