Appendice al “manuale di conversazione sui migranti”
Abbiamo messo insieme critiche e domande sull'articolo pubblicato sabato scorso, e provato a rispondere
di Luca Misculin – @lmisculin
L’articolo “Manuale di conversazione sui migranti”, pubblicato sabato scorso sul Post, ha generato decine di reazioni fra appunti, commenti, critiche, richieste e polemiche, molte delle quali interessanti e meritevoli di una risposta o di un approfondimento. Qui abbiamo raccolto le questioni principali affrontate nei commenti in questione, e abbiamo provato a dare ulteriori risposte rispetto alle cose già spiegate nell’articolo. Nei box grigi trovate alcuni commenti pubblicati in calce al pezzo o su Facebook.
– La questione dei 3,6 miliardi di euro
Per dire, l’italia è un paese “ricco e industrializzato” ma anche uno dei più “stagnanti e indebitati” d’europa. scegliere la qualificazione dell’oggetto in base al punto che si vuole dimostrare è un po’ facilino… altrettanto lo “0,22 per cento del PIL” speso in soccorso e protezione che viene confrontato con le spese per le forze armate. e perchè mai con le forze armate? sono “solo” 3,6 miliardi di euro, lo dite voi, quindi chessarà mai. eppure per gestire la cosa abbiamo speso più del piano di investimenti UE per l’Africa, che sarebbero dovuti essere 3,3 miliardi fino al 2020, lo dite sempre voi… oppure confrontiamolo con il piano di ammodernamento dei mezzi di vigili del fuoco e ff.oo. contenuto in finanziaria: 70 milioni (non miliardi) per quest’anno e altri 180 fino al 2030. ricordo che i nostri vigili del fuoco sono da anni in condizioni di gravissimo sotto-organico e con mezzi inadeguati.
L’enorme spesa per la sola prima accoglienza dei migranti, che ammonta a 3,6 miliardi di euro, viene capziosamente raffrontata, guarda caso, alla spesa militare. Chiaramente tutto il dettaglio del perché e del percome la spesa militare ha un senso viene omesso con l’unico intento di sfondare una porta aperta nel lettore ideologizzato. Non ti sembra strano che tale somma non sia stata raffrontata alla spesa, chessò io, per la ricerca sul cancro?
Molti lettori sono rimasti impressionati dal dato dei 3,6 miliardi di euro spesi nel 2016 per gestire le operazioni di soccorso e accoglienza dei migranti, e qualcuno si è chiesto se quei soldi potevano essere usati in un altro modo. L’Italia poteva scegliere di non accogliere i richiedenti asilo arrivati via mare, ma sarebbe stato un intervento senza precedenti e dalle conseguenze molto rilevanti. Dato che i respingimenti di massa sono vietati dal diritto internazionale, l’Italia si sarebbe esposta a denunce dei singoli migranti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che in passato ha già condannato l’Italia per singoli casi simili con multe piuttosto ingenti.
È invece legittimo chiedersi per quale motivo l’Unione Europea non contribuisca ancora di più al soccorso e all’accoglienza, visto che quella dei richiedenti asilo in arrivo dell’Africa è una questione che riguarda un po’ tutti gli stati dell’Europa occidentale.
– Migranti e lavoro
Qualcuno sa che cosa vanno a fare i migranti una volta arrivati in Italia? Mi interesserebbe avere delle statistiche serie su quale è la % che trova un lavoro onesto.. e quale % non lo trova.
I dati più precisi che abbiamo sui migranti arrivati negli ultimi anni si riferiscono solo agli ospiti delle strutture SPRAR, che sono considerate lo strumento più efficace per l’inserimento in società dei richiedenti asilo ma che ospitano una percentuale marginale di loro (nel 2016 sono stati 34mila). Secondo un rapporto sul funzionamento degli SPRAR (PDF) nel 2016 sono stati attivati 5.673 tirocini lavorativi, e hanno trovato lavoro 2.842 ospiti. Sono numeri piuttosto bassi, ma va tenuto conto che l’inserimento lavorativo spesso arriva al termine di un percorso di anni che prevede almeno un ciclo di istruzione e la progressiva integrazione sul territorio della singola persona.
Il rapporto annuale sull’impatto degli stranieri nel mercato del lavoro in Italia, pubblicato poche settimane fa, contiene altri dati rilevanti anche se più generici. Il tasso di disoccupazione degli stranieri extra-UE che vivono in Italia è alto ma non altissimo, ed è in calo dal 2014: nel 2016 è stato del 16 per cento, superiore di circa cinque punti rispetto alla media nazionale.
Altri dati interessanti – e più preoccupanti – sono contenuti nella sintesi del rapporto dell’anno scorso, che fa riferimento a dati del 2015:
Tuttavia, elevati sono altresì i tassi di disoccupazione per marocchini (25,4%),
pakistani (24,5%), tunisini (23,5%) e albanesi (20,2%). È la condizione delle donne extracomunitarie a rappresentare uno degli aspetti più problematici della dimensione socio-lavorativa. Il tasso di disoccupazione delle donne pakistane (67,3%), egiziane (62,1%), tunisine (44,1%) e ghanesi (37,2%) è elevatissimo, ma ben più complesso e pervasivo è il fenomeno dell’inattività. I tassi di inattività per le donne originarie del Pakistan, dell’Egitto, del Bangladesh, dell’India superano, infatti, l’80% a fronte di una media nazionale del 60,2%.
