La California salverà il mondo?
Grazie alle sue ambiziose iniziative per l'ambiente sta diventando un gigantesco laboratorio per capire cosa funziona e cosa no contro il riscaldamento globale
Nei prossimi anni la California sarà uno dei laboratori più importanti per testare politiche e soluzioni contro il riscaldamento globale, che potrebbero essere imitate nel resto degli Stati Uniti e all’estero. Nonostante il presidente Donald Trump abbia deciso di abbandonare l’accordo di Parigi, il più importante trattato sul clima sottoscritto da quasi tutti i paesi del mondo, governatori e sindaci statunitensi hanno annunciato che proseguiranno le loro politiche per ridurre le emissioni, con iniziative autonome e ignorando la decisione assunta da Trump a livello federale. Tra questi, la California è lo stato ad avere preso gli impegni più consistenti, dando seguito alle decisioni già assunte negli ultimi dieci anni per inquinare di meno e ridurre la produzione di anidride carbonica (la CO2 è tra i principali responsabili dell’effetto serra).
Questa settimana il governatore della California, il Democratico Jerry Brown, ha firmato una legge che estende le regole già in corso per il cosiddetto “cap and trade”, il sistema che consente alle aziende di comprare e vendere “buoni” per le emissioni inquinanti (un po’ come avviene nel mercato delle emissioni previsto nel protocollo di Kyoto, ma ci arriviamo dopo). I piani di Brown sono comunque molto più ambiziosi e prevedono interventi per quanto riguarda i mezzi di trasporto, l’organizzazione degli spazi urbani e gli allevamenti, che contribuiscono enormemente alla produzione di gas serra. Il governo della California proverà un po’ di tutto, con la consapevolezza che alcune iniziative potranno rivelarsi efficaci e altre completamente fallimentari. L’obiettivo è non perdere tempo, investire in nuove soluzioni e – per quanto possibile – provare a trarne qualche profitto, oltre ai benefici ambientali. Da queste esperienze potrebbero derivare politiche più incisive contro il riscaldamento globale in altre parti degli Stati Uniti e del mondo.
Come spiega il New York Times, finora negli Stati Uniti le iniziative per ridurre le emissioni di anidride carbonica e di altri gas inquinanti sono state piuttosto standard. Le centrali elettriche di un tempo, a petrolio e a carbone, sono state sostituite in molti stati da impianti più moderni che sfruttano risorse rinnovabili come il vento e la luce solare. L’impegno in questo senso non è stato massiccio, ma ha comunque permesso in una decina di anni di ridurre del 14 per cento le emissioni di CO2 a costi contenuti.
Il problema è che le pratiche standard funzionano solo parzialmente, perché arrivano presto a un punto di saturazione, come dimostra il caso californiano. Lo stato ha riportato i livelli di emissioni a livelli comparabili a quelli del 1990, grazie a centrali meno inquinanti e alle rinnovabili, ma quella era la parte più facile. Come ha spiegato Dan Reicher del Centro per le politiche energetiche e finanziarie di Stanford: “Ogni ulteriore incremento nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica è più difficile da raggiungere del precedente”. Questo significa che per potere ridurre ancora le emissioni, in California dovranno studiare nuovi approcci e tecnologie, che non sono stati ancora utilizzati su larga scala.
Le leggi che la California si è data prevedono che entro il 2030 lo stato produca metà della sua energia elettrica grazie alle fonti rinnovabili, il 25 per cento in più rispetto a oggi. Un obiettivo di questo tipo, che contribuirebbe a ridurre le emissioni di CO2, è molto difficile da raggiungere. Le centrali solari ed eoliche installate finora fanno un buon lavoro, ma in molti casi non riescono a reggere la domanda di energia nel tardo pomeriggio, quando le persone tornano a casa dal lavoro e consumano di più, mentre la resa delle rinnovabili è più bassa. Il problema può essere superato con centrali a batteria, che raccolgono l’energia prodotta di giorno e non utilizzata, distribuendola sulla rete elettrica di sera quando le centrali da sole non riescono a sostenere la domanda. Alcune di queste centrali esistono già e danno buoni risultati, ma costruirne di nuove richiede comunque investimenti e spazi adeguati per svilupparle.
