In Spagna tutti i partiti hanno firmato un accordo contro la violenza sulle donne
Prevede lo stanziamento di ben un miliardo di euro e molto altro: viene descritto come un grande passo in avanti, per quanto migliorabile
Lunedì 24 luglio tutti i partiti spagnoli presenti al Congresso hanno raggiunto e firmato un accordo per combattere e prevenire la violenza domestica che coinvolge le amministrazioni a livello locale e la società in generale. Il patto – risultato di un lavoro di 6 mesi e di 67 audizioni durante le quali sono stati coinvolti esperti ed esperte – prevede 200 misure e lo stanziamento di 1 miliardo di euro per i prossimi cinque anni. Il quotidiano El País parla di «accordo storico» con il quale i partiti «sperano di trasformare una delle maggiori piaghe del paese in una cosa del passato». L’accordo sarà presentato oggi, venerdì 28 luglio, alla Commissione Uguaglianza del Congresso dove potranno essere presentate delle singole proposte di integrazione e modifica.
Che cosa prevede il patto
Innanzitutto un finanziamento da un miliardo di euro per i prossimi cinque anni. Per capire le proporzioni: l’Italia lo scorso gennaio attraverso due decreti ha stanziato 31 milioni di euro per gli anni 2017-2018 ripartiti fra tutte le regioni come parte del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità.
L’accordo raggiunto in Spagna contiene misure per estendere e modificare i criteri per la protezione delle vittime includendo anche coloro che non hanno depositato alcuna denuncia penale, in modo che possano accedere alle risorse di sostegno e di cura comunque e in modo completo. Tra le misure più innovative c’è quella che introduce nei reparti di emergenza degli ospedali e nei trattamenti sanitari di base un protocollo grazie al quale i medici potranno identificare e tenere traccia delle possibili violenze: e questo per aiutare a identificare le potenziali vittime quando si verificano i primi abusi. Ci sono poi misure per proteggere le vittime della tratta e dei matrimoni forzati, e gli orfani e i figli delle vittime. Le persone che avranno la responsabilità dei bambini colpiti dalla violenza contro le donne avranno dei benefici fiscali (maltrattante escluso) e l’accesso prioritario agli alloggi sociali. I bambini riceveranno sostegno psicologico e pedagogico, avranno accesso prioritario alle pensioni e alle borse di studio. È stato stabilito poi che non possa esserci alcuna custodia condivisa con i padri violenti.
Dal punto di vista penale saranno eliminate le attenuanti nei processi per maltrattamento, come quella della confessione. Il patto apre anche alla possibilità di non qualificare come reati minori le offese, le calunnie e le aggressioni che avvengono online. Verranno create unità di supporto a livello locale che forniranno assistenza per accompagnare e proteggere le vittime ed è previsto che ciascun caso venga seguito singolarmente per garantire gli aiuti davvero necessari ed evitare nuovi rischi di aggressione. Ci saranno unità di polizia appositamente addestrate alla violenza di genere che forniranno assistenza 24 ore al giorno tutti i giorni della settimana, le scuole di tutti i livelli promuoveranno misure educative per prevenire il machismo, anche attraverso una specifica formazione degli insegnanti, e nei libri di storia sarà incluso il movimento femminista. Sarà promossa un’immagine delle donne libere dagli stereotipi sessisti sui media e sarà sviluppato un codice apposito per le pubblicità. I vari partiti hanno inoltre concordato di creare una commissione al Congresso per controllare il rispetto e la reale applicazione del patto.
L’accordo sarà presentato alla Commissione Uguaglianza del Congresso venerdì 28 luglio. Dopo l’approvazione – che sembra essere molto probabile – il governo avrà due mesi per concordare con le autorità regionali e locali il percorso per mettere in atto molte delle iniziative stabilite e avrà quattro mesi per iniziare ad applicare le linee guida a livello legislativo, anche se ci sono disposizioni che potranno essere introdotte da subito. I vari gruppi politici, alcuni dei quali ritengono che gli accordi siano buoni ma che non siano sufficienti, potranno presentare oggi al Congresso le loro singole proposte di modifica.
