“Game of Thrones” è diventato più brutto?
È una discussione che sta coinvolgendo soprattutto i critici, settimana dopo settimana, ma non è chiaro se valga anche per il pubblico
Come è stato in altri momenti per Twin Peaks o per Lost, è fuori discussione che tra dieci, venti o cinquant’anni si penserà soprattutto a Game of Thrones come la serie tv di questi anni: per il suo impatto nella cultura popolare, per quello che è diventato, per quanto costa ogni episodio, per i premi che ha vinto e per il numero di persone che lo guarda e il tempo che passa a commentarlo. Ne parlano bene i critici, scrivendo spesso che contiene cose “da cinema” (un gran complimento per la tv) e piace tantissimo anche al pubblico. È una tra le quattro serie con il voto più alto di sempre su IMDb; più alto di quello di Breaking Bad o dei Soprano, per parlare delle migliori degli anni precedenti. Ma da qualche tempo è aumentato il numero di persone che dicono che Game of Thrones è peggiorato, o che comunque non è più la stessa cosa.
Gli argomenti usati da chi dice che Game of Thrones è diventato un’altra cosa, meno bella di quella che era, sono tanti e diversi. Ma ci sono un po’ di elementi comuni; tutti messi in relazione a un passato in cui non era così: “è diventato prevedibile”, “succedono cose che sono poco spiegate o motivate”, “tutto succede troppo in fretta” e “non succede più che muoiano i personaggi principali”. Le critiche ci sono in parte dalla sesta stagione (la prima a non essere basata su un libro di George R.R. Martin, perché il libro ancora non c’è) ma sono aumentate con la settima (che dura sette episodi al posto dei soliti dieci) e sono diventate di più e più intense dopo “Beyond the Wall”, il sesto episodio della settima stagione.
Anche solo guardando gli articoli usciti negli ultimi giorni, Megan Garber di Atlantic si è chiesta se «Game of Thrones non rischi di diventare il nuovo Lost», che più andava avanti più diventata assurdo e insensato; Shannon Liao ha scritto su The Verge che la serie «sembra fan fiction» (quelle storie che i fan si scrivono da soli per far succedere quello che vorrebbero veder succedere); Peter Allen Clark ha scritto su Mashable che Game of Thrones «non è più bello perché non c’è più niente in gioco»; Joanna Robinson, una delle giornaliste considerate più esperte in materia, ha scritto che «l’ultimo episodio è scarico» e che «Game of Thrones deve ricominciare a uccidere i suoi eroi».
Ne parliamo da qui in poi, con immancabili SPOILER sul sesto episodio della settima stagione, quello andato in onda in inglese, con sottotitoli in italiano, nella notte tra il 20 e il 21 agosto.
Sopravvivono tutti
Nel 1993, quando propose a un editore il suo primo libro a riguardo, Martin scrisse: «I personaggi cambieranno. Quelli vecchi moriranno, e altri nuovi ne arriveranno. Moriranno anche personaggi amati, con i quali ci si era immedesimati. Voglio che il lettore senta che nessuno è al sicuro, nemmeno gli eroi». Chi guarda la serie sa che è così. A cominciare da Ned Stark – anzi ancora prima, dai metalupi – affezionarsi a un personaggio voleva dire rischiare di dover fare prima o poi i conti con la sua morte. Pensate a una serie diversa da Game of Thrones di cui possiate dire con agilità nome, cognome e circostanze di morte di almeno una ventina di personaggi. Oppure ripensate a questa foto della prima stagione:
Ora, invece, da almeno un paio di stagioni – fatta forse eccezione per Hodor – gli eroi non muoiono più. E nemmeno i veri protagonisti. Jaime e Jon Snow rischiano di, ma poi, nonostante l’armatura, emergono dall’acqua.
Quelli che arrivano e risolvono tutto
Un modo migliore per dire la stessa cosa, usando una parola usata da chi si occupa di storie, è “deus ex machina“. C’era già nelle tragedie greche e da allora è un po’ dappertutto: è quel personaggio o quell’inattesa sorpresa che risolve una situazione che sembrava intricatissima, senza via d’uscita. Alcuni critici, e tra loro Liao su The Verge, hanno scritto che ovviamente questo strumento narrativo era già stato usato in Game of Thrones (pensate a Stannis che arriva e toglie Jon Snow dai guai, o Ditocorto che arriva con un esercito e toglie Jon Snow dai guai, o Melisandre che arriva e toglie Jon Snow dall’aldilà), solo che ora di più. Pensate, scrivono, a Daenerys che arriva coi draghi e toglie Jon Snow dai guai, o a zio Benjen (o quel che ne resta di lui) che arriva e toglie Jon Snow dai guai. L’articolo dell’Atlantic è addirittura intitolato “Deus ex Westeros“. Questo meccanismo, hanno scritto certi critici, permette di mettere personaggi in situazioni sempre più complicate, senza poi doversi curare troppo di un modo per farli uscire.
È un peccato, scrivono, per una serie che aveva tra i suoi principali meriti il fatto di essere profonda, dettagliata, con personaggi che avevano chiari motivi per comportarsi in un certo modo e che erano quello che erano e sapevano quello che sapevano perché gli erano successe cose e avevano incontrato persone. Qualcuno ha fatto gli esempi di Arya e Tyron: ne hanno passate di ogni e sembravano essere diventati ormai particolarmente scaltri, ora invece Arya casca (per quanto ne sappiamo finora) nei tranelli di Ditocorto e Tyrion non azzecca più mezza decisione.
