Fiat-Chrysler sarà venduta?
I giornali di mezzo mondo lo danno per scontato, così come esperti e fonti interne alla società: la famiglia Agnelli vorrebbe dividerla e venderla pezzo a pezzo
«C’è qualcosa di grande all’orizzonte per Fiat Chrysler», ha scritto il New York Times in un articolo pubblicato il 22 agosto. Dopo anni di indizi e indiscrezioni, la famiglia Agnelli sembra aver deciso di vendere la società, probabilmente prima dividendola nelle sue singole parti per poi fondere ciò che resta con un altro grande gruppo automobilistico: lo danno per scontato praticamente tutti i giornali internazionali. Nell’articolo del New York Times, come in tutti gli altri numerosi articoli usciti in questi giorni, non ci sono dichiarazioni ufficiali della famiglia Agnelli, ma giornalisti, esperti dell’industria e fonti interne alla società sembrano tutti confermare la decisione della famiglia Agnelli e dell’amministratore di FCA, Sergio Marchionne: la società sarà venduta. L’obiettivo sarebbe concludere l’operazione prima del 2019, quando Marchionne terminerà il suo contratto con la società.
L’ipotesi di spezzettare FCA e poi venderla è in giro da almeno un paio d’anni: da tempo la famiglia Agnelli, e in particolare il capofamiglia, John Elkann, parla della sua intenzione di diversificare il patrimonio familiare, senza vincolarsi a un settore rischioso come quello dell’automobile. Questa settimana l’idea della vendita è tornata improvvisamente di attualità quando il presidente del gruppo automobilistico cinese Great Wall Motors ha detto di aver parlato con FCA dell’acquisizione dell’intero gruppo o di una sua parte. In particolare i cinesi erano interessati al marchio Jeep, che ha sede negli Stati Uniti, produce soprattutto SUV ed è la parte più redditizia dell’azienda. FCA ha subito smentito l’esistenza di trattative con Great Wall Motors. A sua volta la società cinese ha specificato che i contatti sono stati soltanto indiretti e ha precisato che comunque l’operazione sarà molto complicata.
Più che sulle smentite reciproche di questi giorni, però, giornalisti e analisti del settore si sono concentrati su quello che i manager di FCA non hanno detto nelle loro smentite. «Nessuno ha detto “non venderemo mai Jeep”», ha spiegato al New York Times Thomas W. LaSorda, un ex dirigente di Chrysler che collaborò alla fusione tra le due società: «Questo manda un messaggio molto chiaro ai consigli d’amministrazione di tutto il mondo». Le notizie di questa settimana hanno reso evidente l’intenzione di FCA di discutere seriamente la possibilità di cedere alcuni rami dell’azienda, o addirittura di vendere o fondere l’intero gruppo.
Non è detto che l’acquirente saranno proprio i cinesi, anzi: come ha scritto il sito laVoce.info, è molto improbabile che quell’accordo venga finalizzato. L’accordo con Great Wall Motors è molto complicato perché oltre ai problemi industriali di una simile fusione ci sono anche parecchie questioni politiche da risolvere. Great Walls Motor è sostanzialmente controllata dal governo cinese, che avrebbe l’ultima parola su un eventuale accordo. D’altro canto il governo americano è molto interessato al futuro di Jeep e dei posti di lavoro che genera negli Stati Uniti. Venderla ai cinesi probabilmente sarebbe visto dal presidente Donald Trump come uno sgarbo nei suoi confronti, visto che ha condotto la sua campagna elettorale mettendo in guardia gli americani dai pericoli dell’espansione commerciale cinese e della perdita di posti di lavoro negli Stati Uniti. Probabilmente Trump e il suo governo cercherebbero di fare di tutto per far saltare l’accordo. Se il gruppo cinese dovesse fare un’offerta su tutta FCA, alle proteste di Trump si aggiungerebbero probabilmente anche quelle del governo italiano.
La notizia dei contatti tra FCA e Great Wall Motors, però, avrà comunque l’effetto di risvegliare l’interesse dei possibili compratori in tutto il mondo, scrivono gli analisti in questi giorni. Il momento è quello giusto. Da qualche anno il settore sta attraversando una complicata fase di consolidamento. Le società più piccole cercano di allearsi e fondersi le une con le altre, in modo da raggiungere la massa critica necessaria a sopravvivere in un periodo di grande cambiamento per l’industria. Quelle più grandi cercano di fare acquisizioni strategiche, in modo da essere pronte ad affrontare da una posizione di vantaggio i tumultuosi anni che attendono il settore.
Tutti gli esperti sono d’accordo nel dire che ci troviamo in un momento di svolta nella storia dell’industria automobilistica. Oggi l’auto non è più uno status symbol che è necessario possedere; spesso le nuove generazioni urbane non sentono nemmeno il bisogno di acquistare una, mentre fino a pochi anni fa era impensabile immaginare una famiglia senza una o più automobili. Considerazioni ambientali e diffusione del car sharing hanno danneggiato ulteriormente il settore. Infine nei prossimi anni è atteso l’arrivo delle prime auto che si guidano da sole, un’altra novità destinata a rivoluzionare l’industria. Soltanto i produttori di automobili più grandi e in grado di investire nelle nuove tecnologie riusciranno a sopravvivere a questa fase convulsa. Il fatto che paesi come Francia e Regno Unito abbiano già stabilito una data entro la quale non sarà più possibile produrre e utilizzare motori a scoppio mette ulteriore pressione al processo di consolidamento.