I dubbi sul patto
Le deputate del PSOE, Ángeles Álvarez, e quella di Podemos, Ángela Rodríguez, dopo la firma dell’accordo hanno detto che si tratta di un patto importante ma migliorabile. Rodríguez, in particolare, ha parlato di «passi da gigante», ma ha precisato che il risultato finale è comunque «minimo» e che molte misure sono state diluite durante la discussione: «Per noi questo patto è decaffeinato», ha spiegato.
Il problema principale dell’accordo riguarda il primo articolo e ha a che fare con la definizione di “violenza di genere”. Podemos ha cercato di estenderne la definizione, senza però riuscirci, per ora, per includere tutte le forme di violenza contro le donne e non solo quelle commesse da un partner o un ex partner. Podemos critica cioè la differenza prevista nel patto che si verrebbe a creare tra le vittime di abusi in famiglia e le altre vittime di violenza e abusi. «Questa ambiguità può generare vittime di secondo e primo livello», ha detto la deputata di Podemos Sofía Castañón, spiegando che le vittime della violenza domestica sono già protette dalla legge del 2004 fatta dal governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero. «Dobbiamo parlare di violenze machiste al plurale», ha precisato e in questo è sostenuta anche dalle organizzazione femministe spagnole che hanno lanciato l’hashtag #TodasLasViolenciasEnElPacto.
La Convenzione di Istanbul, che è il documento internazionale più autorevole a cui fare riferimento su questi temi e che la Spagna ha ratificato nel 2014, definisce la violenza contro le donne come «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata». Nella convenzione la «violenza domestica» è un sottogenere: indica tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano «all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».
Il Partito Femminista (PFE), oggi confluito in Izquierda Unida, ha rifiutato in modo molto netto il patto dicendo che nessuna delle 200 misure previste vanno in realtà oltre la ripetizione delle norme che già si trovano nella legge del 28 dicembre 2004 «e la cui attuazione in dodici anni è stata pari a zero». Oltre alle modifiche sulla definizione dell’articolo 1 (che è però un problema sostanziale perché da quella dipenderà l’inclusione e l’esclusione di alcune violenze dal patto e da ciò che prevede) saranno presentate al Congresso anche altre questioni rimaste fuori dall’accordo generale e che hanno a che fare con la prostituzione, la gestazione per altri e il diritto all’aborto per le minori di 18 anni senza il consenso dei genitori, possibilità abolita dal governo del Partito Popolare. Su tutti questi temi i vari partiti politici hanno posizioni differenti, spesso nemmeno condivise al loro stesso interno.
I dati
Attualmente in Spagna viene uccisa una donna ogni cinque giorni a causa della violenza domestica (in Italia una donna ogni tre giorni). Si verifica uno stupro o un’aggressione sessuale ogni otto ore. I dati ufficiali dicono che dal 2003, anno da cui vengono tenuti i conti, sono state uccise più di 780 donne. Questa cifra è però relativa, dato che attualmente la legge spagnola riconosce solo la violenza domestica esercitata dal partner o dall’ex partner della vittima. Gli omicidi che si verificano al di fuori di quest’area non rientrano nelle statistiche. Nel 2017 sono state uccise 32 donne e 6 bambini, meno di un terzo di queste donne aveva presentato una denuncia: i dati sono in aumento rispetto a quelli dello scorso anno. A causa delle violenze di genere dal gennaio del 2017 16 minori di 18 anni sono rimasti orfani.
Nel 2016 in Italia sono morte 120 donne ammazzate da un marito, fidanzato o convivente. Negli ultimi 5 anni ci sono stati 774 casi donne uccise, per una media di circa 150 all’anno. Di questi più dell’82 per cento dei delitti commessi contro una donna in Italia sono classificati come femminicidi. Gli autori di femminicidi nella maggior parte dei casi hanno un’età che va dai 31 ai 40 anni, mentre le vittime sono generalmente più giovani (donne tra i 18 e i 30 anni). Nella maggioranza dei casi la donna uccisa è italiana (solo nel 22 per cento dei casi è straniera). Gli assassini sono per il 74,5 per cento di nazionalità italiana.