Su Netflix c’è la terza stagione di “Narcos”

Si può vedere da oggi: una rinfrescata su com'era finita la seconda, qualche video, e alcune recensioni (bella, dicono)

("Narcos")
("Narcos")

La terza stagione di Narcos è su Netflix da oggi, venerdì 1 settembre. È composta da dieci episodi, tutti della durata di 50 minuti circa. Il primo è intitolato “La strategia del capo” e Netflix lo descrive così: «I gentiluomini di Cali convocano i soci per un annuncio a sorpresa sul futuro della loro attività».

Se siete qui e non vi piace farvi del male da soli e non siete in qualche modo all’oscuro di un fatto storico successo nel 1993, sapete che la serie cambierà molto in questa stagione, perché racconta i fatti successivi alla morte di Pablo Escobar. Come dicevano i trailer pubblicati quest’estate da Netflix, la terza stagione parla «dell’ascesa di un nuovo impero», tutt’altro che con principi più sani di quelli di Escobar: «Fingere che questi non fossero cattivi come quello che c’era prima sarebbe stato un errore». Un altro trailer, uscito ad agosto, paragonava il cartello di Cali a una «grande multinazionale» e finiva con questa frase: «Per smantellare il cartello di Cali devi essere stupido, matto, coraggioso e fortunato allo stesso tempo».

Rapida rinfrescata di memoria

La prima stagione – ambientata in Colombia, a partire dagli anni Settanta – raccontava l’ascesa del narcotrafficante Pablo Escobar (Wagner Moura) e del suo cartello di Medellin. Escobar arrivava, già a 28 anni, «ad avere così tanti soldi da non riuscire a contarli». Tra quelli che provavano a fermarlo c’erano Steve Murphy e Javier Peña, agenti statunitensi della DEA (l’agenzia statunitense antidroga). All’inizio a «Pablo Emilio Escobar Gaviria» le cose andavano benissimo e nessuno sembrava poterlo fermare: riusciva anche a farsi eleggere in Parlamento. Poi, un po’ perché Escobar esagerava ma soprattutto perché chi gli si opponeva aveva iniziato a farlo con più forza, Escobar finiva in prigione. Prigione per modo di dire, perché aveva tutto quello che voleva e ci uccideva pure i nemici. La prima stagione finiva con un assalto delle forze speciali colombiane alla “prigione” di Escobar, che però riusciva a fuggire. «Con su permiso», diceva a un militare che provava a fermarlo. Nella seconda stagione – mentre Pablo era sempre più cattivo e più braccato – si vedeva l’ascesa del cartello di Cali, rivale di quello di Medellin.

Alla fine, siamo nel 1993, Pablo muore.

Il problema, appunto, è il cartello di Cali. C’è stato un momento in cui la DEA (in particolare l’agente Peña) e il cartello di Cali avevano collaborato per un obiettivo comune: uccidere Escobar. Morto Escobar, cambia tutto.

Che si dice della terza stagione

Se il vostro dubbio principale è “come fa a essere bello ora che non c’è più Escobar”, molti critici dicono di non preoccuparvi. Dan Fienberg ha scritto su Hollywood Reporter che, dopo i sei episodi della terza stagione che ha fatto in tempo a vedere, era «molto più preso che in qualsiasi altro punto delle prime due stagioni» e che è una di quelle stagioni che ci mettono un paio di episodi a carburare ma poi vanno forte. Sul sito di CNN Brian Lowry ha scritto che la serie riesce benissimo a «fare reset» dopo aver mostrato la morte di Escobar. Melanie McFarland ha scritto su Salon che se prima era una caccia all’uomo per uccidere un solo uomo, ora il nemico è diventato una specie di multinazionale. La terza stagione è piaciuta anche all’Economist, che ha scritto: «I film sulle guerre-contro-la-droga tendono a finire quando il cattivo è ucciso o arrestato, lasciando che la polizia festeggi il gran lavoro fatto. La realtà non funziona così: nonostante la caduta di Escobar e di migliaia come lui, il narcotraffico va sempre avanti e Narcos lo rende ferocemente chiaro».

Netflix ha anche pubblicato un video in cui in trenta secondi Roberto Saviano parla del narcotraffico.