In questo scenario FCA si trova in una situazione complicata. È più piccola dei suoi principali concorrenti, che sono Volkswagen, Toyota e General Motors: questo significa che può investire molto meno di loro nelle tecnologie del futuro, come le auto elettriche e quelle che si guidano da sole. Marchionne ha più volte detto che quello delle automobili è un settore dove sono divenuti necessari sempre più capitali e dove quindi bisogna mettere in atto un consolidamento che riduca il numero di società tramite acquisizioni o fusioni. Secondo gli analisti i manager di FCA sentono una chiara pressione a fare qualcosa, come mostrano i numeri della società. Anche se nell’ultimo anno le azioni di FCA sono cresciute del 34 per cento, continuano a restare tra le più economiche di tutte il settore. Oggi le azioni FCA valgono in tutto circa 4,6 volte gli utili stimati per il prossimo anno, mentre in media le azioni del settore valgono 7,4 volte gli utili stimati nei 12 mesi successivi. La somma delle componenti di FCA vale circa 50 miliardi di euro secondo le stime, ma il suo valore di borsa è di circa la metà.
E poi c’è la famiglia Agnelli, che controlla una quota determinante di FCA e da tempo ha fatto capire di vedere di buon occhio un disinvestimento nella società. John Elkann, il leader della famiglia (composta in tutto da un centinaio di persone) negli ultimi due anni ha parlato spesso della possibilità di una fusione tra FCA e un’altra società del settore. Fino a oggi però le trattative non hanno portato a grandi risultati. Secondo diversi analisti, la prospettiva migliore per FCA è separare i suoi vari marchi e venderli separatamente. Come ha detto al New York Times Giuseppe Berta, professore all’Università Bocconi e per lungo tempo consulente della FIAT: «Gli azionisti di FCA hanno un gran desiderio di cedere la proprietà in questo momento. L’unica possibilità di riuscire in questo obiettivo è spezzettare la società e venderla pezzo a pezzo». I vertici di FCA non lo hanno mai ammesso apertamente, ma quando in passato Marchionne ha dovuto rispondere a una domanda sul tema ha fatto capire che non è una possibilità che viene esclusa del tutto. «Mi riservo di decidere», ha risposto alcuni mesi fa a chi gli chiedeva della ipotetica vendita di alcune società del gruppo.
Negli ultimi mesi sembra che le cose abbiano cominciato a muoversi molto più in fretta. Nel suo articolo di questa settimana, il New York Times ha scritto che durante l’estate personale di FCA e di Great Wall Motors si sono incontrati spesso e hanno condotto insieme valutazioni sulle possibili acquisizioni. L’agenzia di stampa Bloomberg ha parlato questa settimana con persone dentro FCA secondo le quali ci sono studi in corso per separare Alfa Romeo e Maserati dal resto della società e venderle per circa 7 miliardi di euro. Verrebbero vendute separatamente anche le società che si occupano di componentistica, come Magneti Marelli, che produce soprattutto elettronica. Questa parte della società potrebbe valere intorno ai 5 miliardi di euro. Il pezzo più pregiato però rimane di gran lunga Jeep, che da sola è valutata circa 20 miliardi di euro.
Anche vendere una per una le società del gruppo però è più facile a dirsi che a farsi. Jeep, la divisione che da sola genera più utili di FCA, è un obiettivo ambito da praticamente tutti i maggiori produttori di automobili mondiali. Anche Ferrari, che è già stata separata dal resto del società nel 2016, è molto desiderata. Alfa Romeo e Maserati, la cui separazione da FCA deve essere ancora conclusa, non sono altrettanto attraenti. In particolare Alfa Romeo avrà ancora bisogno di parecchi investimenti prima di raggiungere il suo obiettivo, cioè diventare un marchio di auto di alta gamma in grado di fare concorrenza a Mercedes e BMW: e questo è un problema, perché di norma nessuno vuole comprare un società che prima di iniziare a rendere avrà bisogno ancora di qualche miliardo di investimenti.
Infine, se FCA dovesse privarsi di tutte le sue divisioni più pregiate, come Jeep, la famiglia Agnelli rischierebbe di trovarsi per le mani la quota di controllo di una società poco redditizia, in difficoltà e che per di più nessuno vuole comprare. Come ha detto Marchionne poco tempo fa: «A quel punto dovremmo preoccuparci del moncone rimanente». Per quanto le intenzioni di vendere ci siano, come vendere, cosa vendere e a chi restano ancora domande la cui risposta non sarà facile da trovare.
L’altra domanda a cui in molti hanno cercato di rispondere è: cosa accadrà all’Italia se questa operazione avrà successo? La produzione di automobili è una parte rilevante della nostra industria manifatturiera e, durante gli ultimi anni della crisi, i buoni risultati di FCA hanno contribuito molto a tenere in piedi la nostra economia. In questi giorni diversi editorialisti hanno parlato del rischio che corre il nostro paese se FCA sarà acquistata da un gruppo estero, soprattutto se cinese. I timori sono quelli sventolati di solito in caso di acquisizioni stranieri: trasferimenti di impianti e produzioni, appropriazione di tecnologie e idee originali. Non tutti, però, sono così preoccupati da questa possibilità. Marchionne ha concentrato in Italia la produzione dei veicoli di alta gamma, quelli a maggior valore aggiunto e che richiedono la manodopera più competente e specializzata. Sembra improbabile, insomma, che l’eventuale acquirente di FCA decida di portare all’estero gran parte della produzione italiana. Come ha detto al Foglio il professor Berta: «Chi comprerebbe una Stelvio, il nuovo suv dell’Alfa, che non fosse made in Italy? Per non parlare di una Maserati o di una Ferrari».