Cosa c’entra Israele con la guerra in Siria
Per ora non molto, ma le cose potrebbero cambiare soprattutto per quello che sta succedendo al di là delle Alture del Golan
C’è un pezzo della guerra in Siria che finora è stato poco raccontato: gli interventi di Israele al di là del suo confine nord-orientale, oltre le Alture del Golan, parzialmente occupate da Israele dal 1967.
Nei sei anni di guerra siriana, Israele è rimasto per lo più a guardare, facendo quasi solo attacchi mirati contro Hezbollah, gruppo sciita libanese nato proprio in funzione anti-israeliana ma da tempo molto attivo in Siria a sostegno del regime di Bashar al Assad. Qualche giorno fa però è successa una cosa nuova: Israele non si è limitato ad attaccare un convoglio di Hezbollah in Siria, o un suo deposito di armi, ma ha colpito un sito militare del regime siriano di Assad. Non è chiaro perché l’abbia fatto – il governo israeliano, come di consueto, non ha confermato l’attacco – anche se alcuni hanno ipotizzato che nel sito militare attaccato fossero sviluppate armi chimiche, oltre che un progetto iraniano-siriano per migliorare la precisione di missili e razzi da fornire poi ad Hezbollah.
C’è stato un po’ di trambusto, i rapporti tra Siria e Israele sono diventati ancora più tesi, ma Hezbollah e Assad non hanno risposto militarmente all’azione israeliana: è rimasto tutto fermo, almeno per ora, ma in futuro le cose potrebbero cambiare. Partiamo dall’inizio.
Israele confina a nord con il Libano e la Siria. Quella parte di territorio compresa tra due linee tratteggiate nella mappa sotto – a nord-est del lago di Tiberiade – corrisponde alle Alture del Golan, buona parte delle quali è occupata da Israele sin dalla Guerra dei Sei Giorni (1967), nonostante siano rivendicate dalla Siria. Le Alture del Golan sono la zona da tenere d’occhio per capire meglio la strategia israeliana in Siria: Israele vorrebbe tenere lontani da quell’area i suoi nemici, cioè Hezbollah, l’Iran e le milizie sciite vicine all’Iran, tutte forze alleate del regime di Assad. Il problema, come si vede dalla mappa qui sotto, è che ai confini delle Alture del Golan c’è un po’ di tutto.
Israele e Siria confinano per circa 70 chilometri, lungo la maggior parte dei quali sono attivi diversi gruppi di ribelli siriani (in verde); nella punta sud c’è un gruppo affiliato allo Stato Islamico (in grigio), mentre in quella nord ci sono le forze alleate ad Assad (in rosso)
Lungo la maggior parte dei 70 chilometri di confine israelo-siriano ci sono diversi gruppi di ribelli siriani (in verde); nella punta sud c’è un gruppo affiliato allo Stato Islamico (in grigio), mentre in quella nord ci sono le forze alleate ad Assad (in rosso). Finora Israele ha cercato di creare una specie di “zona cuscinetto” di qualche decina di chilometri oltre il confine, già in territorio siriano, per evitare che forze nemiche si ammassino vicino alle sue frontiere. Per farlo ha avviato un programma di collaborazione con i siriani al di là del confine. Il programma si chiama “Buon vicinato”, prevede l’assistenza medica ai combattenti e civili siriani feriti nella guerra, oltre che altri tipi di aiuti umanitari. L’intervento israeliano potrebbe però essere andato oltre: a giugno il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo, molto ripreso, che sosteneva che il governo israeliano fornisse soldi, armi e munizioni ad alcuni gruppi di ribelli siriani anti-Assad per tenere lontane dal suo confine le milizie sciite alleate al regime di Damasco e vicine all’Iran.
Da luglio scorso la situazione di quest’area di confine è cambiata, perché nella zona è stata imposta una tregua tra ribelli e forze governative siriane. Il cessate il fuoco è stato promosso da Russia e Stati Uniti, con la collaborazione del governo della Giordania (che si trova a sud della Siria), ma è stata molto criticata da Israele, per diversi motivi.
