Perché le ong hanno sospeso i soccorsi
La Libia, d'accordo con il governo italiano, ha proibito l'ingresso alle ong in una fascia di acque internazionali larga quasi duecento chilometri
Tre ong hanno annunciato negli ultimi giorni una sospensione temporanea della loro attività di soccorso nel Mediterraneo centrale a causa della decisione della marina libica di estendere la zona delle acque territoriali in cui è impedito l’accesso alle navi straniere. Le ong che hanno sospeso le attività sono Save the children, Medici senza frontiere e Sea Eye. Al momento solo la nave Aquarius dell’ong Sos Méditerranée è rimasta a largo della Libia.
La decisione delle ong è arrivata dopo che lo scorso agosto il governo di Tripoli, quello riconosciuto dalla comunità internazionale, ha annunciato la creazione di una zona “SAR” (cioè una zona di ricerca e soccorso) oltre le 12 miglia marine che delimitano le acque territoriali libiche. Nell’annuncio non è stata specificata la dimensione della nuova area, ma secondo le varie interpretazioni si estenderebbe fino a 180 chilometri dalla costa.
In quest’area, ha detto la Guardia costiera libica, nessuna nave – in particolare quelle delle ong – potrà entrare se non con un’autorizzazione specifica, che sarà concessa caso per caso. Impedire il transito di navi civili nella propria SAR non è consentito dal diritto internazionale: la circolazione delle navi in mare è libera. Di fatto, quindi, la Libia ha stabilito unilateralmente di proibire l’accesso alle navi delle ong in un vasto tratto di acque internazionali. Le ong sono particolarmente preoccupate perché negli ultimi giorni diverse loro imbarcazioni hanno subito minacce. Lo scorso 8 agosto, per esempio, una nave della guardia costiera libica ha sparato colpi di avvertimento in direzione della nave della ong spagnola Proactiva Open Arms.
Sucedió ayer 8:30am en aguas internacionales. Patrullera guardacostas Libios, formados y financiados #UE, amenaza y dispara #OpenArms pic.twitter.com/tYqeBDFclF
— Open Arms (@openarms_fund) August 8, 2017
Anche la Guardia costiera italiana avrebbe riconosciuto che i libici sono una minaccia per le ong. Medici senza frontiere ha spiegato di essere stata allertata dal Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC) di Roma «di un rischio sicurezza legato alle minacce pronunciate pubblicamente dalla Guardia costiera libica contro le navi di ricerca e soccorso umanitarie impegnate in acque internazionali». Nel comunicato in cui spiega la decisione di sospendere i soccorsi, Save the children dice che quella in corso è «una situazione molto preoccupante per il rischio di sicurezza dello staff».
Il governo italiano sembra soddisfatto per questo risultato, ottenuto tramite la violazione del diritto internazionale da parte della Libia. «Il far west è finito», ha detto una fonte anonima del ministero dell’Interno a Repubblica; parlando della nuova zona SAR istituita dalla Libia, il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha detto: «Quelle acque non sono più di nessuno, ma della Libia».
L’aiuto italiano è stato determinante per ricostruire la Guardia costiera libica e quindi per arrivare a questa situazione. Diversi accordi per rallentare il flusso di migranti sono stati firmati negli ultimi mesi tra governo italiano e governo di Tripoli, ma anche tra il governo italiano e sindaci, leader tribali e signori della guerra locali. Al momento unità militari italiane si trovano nel porto di Tripoli per un missione di addestramento e diverse nuove imbarcazioni per il pattugliamento sono già state consegnate alla Guardia costiera libica.
Gli effetti di questi accordi si sono visti nel mese di luglio, quando gli sbarchi in Italia si sono più che dimezzati. Secondo gli esperti, la ragione principale della diminuzione è che sempre più migranti rispetto al passato vengono bloccati nel corso del loro viaggio, per esempio in Niger, oppure vengono arrestati e trattenuti in una serie di campi di prigionia in Libia, dove le violenze sono molto comuni e le condizioni sanitarie molto precarie. In questi stessi campi finiscono i migranti catturati in mare dalla Guardia costiera libica e riportati nei porti del paese. Nel suo comunicato, Save the children ha ricordato: «La Libia non è considerato un luogo sicuro dove vengono rispettati i diritti umani».