«Kim chi?»
Mentre Donald Trump e la Corea del Nord si scambiano minacce di guerra, i sudcoreani non sembrano affatto preoccupati
Nelle ultime settimane, le minacce scambiate tra Stati Uniti e Corea del Nord sono arrivate a un punto che non si vedeva da molto tempo. Il presidente americano, Donald Trump, ha detto che è pronto a riversare sulla Corea del Nord “un oceano di fuoco e fiamme”. I nordcoreani, dal canto loro, hanno testato il loro primo vero missile intercontinentale, in grado probabilmente di arrivare fino alle coste della California e hanno persino minacciato di testare alcuni missili lanciandoli vicino a Guam, un’isola americana nel centro del Pacifico.
Considerato che la Corea del Sud è a portata non solo di tutti i missili nucleari e non nucleari della Corea del Nord, ma che la sua capitale si trova entro il raggio di migliaia di cannoni convenzionali nordcoreani, ci si aspetterebbe che la sua popolazione fosse almeno un po’ preoccupata dall’aumento della tensione. Invece, in Corea del Sud tutto procede come niente fosse. Lo scorso 28 luglio, il presidente sudcoreano Moon Jae-in è andato in vacanza e si è rifiutato di interrompere le ferie anche dopo la notizia del lancio del missile intercontinentale. Moon ha telefonato a Trump, ma solo il 7 agosto, una volta terminate le sue vacanze come da programma. Il ministro della Difesa ha fatto più o meno la stessa cosa, così come gran parte degli altri membri del governo.
«La verità è che la maggior parte dei sudcoreani reagisce a questo genere di cose con una scrollata di spalle», ha scritto Choe Sang-Hun, un giornalista sudcoreano che lavora da anni per diversi media americani, tra cui il New York Times: «Il venerdì sera la gente è allegra come al solito», ha scritto Choe: «Si lamentano di più della recente ondata di caldo che della possibilità di una guerra. Nessuno dei miei amici e parenti sudcoreani mi ha chiamato per chiedermi della minaccia nordcoreana. E i miei amici giornalisti sperano di guadagnare un viaggio stampa a Guam da questa crisi – da noi Guam è una meta turistica molto popolare».
La possibilità di conflitto con la Corea del Nord è un argomento su cui i politici sudcoreani sono molto chiari. «Le azioni militari nella penisola coreana possono essere decise solo dalla Corea del Sud. Nessun altro può decidere di compiere interventi militari senza il consenso del nostro governo» ha detto il presidente Moon in un’intervista televisiva. Moon ha poi aggiunto di aver parlato con Trump, che gli ha ripetuto che ogni eventuale azione militare sarà compiuta in accordo e con il permesso del suo governo.
In altre parole, i politici sudcoreani non sembrano prendere molto sul serio la retorica bellicosa di Trump. Il sentimento prevalente tra di loro sembra essere più che altro lo stupore. «Siamo molto confusi», ha detto alla televisione americana ABC Moon Jung In, consigliere speciale del presidente Moon: «A noi sembra che il governo americano abbia cambiato tattica, passando dalla “pazienza strategica” dell’amministrazione Obama alla “confusione strategica” di Trump».
Proprio questa settimana, durante una conferenza stampa in cui illustrava i suoi primi cento giorni di presidenza, Moon ha ripetuto ancora una volta la sua opinione sulla crisi in corso: «Abbiamo lavorato insieme per ricostruire il paese dopo la Guerra di Corea e non possiamo perdere tutto a causa di un nuovo conflitto. Posso dire con sicurezza che non ci sarà un’altra guerra nella Penisola coreana».
Quest’ultimo è un punto che sottolinea anche Choe, il giornalista sudcoreano che collabora con il New York Times: «I sudcoreani non vogliono alterare lo status quo, cioè una pace che dura da oltre sessant’anni in seguito al cessate il fuoco firmato alla fine della Guerra di Corea. Non importa quanto detestino il regime di Pyongyang: i sudcoreani considerano ancora i nordcoreani i loro fratelli e vogliono evitare a tutti costi una guerra fratricida».
Choe scrive che i sudcoreani sono abituati da decenni alle dichiarazioni roboanti e minacciose alle quali però raramente fanno seguito azioni davvero pericolose: questa descrizione, infatti, si può applicare tanto alla retorica di Trump negli ultimi mesi, quanto a quella dei Kim, i leader della Corea del Nord, con i quali i sudcoreani hanno a che fare da decenni. I sudcoreani sanno, scrive Choe, che «reagire con forza alle minacce del Nord serve solo agli interessi di Kim Jong-un, che vuole apparire pericoloso e senza scrupoli, come parte della sua strategia per ottenere concessioni».