Per prima cosa il rispetto dei termini dell’accordo è stato affidato alla Russia, che nonostante mantenga dei buoni rapporti con Israele è anche alleata del regime siriano, a sua volta alleato dell’Iran. Quello dei rapporti tra Israele e Russia è un tema delicato: gli israeliani sono rimasti fuori dalla guerra siriana anche perché negli ultimi anni la Russia aveva garantito loro che avrebbe messo un freno alle ambizioni di Hezbollah in Siria. Da qualche parte però sono stati fatti male i calcoli. Grazie alla guerra siriana, Hezbollah è diventata una delle poche forze veramente vincitrici in Siria. Come ha scritto il giornalista Zvi Bar’el su Haaretz, la Russia ha capito da tempo di non poter gestire Hezbollah e le altre milizie legate all’Iran. Per esempio nelle ultime settimane della battaglia di Aleppo, alla fine dello scorso anno, i russi pensarono di poter far rispettare un cessate il fuoco tra ribelli siriani e governo di Assad senza l’approvazione dell’Iran, il cui governo non era stato coinvolto nella firma della tregua; la Russia si accorse presto che i combattenti legati all’Iran e ad Hezbollah impedivano ai ribelli di salire a bordo degli autobus che dovevano essere usati per le operazioni di evacuazione della parte est della città, come invece era previsto dall’accordo.
Lo scetticismo di Israele non dipende però solo dalla complicata posizione della Russia. Il governo israeliano gradisce poco l’accordo perché potrebbe permettere all’Iran e ad Hezbollah di prendere tempo, di ammassare le loro forze militari appena al di là del confine e prepararsi per una guerra contro Israele.
Gli israeliani non sono i soli a sospettare che gli iraniani siano andati in Siria per restarci: da tempo si parla delle ambizioni dell’Iran al di là dei suoi confini, per esempio in Iraq e in Afghanistan. Negli ultimi due anni il regime di Assad ha ottenuto importanti vittorie militari contro i ribelli siriani grazie non solo alla Russia, che ha salvato Assad nel suo momento di maggiore difficoltà, ma anche all’Iran e alle molte milizie sciite che rispondono al suo governo. L’intenzione dell’Iran sembra essere quella di creare un ampio “corridoio” di influenza che colleghi il territorio iraniano al sud del Libano (da dove cioè Hezbollah lancia i suoi razzi contro il nord di Israele), passando dall’Iraq e dalla Siria. Per Israele questo sarebbe lo scenario peggiore, e molti analisti ritengono che il governo israeliano potrebbe anche intervenire militarmente per evitare che succeda.
Due mappe della Siria a confronto: quella a sinistra è del settembre 2015, quella a destra del settembre 2017. Nel giro di due anni l’ISIS (in nero e grigio) ha perso i suoi territori in Siria settentrionale, che sono stati riconquistati dai curdi (in verde chiaro) appoggiati dagli americani. Le forze di Assad e i loro alleati (in rosso) hanno riconquistato Aleppo, sconfiggendo i ribelli (in verde) e sono avanzate verso est, riprendendo Palmira e rompendo l’assedio a Deir Ezzor. Ai ribelli è rimasto poco: controllano ancora la provincia di Idlib, nel nord-ovest, dove però prevalgono le forze jihadiste su quelle moderate (mappe di Thomas van Linge pubblicate sul blog di Pieter Van Ostaeyen)
Finora le tensioni che coinvolgono Israele sono rimaste in secondo piano, dato che tutto il mondo era concentrato sulle altre guerre combattute in Siria (Assad contro ribelli, curdi contro ISIS, turchi contro curdi, ribelli contro ISIS, e così via). Da qualche mese però le cose sono cambiate: dopo la battaglia di Aleppo, i ribelli moderati vengono dati praticamente per sconfitti, e anche lo Stato Islamico ha perso una quantità enorme di territori. I fronti di guerra sono cambiati, così come i rapporti all’interno dei diversi schieramenti. L’aumento dell’influenza di Hezbollah e dell’Iran in Siria potrebbe spingere Israele a ripensare la propria strategia e a reagire militarmente, nel caso in cui ritenesse la propria sicurezza veramente a rischio.