Corvi, draghi e Clark Kent senza occhiali
Ce ne si era accorti già nel primo episodio della sesta stagione, ma se ne è parlato molto soprattutto dopo il sesto: Westeros è un continente grande e nelle passate stagioni abbiamo visto personaggi che per arrivarci o andarci ci hanno messo un sacco di tempo. Ora invece in cinque minuti personaggi, eserciti, flotte, corvi e draghi viaggiano da un punto all’altro. La lentezza con cui certe cose succedevano in Game of Thrones era, hanno scritto i critici, parte del suo fascino; ora è venuta un po’ meno, e sembra che ci sia quasi l’urgenza di portare i “deus ex machina” dove servono e, più in generale, di far sì che ogni personaggio finisca dove serve, quando serve che sia lì. In particolar modo dopo il sesto episodio della settima stagione, critici e spettatori si sono messi a porre questioni di coerenza interna della trama: lo staff di Vox ha pubblicato 27 domande sulle cose successe nell’episodio e certi spettatori hanno decretato impossibile la velocità con cui Gendry corre, dice di mandare un corvo, il corvo viene mandato, arriva a Daenerys che prepara il drago, ci salta su e arriva a fare il “deus ex machina” oltre la Barriera.
Alan Taylor, regista dell’episodio, ha risposto così alle critiche: «Sapevamo di essere un po’ vaghi sui tempi» e ha aggiunto che le «impossibilità plausibili» sono diverse dalle «impossibili plausibilità». Ha poi aggiunto: «Penso che abbiamo stiracchiato un po’ la plausibilità della cosa, ma spero che il trasporto generato dalla storia faccia passare la cosa in secondo piano». A chi studia cinema può essere capitato di leggere di queste cose con un semplice esempio, che riguarda Superman e Clark Kent. Non è che una cosa debba essere possibile perché il pubblico la creda, basta formulare bene le sue premesse. È ovvio che quel tizio col mantello è in realtà Clark Kent con un mantello e senza gli occhiali, ma agli spettatori va bene che sia così, e agli sceneggiatori fa comodo che agli spettatori vada bene così.
Il DRAGOZOMBIE è il nuovo salto dello squalo?
Il “salto dello squalo” è un’altra cosa più o meno da gergo, nota a chi si occupa di storie. Deriva da quella volta in cui Fonzie, in una puntata di Happy Days, saltò, indossando la giacca di pelle, sopra a uno squalo bianco. Secondo il critico Jon Hein fu la definitiva conferma che Fonzie era diventato la caricatura di sé stesso (o, per dirla in altro modo, restò vittima della Flandersizzazione) e che Happy Days era diventato brutto. C’è chi trova che il DRAGOZOMBIE di Game of Thrones sia più o meno la stessa cosa.
Did 'Game of Thrones' Jump the Shark with "Beyond the Wall"? https://t.co/Zbqza39iEq pic.twitter.com/uasL2rMyTE
— /Film (@slashfilm) August 22, 2017
Accontenta troppo il pubblico
O un certo tipo di pubblico, quello che vuole essere appagato e veder succedere cose belle: gli eroi che trionfano e vivono felici e contenti e i cattivi che muoiono male. Missandei con Verme Grigio, Jon Snow (quasi) con Daenerys, Jorah che guarisce (e che per guarire ha solo bisogno di togliere le croste e mettere un po’ di pomata), Tormund che fa le battute su Brienne che tutti si aspettano (o meglio, sperano) faccia. Liao ha scritto che la serie «ha tolto di mezzo i personaggi di cui ci eravamo stancati (ciao ciao Serpi delle Sabbie) o nel caso di personaggi che ci piacevano, come Lady Olenna, hanno dato loro una morte così nobile che eravamo quasi lì a fare il tifo». Che è diverso dal morire decapitato davanti alle proprie figlie o ammazzato a un matrimonio insieme alla propria moglie e madre. Ora, ha scritto Clark, «ci aspettiamo che succeda quello che vorremmo succedesse». Che nel caso di Daenerys e Jon Snow, o dei draghi contro l’esercito degli Estranei, era un po’ quello che era impossibile non attendersi da una serie di libri dal titolo Cronache del ghiaccio e del fuoco. In più, alcuni critici e spettatori hanno evidenziato le tante battute e frasi che sembrano fatte apposta per diventare meme di internet; e certo, poi c’è il cameo di Ed Sheeran.
Quindi
Ci sono tanti critici e tanti milioni di spettatori che continuano ad apprezzare tantissimo Game of Thrones, senza contare quelli che lo criticano ma continuano a guardarlo. Todd VanDerWerff di Vox ha scritto, per esempio, che «Game of Thrones è la più grande e sanguinolenta delle soap opera, e non è una brutta cosa». Clark ha scritto: «Vi viene in mente anche una sola serie tv che abbia mantenuto il suo livello di qualità fino alla settima stagione?». Il sesto episodio, quello più criticato, è anche quello che su IMDb ha il voto medio migliore: 9,4. Come il terzo (“The Queen’s Justice”) e minore solo dell’apprezzatissimo quarto (“The Spoils of War”), che ha un voto medio di 9,9. Ovviamente si tratta poi di opinioni di alcuni, e di opinioni parziali perché espresse quando non solo non è finita la serie, ma nemmeno è finita la stagione. Magari nel settimo episodio muoiono un paio di protagonisti, per esempio.