– «In realtà vorrebbero venire tutti qui»
Questo capitolo minimizza il fenomeno migratorio africano sostenendo che si tratti di poche persone e che sia un fenomeno assolutamente gestibile facendo uso di un grafico fuorviante e di considerazioni capziose. Anzitutto le migrazioni africane negli anni ’60, quando esisteva la cortina di ferro e quando persino la maggior parte degli europei non aveva mai preso un aereo sono assolutamente marginali e limitate ai residui coloniali: ciò che conta è il trend preoccupante degli ultimi anni, il dato storico è fuorviante. Altrettanto fuorviante, ovvio, universale ed irrilevante è il dato sulle migrazioni di prossimità: ciò che ci interessa sapere è quanti africani o migranti in generale hanno intenzione di trasferirsi in Europa. Il fatto che centinaia di migliaia di africani si siano riversati in Europa negli ultimi anni nonostante il costo, le difficoltà ed i pericoli della traversata è un segno evidente che il loro numero ammonterebbe a milioni di persone nel caso dei “corridoi umanitari” e nell’ipotesi dell’assenza di restrizioni.
Questo commento pone delle domande legittime, ma non tiene conto di alcune cose. Innanzitutto, non siamo in grado di sapere quanti cittadini africani “hanno intenzione” di trasferirsi in Europa: i dati che abbiamo a disposizione ci dicono che quelli che lo fanno sono aumentati, ma anche che questo aumento riguarda pochi paesi. Seconda cosa: difficilmente lo status quo cambierà radicalmente. Continueranno ad esistere restrizioni per l’accesso di cittadini e lavoratori stranieri – d’altronde l’assenza di restrizioni è una condizione assai rara nella storia contemporanea – così come alcuni paesi africani continueranno ad essere molto attraenti per i migranti in cerca di lavoro, perché più facilmente raggiungibili: potrebbe essere il caso dei paesi dell’Africa orientale, il cui PIL nel 2016 è aumentato complessivamente del 5,6 per cento.
– Poco spazio ai problemi
Notare che in tutto l’articolo vengono solo citati i vantaggi dati dalla migrazione, non i problemi di criminalità, clandestinità, caporalato, ecc…
Mancano poi i punti forse più sentiti: siamo sicuri che la situazione intorno, ad esempio, alla Stazione Centrale di Milano sia un argomento convincente a favore dell’accoglimento indiscriminato?
Poi come si giustifica il fatto che la popolazione carceraria abbia una componente straniera sproporzionata rispetto alla presenza di stranieri tra la popolazione non “coatta”?
In Italia non esistono dei dati che leghino l’aumento della popolazione straniera a quello dei reati. Uno studio della Caritas del 2009 aveva stimato che il tasso di criminalità degli stranieri fosse leggermente più alto nella fascia 18-44 anni, e che quello degli italiani fosse di poco più alto rispetto a quello degli stranieri nella fascia 45-64. Un altro studio del 2016 rileva che fra il 2004 e il 2014 le denunce nei confronti degli stranieri siano aumentate ma con un tasso minore rispetto a quelle contro gli italiani: nel frattempo, fra l’altro, la popolazione straniera è praticamente raddoppiata mentre quella italiana è leggermente calata.
Diversi lettori nei loro commenti hanno citato situazioni complicate dal punto di vista dell’ordine pubblico: ad esempio quella della Stazione Centrale di Milano, dove ogni giorno dormono e vivono centinaia di migranti, o ancora di Roma o di alcune cittadine che ospitano centri di accoglienza. Parliamo spesso di situazioni molto specifiche e che dipendono più dall’incapacità delle autorità locali di affrontare il problema, perché a corto di risorse o di volontà politica di occuparsene, più che di problemi diffusi a livello nazionale.
– Linguaggio: migranti o immigrati?
Sempre a proposito di definizioni (visto che è un manuale di conversazione penso sia utile avere termini condivisi), chiedo all’autore se può spiegare la differenza tra migrante e immigrato. Personalmente ritengo che se quella data in queste pagine è la più accettata definizione di migrante, essa non può coincidere con quella di immigrato. Secondo l’istat l’immigrato è un residente nato all’estero e di cittadinanza straniera. I cittadini stranieri residenti, cioè gli immigrati, risultano più di 5 milioni nel 2016. Che sovrapposizione c’è tra migranti e immigrati?
Nella lingua italiana la parola “immigrati” indica perlopiù persone che si trasferiscono in un paese straniero in cerca di lavoro. È un termine che spiega solo parzialmente i motivi che spingono una persona a migrare (scappare da una guerra, per esempio): il 40 per cento dei migranti arrivati via mare nel 2016 ha ottenuto una forma di protezione internazionale.
– «Prima gli italiani»
Secondo me gli italiani hanno tutto il diritto e la ragione ad esprimere il loro sdegno per come viene gestita la situazione, da uno stato che non solo è ladro ma non si occupa dei suoi cittadini come dovrebbe in primis.
Mai una volta si parla di cosa ne pensano gli Italiani. L’articolo dice solo di accettare i migranti e basta perché si deve, come se fosse davvero così. E se la gente non volesse e basta?
Esaminare le richieste di protezione internazionale delle persone che arrivano via mare in Italia è un obbligo previsto dal diritto internazionale. Nel caso la richiesta venga accettata, inoltre, il rifugiato ottiene gli stessi diritti di un cittadino italiano. È impossibile indire un referendum per chiedere ai cittadini italiani se accogliere o meno persone che scappano da contesti di fragilità o dalle guerre. Non ci sono nemmeno prove sul fatto che le attività di governo nazionali o locali rallentino “per colpa” dei migranti o delle procedure di accoglienza.