Forse i cibi dolci fanno ingrassare anche quando non contengono calorie
Secondo un nuovo studio se l'apporto calorico del cibo non corrisponde alla dolcezza percepita il nostro corpo va in confusione
Anche i dolcificanti che non contengono zuccheri possono farci ingrassare, secondo un articolo pubblicato il 10 agosto sulla rivista scientifica Current Biology e basato sulle ricerche di Dana Small, neuroscienziata e professoressa di psichiatria della facoltà di medicina dell’Università di Yale, e dei suoi colleghi. Negli ultimi due anni Small è stata impegnata in una serie di esperimenti per capire che effetto abbiano sul corpo umano i dolcificanti che non contengono carboidrati, come il sucralosio, che è artificiale, e lo stevioside, che si ottiene dalle foglie della pianta Stevia rebaudiana. In milioni di anni di evoluzione il nostro corpo si è abituato al fatto che alla dolcezza corrisponda sempre una certa quantità di calorie: secondo i dati raccolti da Small sembra che questo rapporto tra dolcezza percepita ed energia sia fondamentale per il funzionamento del nostro metabolismo e che, nel momento in cui viene modificato dai dolcificanti senza calorie, possano esserci degli effetti indesiderati.
Per capire bene le conclusioni a cui è giunta Small è utile ripercorrere lo svolgimento dei suoi esperimenti, come ha fatto Mark Schatzker su Vox. Inizialmente Small creò cinque bevande dolci: tutte dolci allo stesso modo perché contenenti la stessa quantità di sucralosio (con una dolcezza pari a quella fornita da 75 calorie di zucchero), ma ognuna con un colore e un sapore diversi e con un diverso apporto calorico, fornito da diverse quantità di maltodestrina, un carboidrato insapore. La prima bevanda non conteneva calorie, le altre sì: la seconda 37,5 calorie, la terza 75, la quarta 112,5 e la quinta 150. A ognuno dei partecipanti all’esperimento sono state fatte bere le cinque diverse bevande per sei volte (due in laboratorio, quattro a casa propria), nel corso di alcune settimane, e per ciascuna bevanda Small li ha sottoposti a una risonanza magnetica funzionale (fMRI) del cervello. Lo scopo di questi esami era vedere come le bevande avessero influenzato il sistema di ricompensa, quel meccanismo che ci fa sentire appagati in varie circostanze, ad esempio quando mangiamo o beviamo, o quando riceviamo stimoli sessuali. Small si aspettava di riscontrare che in base alle diverse quantità di calorie presenti nelle bevande avrebbe rilevato risposte diverse del sistema di ricompensa, nello specifico una risposta maggiore quando fosse stata maggiore la quantità di calorie.
Body & #brain responses to #soda drinks depend on sweetness & #calories by @danasma70194694 &co https://t.co/JY0fYNpjAb pic.twitter.com/tMpQUy9ecf
— Current Biology (@CurrentBiology) August 10, 2017
Le risposte osservate, però, sono state diverse. La bevanda che stimolava maggiormente il sistema della ricompensa è risultata essere quella da 75 calorie, cioè quella in cui il numero di calorie effettivamente presenti era quello che il cervello si aspettava in base alla dolcezza percepita (tutte le bevande erano dolci quanto 75 calorie di zucchero). Lo stimolo era maggiore perfino di quello ottenuto con la bevanda da 150 calorie.
Per capire perché avesse ottenuto questo risultato, Small ha fatto altri esperimenti. In uno di questi ha misurato la risposta metabolica del corpo, cioè l’energia spesa per processare le calorie ingerite. Anche in questo caso Small ha ottenuto lo stesso risultato: la bevanda da 75 calorie era quella che faceva usare maggiore energia al corpo. Small è quindi giunta alla conclusione che la dolcezza «regola il segnale metabolico», e che quando non si accorda con le calorie effettivamente presenti in ciò che si mangia crea una sorta di confusione che in alcuni casi può fare ingrassare.
Secondo le conclusioni di Small, infatti, quando la dolcezza non corrisponde alle calorie ingerite, queste non vengono processate bene: invece che essere usate come energia per il corpo, quindi, vengono immagazzinate nei muscoli, nel fegato o nelle riserve di grasso, in un effetto indesiderato. L’impatto di questo effetto ovviamente varia a seconda del contesto, perché dipende dal cibo che si ingerisce insieme ai dolcificanti senza calorie. Una bevanda dolce senza calorie consumata a stomaco vuoto ad esempio non dovrebbe fare danni in questo senso, mentre ne può fare se consumata insieme a un pasto o uno spuntino a base di carboidrati. Detto in modo semplice: un pacchetto di patatine mangiato insieme a una Coca-Cola Zero fa ingrassare di più rispetto a un pacchetto di patatine mangiato insieme a un succo di frutta.
Lo studio di Small e dei suoi colleghi, dunque, ci dice qualcosa su come dovremmo mangiare, ma anche su come le aziende alimentari dovrebbero pensare i prodotti per chi fa una dieta dimagrante. Molte aziende si sono messe a fare prodotti a basso, ma non nullo, contenuto calorico, resi artificialmente più dolci grazie ai dolcificanti: se davvero questi prodotti confondono la risposta metabolica, allora potrebbero essere meno dietetici di quelli con un contenuto calorico maggiore, ma corrispondente alla dolcezza.
Lo studio di Small è il primo del suo genere, ma potrebbe fornire una spiegazione sul perché le ricerche esistenti sui dolcificanti sono giunte a conclusioni contraddittorie. Nel 2012 un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine diceva che i bambini olandesi che avevano bevuto la stessa bevanda dolcificata artificialmente ogni giorno per 18 mesi erano ingrassati meno di quelli che invece avevano bevuto una bevanda naturalmente dolce nelle stesse quantità. In tante altre ricerche, fatte su un numero maggiore di persone, sembra però che chi consuma molte bevande dolcificate artificialmente abbia un maggior rischio di essere obeso, avere il diabete di tipo 2 o malattie cardiovascolari. Secondo i difensori dei dolcificanti senza calorie, si osserva questo fenomeno perché sono le persone obese quelle che consumano in maggior quantità queste bevande per provare a dimagrire. Ma le conclusioni di Small possono smontare questa teoria, così come lo studio sui bambini olandesi, visto che non si sa se questi mangiassero qualcosa quando bevevano le bevande dell’esperimento o meno (si sa solo che lo facevano a scuola, durante un intervallo).