La Russia ha interferito nelle elezioni americane anche comprando messaggi di propaganda su Facebook
Il social network ha scoperto che 470 account fasulli hanno speso 100mila dollari tra il 2015 e il 2017 per promuovere contenuti che avrebbero favorito Trump
Facebook ha rilevato una serie di spese sospette effettuate da una rete di pagine e profili fasulli per fare propaganda e interferire indirettamente nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Questi account, ora disattivati, erano riconducibili all’Agenzia per la ricerca su Internet, un’organizzazione che ha stretti legami con il governo russo ed è nota per le sue campagne online e le attività dei suoi troll. Tra giugno 2015 e maggio 2017 sono stati spesi circa 100mila dollari per promuovere 3mila post sponsorizzati legati a 470 account fasulli. Il responsabile della sicurezza di Facebook, Alex Stamos, ha detto che: “La nostra analisi indica che questi profili e pagine erano collegati tra loro e probabilmente gestiti fuori dalla Russia”.
La maggior parte delle inserzioni pubblicitarie non facevano riferimento diretto alle elezioni presidenziali né contenevano inviti a votare per uno specifico candidato tra Donald Trump e Hillary Clinton. Gli annunci sponsorizzati contenevano però notizie e commenti controversi o falsi per alimentare discussioni e polemiche su temi molto sentiti, per esempio i diritti delle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), l’immigrazione e la diffusione delle armi negli Stati Uniti. Lo scorso aprile Facebook aveva diffuso una prima analisi sull’utilizzo del suo social network durante la campagna elettorale statunitense, ma senza menzionare direttamente la Russia o organizzazioni riconducibili al governo russo e a Vladimir Putin.
Ieri alcuni esperti di sicurezza di Facebook hanno aggiornato i membri delle commissioni di intelligence di Camera e Senato del Congresso, che da mesi sono impegnate nelle indagini sulle interferenze nella campagna elettorale da parte della Russia. Stamos ha confermato di avere fornito informazioni e di avere collaborato con Robert Mueller, il procuratore speciale che sta portando avanti una delle inchieste più delicate sul cosiddetto “Russiagate” che coinvolge direttamente il presidente Donald Trump.
Facebook non ha reso pubbliche altre informazioni sui 470 account fasulli: non sappiamo quindi quante persone abbiano visto i loro annunci, sulla base di quali criteri siano state selezionate né che cosa ci fosse scritto di preciso. Nelle sue analisi, Facebook ha inoltre identificato altri 2.200 contenuti sponsorizzati – costati 50mila dollari – per i quali è più difficile trovare un legame certo con la Russia. Dai dati raccolti finora, si sa che furono acquistati attraverso computer che risultavano essere negli Stati Uniti: non si può escludere che i collegamenti avvenissero comunque dalla Russia e che la loro provenienza fosse mascherata per apparire dagli Stati Uniti.
L’annuncio di Facebook ha fatto molto discutere perché aggiunge nuovi elementi a un tema delicato, che riguarda direttamente Trump e il modo in cui è stato eletto. Nelle prime settimane dopo l’elezione il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, aveva escluso che il suo social network avesse avuto un ruolo nella diffusione di notizie false e di messaggi per screditare Clinton al punto da condizionare un’intera elezione (nonostante Trump avesse vinto grazie a un vantaggio di poche decine di migliaia di voti in tre stati risultati decisivi, e abbia preso quasi tre milioni di voti in meno di Clinton). Da allora, complici le analisi condotte sui contenuti circolati su Facebook, Zuckerberg ha cambiato posizione e ha promesso più trasparenza e nuove misure per ridurre la circolazione di notizie false, impedendo per esempio alle pagine che le pubblicano di promuoverle con annunci a pagamento, che ottengono molta più visibilità di un normale post.
All’inizio di quest’anno le principali agenzie di intelligence degli Stati Uniti (FBI, CIA e NSA) hanno concluso che il governo russo (od organizzazioni legate al presidente Vladimir Putin) fosse il responsabile dell’attacco hacker nei confronti del Partito Democratico, che aveva portato alla pubblicazione di migliaia di email riservate creando un grave danno d’immagine a Hillary Clinton, impegnata nella campagna elettorale. Le stesse agenzie avevano inoltre rilevato l’attività di centinaia di troll finanziati dalla Russia per diffondere notizie false e messaggi contro Clinton, ma nel loro rapporto di gennaio non facevano diretto riferimento a Facebook e ai suoi sistemi per la promozione dei contenuti.
Nei mesi scorsi molti osservatori hanno giudicato ambiguo il comportamento di Facebook, che da un lato ha provato a minimizzare le proprie responsabilità e dell’altro si è dimostrato molto attivo nello studio dell’uso improprio di account e messaggi sponsorizzati. Non è chiaro se Facebook avesse strumenti e capacità per rivelare da subito quanto stava accadendo e arginare il fenomeno: la sua piattaforma per i post sponsorizzati viene usata ogni giorno da milioni di account che hanno la possibilità di personalizzare i destinatari delle loro campagne, indirizzandole verso specifici gruppi di persone sulla base della loro età, della provenienza geografica e dei loro interessi.
Facebook in questa fase si sta limitando a fornire dati e informazioni alle autorità che stanno indagando sulle interferenze della Russia, senza arrivare a conclusioni su chi abbia commissionato e con quale scopo ultimo le campagne promozionali attraverso gli account fasulli. Dimostrare un coinvolgimento di Trump o del suo comitato elettorale non sarà semplice, salvo non emergano nuovi dettagli su persone che dagli Stati Uniti si coordinarono con le organizzazioni russe per gestire le campagne sul social network.