“No Man’s Sky” non è finito
Il videogioco "con dentro un universo" uscì un anno fa, deludendo quasi tutti: ora l'hanno aggiornato e dicono sia molto meglio
È passato poco più di un anno dall’uscita dell’allora attesissimo videogioco No Man’s Sky: che passò dall’essere un possibile capolavoro al diventare una quasi completa delusione. Perché, come ha scritto Julie Muncy su Wired, «prometteva l’infinito ed è una promessa che nessuno può mantenere». L’infinito, nel caso di No Man’s Sky, era rappresentato da un algoritmo che aveva davvero creato un universo (quasi) infinito, composto da 18 miliardi di miliardi pianeti, ognuno visitabile e abitato da creature diverse. No Man’s Sky fu una delusione perché molti giocatori lo trovarono noioso, perché uscì con molti bug e perché c’erano meno cose di quelle promesse da Sean Murray, il fondatore di Hello Games, la società che lo produsse. Ora, a un anno di distanza, qualcuno si è messo a fare dei nuovi bilanci sul gioco, rivalutandolo. Una grande mano in questa rivalutazione l’ha data Atlas Rises, un consistente aggiornamento del gioco reso disponibile l’11 agosto scorso.
Rapido ripasso per chi non c’era
No Man’s Sky uscì per Playstation 4 e PC e non si poteva davvero “finire”, non aveva una conclusione: un po’ per l’immensità dell’universo del gioco – Matteo Bordone calcolò che, per passare un solo secondo su ognuno dei pianeti, ci sarebbero voluti 584 miliardi di anni – e un po’ perché non c’erano veri e propri obiettivi, se non esplorare pianeti, scoprire creature e raccogliere risorse per migliorare la propria nave spaziale, con un vago e non obbligatorio obiettivo di dirigersi verso il centro di quell’universo. Un gioco di questo tipo, senza una trama lineare o una vera conclusione, si definisce sandbox perché, così come nella vasca della sabbia di un parco giochi (sandbox, appunto), i giocatori possono giocare all’infinito, lasciando che sia la loro esperienza a scrivere la storia del gioco. Pochi giorni dopo la sua uscita, No Man’s Sky fu criticato da molti giocatori e in molti casi recensito male. «Ti prende come una droga per poi farti morire di noia», scrisse un utente su Steam, una popolare piattaforma dalla quale è possibile acquistare e scaricare videogiochi per il computer.
Murray – che prima aveva promesso un po’ di tutto, parlando del gioco al New Yorker e al Late Night di Stephen Colbert – abbasso un po’ il tiro e scrisse che No Man’s Sky era: «Un gioco strano e un gioco di nicchia. Un gioco molto tranquillo». Come ha scritto Muncy, quello che per alcuni utenti era diventato un ipotetico «gioco definitivo, punto di arrivo dell’intrattenimento digitale» finì per essere «solo un altro videogioco» in cui, per di più, «passavi gran parte del tempo a interagire con un grande nulla».
No Man’s Sky un anno dopo, quindi
“Atlas Rises”è il terzo grande aggiornamento del gioco (tutte le cose tecniche le trovate qui) e senza dubbio quello che ha cambiato più cose. Ora è possibile interagire meglio e di più con giocatori nelle vicinanze e ha anche posto le basi per creare, in futuro, la possibilità di esperienze di gioco collaborative, quelle in cui certi obiettivi possono essere raggiunti solo unendo gli sforzi di più giocatori. Ci sono poi anche miglioramenti nel modo in cui è possibile esplorare e commerciare e nell’interfaccia grafica, e missioni specifiche da completare, che aggiungono una trentina di ore all’esperienza di gioco (che, di nuovo, di per sé è senza fine). È poi possibile fare voli a bassa quota sui pianeti, esplorarli con dei nuovi mezzi e sfruttare nuove armi durante i combattimenti. Ci sono anche dei portali che permettono di viaggiare fino a pianeti altrimenti lontanissimi: che l’immensità è bella, ma ci si annoia.
Muncy ha scritto che, prese tutte insieme, queste cose danno una nuova forma al gioco e sembrano dire ai giocatori, soprattutto quelli che hanno abbandonato il gioco un anno fa «ehi, No Man’s Sky è ancora qui, e sta crescendo». Questo aggiornamento, secondo Muncy ma non solo, è un’evoluzione; non la riscrittura di un paio di codici per risolvere un paio di bug, così come succede con gli aggiornamenti di quasi tutte le app dei nostri smartphone.
Le novità ovviamente riguardano anche le forme di vita e i pianeti: questo è per esempio tutto fatto da forme (di vita?) esagonali.
https://www.youtube.com/watch?time_continue=338&v=JFwLc35SKb0
Quindi è il caso di dargli, o ri-dargli, una possibilità?
Nì, dicono. Il 76 per cento delle recensioni fatte al gioco su Steam nell’ultimo mese (quindi anche prima dell’aggiornamento) è perlopiù positiva. Secondo Rachel Kaser di The Next Web il gioco somiglia finalmente a quello che avrebbe dovuto essere fin dall’inizio; Kellen Beck ha scritto su Mashable che i nuovi accenni alla possibilità di una modalità multiplayer sono minimi, eppure certi utenti sono già esaltati. Sam White del Guardian, che all’aggiornamento ha dedicato una lunga recensione, ha scritto che «ci sono ancora diverse imperfezioni che Atlas Rises non riesce o nemmeno prova a correggere e che «quasi di certo No Man’s Sky non riuscirà mai a superare la sua inevitabile monotonia» ma che almeno ora sta prendendo forma il gioco che quelli di Hello Games vogliono che sia. White ha scritto che il gioco è ora migliore, e che vale la pena dargli una nuova possibilità se lo si era abbandonato, e magari anche se non lo si era mai provato.
Basta non aspettarsi il videogioco vivace e definitivo che veniva promesso un paio di anno fa. È più qualcosa di rilassante – come guardare un acquario, con un po’ più di possibilità di interazione con l’ambiente osservato – e secondo alcuni quasi mistico, oltre che esteticamente appagante. White ha scritto: «C’è qualcosa di bello nei tramonti super-saturi del gioco e nelle sue astronavi; c’è qualcosa di affascinante nelle creature a volte buffissime che genera, o nella fretta con cui si deve andar via da un pianeta colpito da radiazioni solari. C’è qualcosa di emozionante nel volare sotto le nuvole e vedere per la prima volta cosa ci sta sotto». Su Wired, Muncy ha scritto che Atlas Rises migliora il gioco e che lo rende «più grande e un po’ più convenzionale» e che «vale sempre la pena di provare a esplorare le sue galassie».