L’Italia ha fatto un accordo con i trafficanti di migranti?
Lo sostiene un'inchiesta molto dettagliata di Associated Press, smentita dal governo ma confermata da una delle milizie coinvolte
Un’inchiesta pubblicata ieri da Associated Press ipotizza che per fermare il flusso di migranti dal Nord Africa il governo italiano abbia stretto degli accordi con due potenti milizie libiche che solo qualche tempo fa erano direttamente coinvolte nello stesso traffico. Il governo italiano ha smentito di avere un accordo di questo tipo e rispondendo ad AP ha detto che «non negozia con i trafficanti». L’inchiesta sembra comunque molto solida e cita molte e varie fonti, fra cui il portavoce di una delle due milizie coinvolte che ha confermato l’accordo con le autorità italiane.
L’approccio del governo italiano in Libia – un paese che da circa cinque anni non ha un governo funzionante, e che è diventato la tappa finale di decine di migliaia di migranti diretti in Europa – è stato molto lodato dagli altri paesi europei, e dal punto di vista dei numeri sta portando dei risultati. Nell’agosto 2017 sono sbarcati sulle coste italiane solo 3.507 migranti, contro i 21.294 dell’agosto 2016. In molti però hanno criticato il governo italiano per aver stretto accordi con partner poco affidabili come il governo di Fayez al Sarraj, che controlla quasi solo il territorio della città di Tripoli, e la sua Guardia costiera, un’accozzaglia di bande armate che è difficile descrivere come un unico corpo di polizia. L’inchiesta di Associated Press porta le accuse al governo italiano a un altro livello: lo accusa di aver saltato l’intermediazione di Sarraj e aver stretto accordi direttamente con gli stessi personaggi che fino a poco tempo fa erano in combutta con i trafficanti.
In Libia le milizie armate hanno riempito il vuoto di potere che si è creato dalla caduta del regime di Gheddafi: secondo Nancy Porsia, giornalista esperta di Libia, oggi fanno parte di un sistema che «permea tutta la struttura della società» libica. Fra le altre cose le milizie controllano anche i centri di detenzione per migranti (dove i diritti umani vengono sistematicamente violati).
Le due milizie di cui parla Associated Press si chiamano “Martire Abu Anas al Dabbashi” e “Brigata 48” ed entrambe hanno la sede a Sabratha, una piccola città non distante da Tripoli che negli ultimi mesi è diventata il principale punto di partenza dei barconi e gommoni dei migranti. La prima milizia è sicuramente nota ai funzionari italiani: dal 2015 si occupa della sicurezza dell’impianto di Eni per l’estrazione di petrolio nel vicino paese di Mellita. La seconda è stata oggetto di un’inchiesta di Reuters pubblicata il 21 agosto, che descriveva l’efficacia della campagna anti-trafficanti in corso a Sabratha. I capi delle milizie sono due fratelli che provengono dal clan che controlla la città, quello dei Dabbashi.
Cinque fonti fra funzionari di sicurezza e attivisti hanno confermato ad Associated Press che entrambe le milizie erano coinvolte nel traffico di migranti: una di loro ha definito i fratelli Dabbashi i “re del traffico di migranti” a Sabratha. «I trafficanti di ieri sono le forze anti-trafficanti di oggi», ha raccontato una fonte di sicurezza libica sentita da Associated Press. Non sarebbe l’unico caso di autorità libiche coinvolte in questi traffici: secondo un recente rapporto dell’ONU (PDF) il capo della Guardia costiera di Zawiyah, una città vicino a Sabratha, è contemporaneamente a capo di una milizia in combutta coi trafficanti. In questa storia c’è anche un dettaglio piuttosto inquietante: secondo il giornalista del Foglio Daniele Raineri, la stesso clan Dabbashi aveva espresso anche il capo locale dello Stato Islamico, Abdullah “Abu Maria” Dabbashi, poi ucciso ad aprile.
Abdel Salam Helal Mohammed, un dirigente del ministro degli Interni del governo di Tripoli che si occupa di immigrazione, ha raccontato che l’accordo è stato raggiunto durante un incontro fra italiani e membri della milizia Al Ammu, che si sono impegnati a fermare il traffico di migranti (cioè loro stessi o dei loro alleati, in sostanza). Dell’incontro aveva parlato anche la giornalista Francesca Mannocchi in un articolo pubblicato da Middle East Eye il 25 agosto, senza però trovare conferme ufficiali. Anche il portavoce di Al Ammu, Bashir Ibrahim, ha confermato ad Associated Press che circa un mese fa entrambe le milizie hanno stretto un accordo “verbale” col governo italiano e quello di Sarraj per fermare i trafficanti. Sempre secondo Bashir, l’accordo prevede che in cambio del loro aiuto le milizie ottengano soldi, barche e quello che Associated Press definisce “equipaggiamento” (non è chiaro se si tratti o meno di armi).
L’accordo è stato confermato anche da due attivisti locali che si occupano dei diritti umani dei migranti, che hanno aggiunto che le stesse milizie hanno preso il controllo della prigione della città per ospitare i migranti bloccati e che stavano preparando una pista d’atterraggio nei pressi dell’ospedale per ricevere aiuti umanitari dall’Italia. Sulla sua pagina Facebook, Daniele Raineri ha pubblicato una foto dell’ambasciatore italiano in Libia Giuseppe Perrone vicino a “un aereo carico di aiuti medici italiani” atterrato il 16 agosto in città. Una settimana dopo, il ministero degli Esteri italiano ha fatto sapere di aver consegnato 5.000 “kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti” alla città di Zuwara, mentre non viene citata alcuna consegna avvenuta a Sabratha.
«Quello che gli italiani stanno facendo a Sabratha è davvero sbagliato», ha raccontato ad Associated Press uno degli attivisti contattati, Gamal al Gharabili: «state accrescendo il potere delle milizie».