Cosa vuol dire “corrivo”
È una parola sconosciuta a molti, e spesso mal adoperata: ha molti significati, tra cui banale, superficiale e approssimativo
di Massimo Arcangeli
La parola è sconosciuta a molti, e spesso mal adoperata. La troviamo oggi spesso abbinata a stile, e sarà allora sinonimo di superficiale o banale. Qui corrivo si colloca tra il più blando facile, quando si vuol dire, di una certa cosa, che è stata ottenuta senza particolare sforzo o impegno (come nell’espressione facili guadagni), e i più offensivi sciatto, trascurato o (è appena meno forte) approssimativo. Può essere corrivo, in questo primo significato, anche il linguaggio o un pensiero.
La facilità negativa di chi parla, scrive o pensa in modo corrivo, che se fosse giudicata con maggior severità diventerebbe faciloneria, è di diverso genere se la applichiamo all’idea che abbiamo lasciato correre, distratti e un po’ colpevoli, quando saremmo dovuti invece intervenire, per esempio sul comportamento di qualcuno: se siamo stati corrivi verso i nostri figli, o verso gli studenti ai quali insegniamo, abbiamo dimostrato, nei loro confronti, un’eccessiva tolleranza, cedevolezza, condiscendenza.
Un terzo significato di corrivo, molto prossimo a quello appena illustrato, emerge da costrutti verbali come corrivo a giudicare, a credere, a usare le mani, ad assecondare i desideri altrui. Qui s’intende affermare, della persona ritenuta corriva, che è eccessivamente incline, portata, propensa a fare quanto specificato dal verbo; il suo principale difetto, in tal caso, consiste perlopiù in quella cedevolezza (si tratti di insufficienza di riflessione, superficialità di giudizio o altro) che sfocia nella perdita di autocontrollo, nell’impulsività o nell’avventatezza. “Impulsivo” o “frettoloso”, “avventato” o “imprudente” sono altri significati importanti di corrivo, e hanno tutti una coloritura più o meno letteraria:
Se a incomodarvi io son troppo corrivo,
alla cortesia vostra voi dovete
la licenza imputar, con cui vi scrivoLorenzo Passeroni, Signor Conte, che siete un di que’ pochi, vv. 91-93
Perfino la signora, che al tu per tu o in ristretto crocchio di famiglia era vivace e corriva forse più del bisogno, nella conversazione invece assumeva un contegno arcigno e impacciato, una guardatura tarda e severa, un modo di mover le labbra che pareva più adatto a mordere che a parlare ed a sorridere.
Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano
Due o tre più corrive misero anche mano alle pietre e le tirarono contro una finestra del primo piano. I vetri volarono. Eccitate dal rumore dei vetri infranti, altre si gettarono su un mucchio di mattoni addossato al cancello.
Ignazio Silone, Fontamara
Non è facile pronunciarsi sull’origine del termine. C’è chi ha suggerito una relazione con corrivare (“convogliare, raccogliere, incanalare, far affluire”), un verbo, ormai uscito dall’uso, il cui antecedente era la voce latina omonima, composta di cum (“con”) e rivus (“rivo”). Più probabile il legame con correre, come suggerito dalla stessa frettolosità di chi agisce senza pensare e da questa testimonianza leonardesca, dove l’acqua corriva è naturalmente l’acqua corrente, l’acqua che scorre:
Se il letto del fiume fia stretto come l’acqua che cade, la linea CB […] correrà sì forte d’acqua come AC. E la ragione è che la linea CB ha libera fuga in B; adunque l’acqua che mette AC in CB essendo veloce, velocemente bisogna che sgombri CB per dar luogo alla sopravvegnente acqua, e presto sgombrando, perché in B non è sostegno, sarà l’acqua più corriva, correndo per la linea ACB che per AB; e tanto sia tirata veloce l’acqua M in A quanto AC spinge CB. E fia più veloce corso MACB, che MAB, che è più breve, e di questo è causa il moto e colpo di AC
(Del moto e misura dell’acqua, Bologna, a spese di Francesco Cardinali, 1828, cap. XXXVIII).
Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni: una al giorno.
Il nuovo libro di Massimo Arcangeli, “La solitudine del punto esclamativo“, è uscito il primo giugno per il Saggiatore.