Cosa è giusto fare con le statue controverse?
I monumenti ai generali americani che combatterono per la schiavitù vanno lasciate dove sono perché "patrimonio storico" o vanno rimosse? La questione riguarda anche noi
La manifestazione di sabato a Charlottesville, negli Stati Uniti, organizzata da nazionalisti bianchi e neonazisti è stata l’ultima di una lunga serie contro il progetto di rimuovere alcuni monumenti dedicati a personaggi storici che durante la Guerra civile americana combatterono sul fronte sudista, cioè quello degli stati favorevoli allo schiavismo: in particolare era una protesta contro la rimozione di una statua del generale Robert E. Lee da un parco di Charlottesville. Da mesi negli Stati Uniti si parla di cosa fare con i monumenti dedicati alle personalità sudiste, con un dibattito simile, per certi versi, a quelli che si fanno in Italia e Spagna quando si discute dei simboli delle dittature fasciste che si vedono ancora in giro. La questione non è solo simbolica, anche perché i movimenti di estrema destra hanno preso come propri simboli le immagini dei generali sudisti e la bandiera degli Stati Confederati d’America.
Secondo molte persone i monumenti ai generali sudisti rappresentano la schiavitù e il razzismo, e per questo andrebbero rimossi: è stato fatto per esempio a New Orleans, in Louisiana. C’è chi pensa che dopo la rimozione questi monumenti non dovrebbero essere distrutti, ma trasferiti nei musei per spiegare il contesto in cui furono realizzati. Secondo altre persone, invece, questi monumenti fanno parte del patrimonio storico dei luoghi in cui si trovano e come tali devono essere rispettati e lasciati al loro posto. Secondo altri ancora, sempre contrari alla rimozione, i monumenti devono restare in piedi per ricordare gli errori commessi in passato. A maggio, in Alabama, uno degli undici stati del sud che ai tempi della Guerra civile formavano gli Stati Confederati d’America, è stata adottata una legge che protegge questi monumenti, l’Alabama Memorial Preservation Act of 2017, con l’argomento che «quando gli aspetti negativi della storia vengono ripetuti, succede spesso perché ciò che è successo in passato è stato dimenticato».
Nella conferenza stampa tenuta martedì alla Trump Tower, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha criticato la decisione di rimuovere la statua di Lee dal parco di Charlottesville (che fino allo scorso giugno si chiamava Lee Park e che ora si chiama Emancipation Park) dicendo: «Questa settimana è Robert E. Lee. Ho notato che “Stonewall” Jackson sarà tirato giù a sua volta. (…) Mi domando, toccherà a George Washington la settimana prossima? E a Thomas Jefferson quella dopo?». Trump ha voluto accostare i due più importanti generali sudisti al primo e al terzo presidente degli Stati Uniti perché – come è noto – anche loro possedevano degli schiavi, e ha paragonato la rimozione delle statue al «cambiare la storia».
Un altro monumento di Charlottesville dedicato a un generale sudista, Thomas Jonathan Jackson, detto “Stonewall”; fu eretta nel 1921 (Chet Strange/Getty Images)
Sui social network molte persone hanno criticato il parallelismo fatto da Trump (qualcuno si è divertito ad aggiungere il suo nome nella pagina di Wikipedia dedicata ai presidenti degli Stati Confederati d’America) e parlando con il New York Times Annette Gordon-Reed, professoressa di storia e diritto dell’Università di Harvard, ha detto che c’è una differenza cruciale tra Washington e Jefferson da una parte, e Jackson e Lee dall’altra: i primi erano «uomini imperfetti» che contribuirono alla creazione degli Stati Uniti, gli altri sono sui libri di storia perché combatterono per la dissoluzione degli Stati Uniti. Gordon-Reed ha anche sottolineato come la questione della rimozione dei monumenti non riguardi i difetti di singoli uomini, ma l’opposizione a un governo che voleva mantenere in vigore la schiavitù e «distruggere l’unione americana». Secondo James Grossman, direttore dell’American Historical Association, i commenti di Trump mostrano un’incapacità di distinguere tra memoria e storia, e che cambiando i monumenti non si cambia la storia ma «il modo in cui la storia viene ricordata».
Una cosa importante da tenere a mente è il momento in cui la maggior parte di questi monumenti furono eretti: alcuni furono realizzati negli anni Novanta dell’Ottocento, il periodo in cui furono introdotte le leggi di segregazione razziale (le cosiddette leggi Jim Crow); altri negli anni Cinquanta, cioè nel periodo in cui negli stati del sud c’era molta resistenza al movimento per i diritti civili degli afroamericani e le loro battaglie contro la segregazione. Insomma, queste statue non sono mai state un semplice residuo del passato bensì un simbolo politico, erette in momenti successivi proprio in reazione a chi chiedeva uguaglianza e pari diritti. Per questo sono molto diverse dai monumenti fascisti europei, che furono realizzati dalle stesse persone e istituzioni che celebravano. Secondo Grossman i monumenti sudisti hanno un significato storico proprio perché rappresentano il periodo della segregazione razziale e la resistenza al movimento dei diritti civili, e non per il legame con i protagonisti della Guerra civile.
Il discorso con cui il sindaco di New Orleans Mitch Landrieu ha motivato la rimozione di quattro monumenti sudisti dalla città. Landrieu ha parlato contro il «culto» attorno a questi monumenti che nascondono il fatto che gli Stati Confederati erano «dalla parte sbagliata dell’umanità».
La questione dei monumenti non riguarda solo gli stati del sud, ma trentuno degli Stati Americani: ce ne sono anche in Kentucky, Missouri, West Virginia e Maryland (che non fecero parte della Confederazione ma erano in parte simpatizzanti). È stato stimato che in tutti gli Stati Uniti i monumenti siano più di settecento; uno di questi monumenti, dedicato al generale Lee, si trova addirittura al Campidoglio, a Washington.
Secondo John Fabian Witt, professore di storia all’Università di Yale, gli eventi della settimana scorsa, le proteste dei militanti di estrema destra e le affermazioni di Trump potrebbero ottenere l’effetto – contrario a quello sperato dai suprematisti bianchi – di accelerare la rimozione dei monumenti sudisti. Nel 2015 la bandiera degli Stati Confederati fu rimossa dal pavimento del Parlamento del South Carolina a Charleston dopo che l’estremista Dylann Roof uccise nove afroamericani in una chiesa: in alcune fotografie Roof era stato ritratto insieme a una bandiera degli Stati Confederati.
A conferma della teoria di Witt, proprio mercoledì mattina a Baltimora, nel Maryland, sono stati rimossi quattro monumenti sudisti, secondo quanto deciso lunedì dal Consiglio comunale della città: anche in questo caso sono state le violenze causate dalla manifestazione di estrema destra a portare a questa decisione. Uno dei monumenti rimossi è una statua che rappresenta il generale Lee, un altro invece raffigura il generale “Stonewall” Jackson.
Un gruppo di operai al lavoro per la rimozione di un monumento sudista dedicato alle donne del Maryland a Baltimora, la mattina del 16 agosto 2017 (Jerry Jackson/Baltimore Sun)