Ci sono buone notizie per le api
Le morti causate dallo spopolamento degli alveari sono diminuite molto, almeno negli Stati Uniti
Da più di dieci anni si sente parlare della costante diminuzione del numero di api in Europa e negli Stati Uniti e della sindrome dello spopolamento degli alveari, un fenomeno ancora non del tutto spiegato per cui le api abbandonano il proprio alveare e la propria regina e poi muoiono. È un problema con molte cause e su cui ci si interroga da anni: la sindrome dello spopolamento degli alveari aveva portato nei primi anni 2000 a una grande diminuzione della popolazione di api, rilevata prima negli Stati Uniti e poi anche in Europa. Alcuni dati pubblicati in una ricerca realizzata dal Dipartimento dell’agricoltura statunitense (USDA), tuttavia, invitano a un moderato ottimismo: nel 2017 il numero di alveari persi a causa della sindrome dello spopolamento negli Stati Uniti è diminuito del 27 per cento rispetto all’anno scorso.
Il problema della sindrome dello spopolamento degli alveari (Colony Collapse Disorder, CCD) non è il più grave che affligge la popolazione delle api, ma negli Stati Uniti nei primi anni 2000 aveva interessato dal 20 al 40 per cento delle colonie. Il problema era particolarmente complesso da affrontare anche perché era difficile da analizzare: le api che sono affette dalla sindrome – forse causata dall’uso di certi pesticidi – volano via in tutte le direzioni e poi muoiono, rendendo difficile anche la raccolta dei cadaveri per le autopsie. Successivi studi portati avanti nel corso degli ultimi 15 anni, anche senza raggiungere risultati conclusivi sulle cause della sindrome, hanno proposto diverse possibili soluzioni, che sono state via via implementate e hanno migliorato sensibilmente le cose, come dimostra il recente studio dell’USDA.
Bisogna comunque fare attenzione a non leggere troppo nei dati dell’USDA. Per ora non si sa perché il numero di alveari statunitensi colpiti da sindrome dello spopolamento sia diminuito nel 2017 rispetto al 2016. Il documento dice anche che il numero totale degli alveari commerciali statunitensi è cresciuto del 3 per cento nel corso dell’ultimo anno, ma gran parte della crescita è ottenuta in modo artificiale, dividendo in due alveari esistenti: una pratica che funziona nel breve periodo, ma, come ha spiegato il vicepresidente dell’American Beekeeping Federation Tim May, rende gli alveari più deboli. A questo va aggiunto che – nonostante lo studio dell’USDA mostri qualche miglioramento anche in questa direzione – più di due quinti degli apicoltori statunitensi hanno detto di aver subito danni causati dagli acari, parassiti della specie Varroa destructor che vivono solo negli alveari e si nutrono del sangue delle api, e dall’uso di alcuni pesticidi da parte degli agricoltori nelle zone in cui le api si occupano dell’impollinazione.
Sulla relazione tra l’uso di pesticidi e la riduzione della popolazione delle api, intanto, si sta ancora indagando e ci sono prove discordanti. Due articoli pubblicati sulla rivista Science lo scorso giugno – uno dei quali realizzato studiando le api di Regno Unito, Ungheria e Germania – hanno collegato i neonicotinoidi, ovvero i pesticidi sospettati di causare la sindrome dello spopolamento degli alveari, ad alcuni problemi delle api, tra cui cali nella riproduzione e durata della vita più breve, ma non sono ancora state trovate prove che li collegassero alla sindrome dello spopolamento. Su questo possibile legame sta comunque studiando anche l’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (EPA), che sta pensando di proibirne l’uso nei campi nelle zone dove le api raccolgono il polline. Nei paesi dell’Unione Europea tre tipi di neonicotinoidi erano stati banditi provvisoriamente nel 2013 sulle coltivazioni di mais, colza e girasoli, dato che sono piante che le api impollinano; nella prima parte dell’anno si era parlato di un possibile divieto totale dell’uso di questi pesticidi, che però finora non c’è stato.