Ci siamo persi gli Arcade Fire?
L'ultimo disco di una delle più popolari e celebrate band rock degli ultimi 15 anni ha ricevuto un sacco di stroncature
Dopo anni di grandi successi di pubblico e di critica, la band canadese degli Arcade Fire ha fatto un disco – Everything Now, uscito il 28 luglio – che sembra stia piacendo poco ai fan storici e meno ancora ai critici musicali, che in molti casi lo hanno stroncato come ormai si vede raramente, quando si parla di artisti della loro fama. Negli ultimi dieci anni gli Arcade Fire sono stati una band come poche o nessun’altra: disco dopo disco, da Funeral del 2004 a Reflektor del 2013, sono stati in grado di raggiungere un successo di pubblico trasversale, diventando una delle pochissime band indie rock – definizione che ormai ha perso quasi tutto il suo significato, ma non ancora sostituita da una migliore – in grado di riempire stadi interi.
Gli Arcade Fire non avevano un’immagine particolarmente cool, né facevano una musica molto frequentata o di moda, ma canzoni come “Wake Up” e “Rebellion (Lies)” ebbero successo con un suono fatto di tappeti strumentali maestosi e ostinati, accompagnati da cori liberatori pieni di orecchiabilissimi “millenial whoop”: sembravano canzoni fatte apposta per essere cantate a squarciagola negli stadi, e infatti diventarono esattamente quello.
Il fatto che ritornelli così coinvolgenti fossero accompagnati da una certa ricercatezza nei testi e nelle armonie musicali, e da un’immagine che si curava poco o niente dei canoni mainstream, fecero guadagnare in fretta agli Arcade Fire grandi simpatie della critica. Funeral, Neon Bible e The Suburbs, i loro primi tre dischi, furono acclamati come capolavori degli anni Zero sostanzialmente da tutti i critici. Poi nel 2013 arrivò Reflektor, un disco molto diverso dai precedenti: le schitarrate e gli arpeggi di pianoforte erano stati sostituiti da synth, drum machine ed effetti vari, e i cori erano perlopiù scomparsi, lasciando il posto a linee vocali più angosciate e minimali. Tanti avevano protestato e diversi critici avevano stroncato l’album: ma molti altri avevano capito il percorso che aveva portato gli Arcade Fire a cambiare stile, e lo avevano apprezzato.
Everything Now, invece, non è piaciuto quasi a nessuno. Tra i motivi c’è stata anche la bizzarra campagna promozionale messa in piedi dagli Arcade Fire nelle scorse settimane, che secondo molti è sfuggita di mano e ha avuto l’effetto opposto a quello desiderato. I testi del disco, infatti, sono perlopiù una critica alla superficialità della vita contemporanea, alle attenzioni riposte nella propria immagine pubblica, allo smarrimento di certi supposti valori del passato. E la promozione del disco era pensata per rispecchiare questi contenuti: prima si sono inventati una specie di multinazionale che diceva di essersi impadronita dei social della band, che si rifiutava di promuovere il disco; poi hanno pubblicato online una finta recensione “preventiva” del disco sul sito Stereoyum, una parodia del sito di musica Stereogum: una trollata di quella che la band si immaginava sarebbe stata la recensione-tipo del disco. Ci sono state anche finte pubblicità di cereali e fidget spinners, e annunci di rigidi dress code per un loro concerto a Brooklyn.
Le stroncature preventive (interpretate da qualcuno come una difesa preventiva), i finti dress code, i finti gadget, sono cose che hanno portato molti critici a chiedersi se gli Arcade Fire non stessero esagerando con gli stunt pubblicitari, e ad accusarli di usare trucchi facili per fare parlare di sé. Soprattutto perché, al di là delle opinioni sul disco, nessuna delle trovate pubblicitarie ha funzionato molto o è sembrata particolarmente originale, tanto più che molte erano state riciclate da vecchie idee promozionali usate per Reflektor. Poi, a peggiorare le cose, sono arrivate le recensioni.
