Sta per cambiare l’uso dei buoni pasto
Dal 9 settembre sarà possibile usarli in più posti e diventerà legale usarne fino a un massimo di 8 nella stessa transazione
Dal 9 settembre entreranno in vigore alcune nuove regole, di cui si parla già da diverse settimane, che riguardano i buoni pasto; a volte chiamati anche “ticket restaurant” dal nome di una delle principali società del settore. Le regole sono contenute in un decreto del ministero dello Sviluppo economico del giugno 2017, e in breve dicono che ora i buoni pasto sono cumulabili (fino a oggi, per legge, se ne poteva usare uno a pasto) e che li si potrà usare in ogni luogo in cui si possano comprare generi alimentari (fino a oggi erano validi solo in alcuni bar, ristoranti e supermercati).
Secondo i dati forniti dal ministero, i buoni pasto sono usati da almeno 80mila aziende come “servizio sostitutivo di mensa” per almeno 2,5 milioni di lavoratori, la maggior parte dei quali impiegati nel settore privato. Il giro d’affari annuale dei buoni pasto è di circa 3 miliardi di euro.
Cosa cambia
- I buoni pasto si potranno ora usare in molti più posti: anche nei mercati, negli spacci aziendali, negli agriturismi e negli ittiturismi (cioè “gli agriturismi del pesce”), con l’unica condizione che li si usi per acquistare prodotti alimentari. Resta comunque da vedere quanti di questi posti accetteranno i buoni, e quali.
- C’è una cumulabilità giornaliera di massimo otto buoni pasto: vuol dire che se ne potranno usare un massimo di otto in un’unica transazione.
Cosa resta uguale
- È vietato cedere i buoni pasto a un’altra persona e utilizzarli nelle giornate non lavorative.
- I buoni pasto continuano a dover essere usati per il loro “valore facciale”: vuol dire che è esclusa la possibilità di ricevere resto dopo aver pagato qualcosa con il proprio (o i propri) buoni pasto.
- Si può ovviamente continuare a integrare in contanti il valore del buono: cioè usare 3 euro e un buono da 7 euro per pagare un pranzo da 10 euro.
- Il datore di lavoro potrà dare tanti buoni pasto quanti sono stati i giorni lavorati (e in cui, nel caso ci sia, il lavoratore non ha usufruito del servizio mensa, non di più).