Che tipo, Hampton Fancher

È quello grazie al quale esiste "Blade Runner" e ha anche scritto la sceneggiatura di "Blade Runner 2049": ma non solo

(Da "Escapes")
(Da "Escapes")

In questi giorni alcuni (pochi) cinema degli Stati Uniti stanno proiettando Escapes, un piccolo documentario su Hampton Fancher, un attore, regista, sceneggiatore ed ex ballerino di flamenco, non particolarmente famoso per nessuna di queste cose. Il documentario non è ancora uscito in Italia e non si sa se e quando arriverà; ma ne hanno parlato bene, tra gli altri, il New Yorker il New York Times. Escapes esce ora perché la cosa più importante fatta da Fancher è stata la sceneggiatura del film Blade Runner, anche se poi Ridley Scott ne usò una completamente diversa.

Fancher, che oggi ha 79 anni, è però autore della storia e co-autore della sceneggiatura di Blade Runner 2049, il sequel del film del 1982, che uscirà il 5 ottobre. Parlandone con Tad Friend del New Yorker, Fancher ha detto: «Quando hanno iniziato a pensare al sequel, Ridley [Scott] ci ha messo un anno prima di chiamarmi. Prima è andato da tutti gli altri, ci sono rimasto male. Poi mi hanno detto, al telefono: “Ci serve la vecchia magia”. La verità è che erano disperati».

ESCAPES

Escapes è stato diretto da Michael Almereyda – il regista di Hamlet 2000, con Ethan Hawke, e di molti altri film che è molto improbabile conosciate – e prodotto da Wes Anderson: Fancher, per certe sue bizzarrie, potrebbe in effetti stare benissimo in un suo film. La sinossi ufficiale di Escapes è: «Fancher, un esperto narratore, racconta episodi della sua notevole vita – disavventure d’amore con star del grande schermo, ostinati gesti di cavalleria, gelosia e amicizia – e della sua vita nel cinema e nella tv, dove ha interpretato cowboys, assassini, damerini, farabutti e qualche volta anche eroi».

Manhola Dargis del New York Times ha fatto notare che le storie di Fancher in certi casi vanno prese un po’ con le molle: non necessariamente è sempre tutto vero ma «ha poca importanza, quello che importa è la storia raccontata e il modo in cui Fancher passeggia nella memoria come fosse un labirinto». Nel trailer del documentario Fancher dice anche cose come «in realtà è una storia così brutta che non te la racconterò», poi inizia a raccontare di quando diventò «il più pagato day player [un attore di supporto, pagato alla giornata] della storia del cinema tedesco, pagato in contanti, che poi persi tutti», ma poi si interrompe e dice «ah, ma quella è un’altra storia». Dice anche: «Odio raccontare questa storia, è bruttissima».

Nel documentario Fancher dice: «Vivevo in un mondo di fantasia. Ero una spia. Ero un eroe. Ero Humphrey Bogart». Escapes, ha scritto Friend sul New Yorker, è fatto in gran parte da racconti di Fancher alternati a vecchie immagini dei suoi ruoli da giovane, molti dei quali in decine di serie tv degli anni Sessanta e Settanta. Dopo essersi rivisto recitare, Fancher ha detto: «Se fossi un regista oggi, ci sono certi ruoli per cui mi sceglierei». Non ebbe però mai ruoli da protagonista e ha detto che i motivi furono due: i suoi capelli, che Friend ha descritto come un nido d’uccello, e il suo carattere: «Trasudavo una pigra superiorità che era una conseguenza dell’insicurezza che avevo, della paura di essere in realtà solo uno stronzo».

La parte movimentata della vita di Fancher iniziò alla fine degli anni Quaranta, quando aveva 11 anni e viveva a Los Angeles con i genitori. Disse loro di voler abbandonare la scuola e lo fece. Si appassionò ai film di Rodolfo Valentino, disse che voleva andare in Spagna e diventare un ballerino di flamenco. A 15 anni cambiò il suo nome in Mario Montejo e andò in Spagna. Nel documentario dice anche che incontrò Marlon Brando, che aveva una barca in Spagna e lo invitò a cena, ma che lui rifiutò. Fancher poi tornò negli Stati Uniti per ballare e recitare, e nel 1963 sposò Sue Lyon, che era stata Lolita nel film di Stanley Kubrick del 1962. I due restarono sposati un paio d’anni, e Fancher ha detto: «La stampa parlò male del nostro matrimonio. Mi accusarono di essere un ragazzo pomposo e arrapato, interessato solo agli yacht e ai jet privati, cosa che pensavo essere molto scorretta. Ma per la maggior parte avevano ragione».

Nella seconda metà degli anni Settanta Fancher smise di recitare e provò a fare lo sceneggiatore. Durante gli anni Settanta lesse il romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi, che potreste conoscere anche con il titolo, più fedele all’originale, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Il libro era uscito nel 1968 e già qualcuno a Hollywood – tra cui Martin Scorsese – aveva pensato di farci un film, senza però convincersi abbastanza da prenderne i diritti o senza riuscire a convincere Dick a venderglieli. Fancher ci riuscì e scrisse una prima bozza di sceneggiatura che finì poi per essere letta da Ridley Scott, che aveva provato a lavorare a Dune ma se n’era andato. Nella storia che sarebbe diventata Blade Runner Fancher voleva mettere molti temi legati all’ecologia; Scott voleva invece farne un film noir.

Le troppe differenze tra i due portarono Scott a chiamare lo sceneggiatore David Webb Peoples, che riscrisse gran parte della storia (ma Fancher risulta comunque co-sceneggiatore). Nella versione di Fancher i replicanti si chiamavano androidi e Roy Batty veniva ucciso senza il tempo per fare quel suo famoso discorso. Fancher – che disse di aver scritto il personaggio di Deckard pensando all’attore Robert Mitchum – fu comunque richiamato da Scott per collaborare con Peoples ad alcune parti di sceneggiatura e alla scrittura di alcuni dialoghi.

Nel 1989 Fancher ha scritto la sceneggiatura di Jamaica Cop, un film d’azione con Denzel Washington, e nel 1999 ha scritto e diretto The killer – ritratto di un assassino, con Owen Wilson.