Pitchfork, tra i più importanti siti di musica al mondo, ha dato a Everything Now un punteggio di 5,6 su 10, scrivendo che la band è in un momento di stasi per quanto riguarda la musica e i testi e che le canzoni del nuovo disco sono «pallide e senza gioia». In Everything Now – al quale hanno collaborato tra gli altri Thomas Bangalter dei Daft Punk e Steve Mackey, bassista dei Pulp – gli Arcade Fire hanno proseguito nella direzione più disco e funk di Reflektor, lasciando però da parte le atmosfere più cupe e sfaccettate in favore di una serie di canzoni piuttosto spensierate e festaiole. Alcune funzionano: “Everything Now” ed “Electric Blue”, due dei singoli estratti dal disco, sono piaciute abbastanza per il loro groove molto riuscito unito nel primo caso ai soliti cori coinvolgenti e nel secondo ai falsetti sospesi che hanno reso famosa la band. “Creature Comfort”, la quarta canzone del disco, è poi la cosa più simile alle vecchie canzoni degli Arcade Fire di tutto il disco, e soprattutto a quelle più aggressive e plasticose di Reflektor.
Ma in mezzo gli Arcade Fire ci hanno infilato canzoni giudicate dalla maggior parte dei critici come lontane dagli standard a cui ha abituato il gruppo: tipo “Peter Pan” e “Chemistry”, che Spin ha definito «indistinguibili da qualche band di liceali strafatti alla prima prova». Soprattutto la seconda, infatti, non ha nessuno dei guizzi e dei suoni che si possono normalmente trovare in un pezzo degli Arcade Fire: inizia come una marcia scandita da strumenti a fiato, prosegue con un ritornello da band rock degli anni Ottanta, e finisce con una sezione che sembra voler essere un sing-along da stadio. Qualcuno ha paragonato i nuovi suoni degli Arcade Fire agli ABBA (soprattutto nella canzone “Put Your Money on Me”), ma Anna Wood ha scritto su The Quietus: «ascoltate “Summer Night City”, una canzone che sia Bjorn che Benny [due dei membri degli ABBA] hanno detto avrebbero preferito non aver nemmeno pubblicato. È una canzone non alla loro altezza che è comunque meglio di qualsiasi cosa ascolterete in Everything Now».
A piacere ancora meno della musica di Everything Now, però, sono stati i testi. Secondo il critico di Pitchfork Jeremy Larson, i temi del disco sono logori e banali, più o meno gli stessi di Ok Computer dei Radiohead, che però uscì 20 anni fa. “Signs of Life” è una specie di rimprovero verso i ragazzi che passano il tempo a festeggiare come perdigiorno, “Creature Comfort” contiene una serie di considerazioni sui problemi dei giovani – anche su quelli con pensieri suicidi – espressi soprattutto con esempi molto abusati e condiscendenti (la ragazza che si guarda allo specchio, il ragazzo che odia il padre).
Come ha sintetizzato Larson, «le canzoni in modalità “è la società, zio” sono piene di cliché, e quelle d’amore sono uno strazio», mentre secondo Wood «quando qualcuno scrive testi così brutti, e immagina siano buoni, è perché sta sottovalutando l’ascoltatore. O non pensano tu possa capire, o non pensano di essere in grado di comunicare, oppure entrambe le cose». Su Spin, Jeremy Gordon si è chiesto, concludendo la sua recensione:
Non abbiamo mai dovuto chiederci se gli Arcade Fire fossero seri o cinici, gentili o paternalisti. Il fatto che ora sia in dubbio la sincerità delle loro intenzioni è la vera delusione rappresentata da Everything Now: una band che è stata grande che ora si spinge volutamente fuori dal loro territorio, vagando per strade che gruppi più intelligenti potrebbero esplorare senza essere così stronzi. A cosa serve tutto questo se non al loro stesso appagamento?