A inizio anno l’Air Resources Board (ARB), la commissione statale che si occupa di coordinare e soprintendere alle iniziative per ridurre le emissioni, ha prodotto un piano con linee guida e consigli per arrivare nel 2030 con una riduzione del 40 per cento delle emissioni, rispetto ai livelli del 1990. Gli interventi in diversi settori, dall’industria ai trasporti, dovrebbero consentire di raggiungere un obiettivo così ambizioso, ma solo a patto di adottare soluzioni molto incisive.
L’ARB dice che le automobili a zero emissioni dovranno essere 4,2 milioni entro il 2030, a fronte delle 250mila attualmente sulle strade della California. Dovranno inoltre essere introdotte leggi per mettere al bando i camion più inquinanti, mentre le città dovranno seguire linee guida per incentivare l’utilizzo dei trasporti pubblici. Alle amministrazioni locali sarà anche chiesto di elaborare progetti urbanistici per facilitare l’uso delle biciclette e rendere più sicuri i percorsi pedonali.
Gli interventi su trasporti e rinnovabili non saranno comunque sufficienti e secondo l’ARB ammonteranno a un quarto del risultato finale, previsto per il 2030. Il resto sarà legato a riduzioni incisive degli inquinanti prodotti dalle industrie, dalla modifica degli edifici per renderli energeticamente più efficienti a sistemi per ridurre i consumi di energia elettrica, per esempio con l’utilizzo di condizionatori d’aria di nuova generazione meno inquinanti e che usano gas refrigeranti meno nocivi per l’ambiente.
Altri provvedimenti dovranno riguardare gli allevamenti di bovini usati per la produzione di carne e latticini: emettono grandi quantità di gas a causa dei processi digestivi degli animali. Si stima che gli allevamenti producano il 55 per cento delle emissioni di metano (altro dannoso gas serra) e le norme californiane impongono che entro il 2018 siano formulate le prime iniziative di legge per limitarle, cui faranno seguito alcuni anni di confronto con le parti in causa prima di arrivare a regole definitive (entro il 2024). Il progetto è osteggiato dagli allevatori, che sono contrari ai sistemi per prelevare il metano evitando che finisca nell’atmosfera, da loro definiti impraticabili, costosi e tali da mettere a rischio le aziende del settore.
Nell’immediato il governatore Brown è comunque convinto che un’estensione del “cap and trade” possa contribuire sensibilmente a ridurre le emissioni, in attesa di provvedimenti di altro tipo che richiedono più tempo per essere realizzati. Nel 2012, quando era governatore il Repubblicano Arnold Schwarzenegger, fu imposto un tetto massimo per le emissioni dei gas serra che fu poi spezzettato in un numero fisso (“cap”) di buoni, che possono essere venduti e scambiati (“trade”) tra i principali produttori di emissioni come le centrali elettriche tradizionali, le grandi industrie e altri. Semplificando, le aziende sono messe davanti a una scelta: comprare i costosi buoni per potere inquinare, oppure ridurre le loro emissioni per non averne bisogno. Il numero complessivo di buoni viene ridotto ogni anno, in modo da renderli più costosi e indurre comunque le aziende a fare investimenti nel medio periodo per inquinare di meno.
L’estensione del “cap and trade” è arrivata dopo un intenso confronto politico, perché negli anni scorsi questa politica non ha portato ai risultati sperati, anche perché molte aziende producevano già meno emissioni del richiesto e non avevano quindi motivo di acquistare i buoni. Le cose dovrebbero cambiare nei prossimi anni con la diminuzione dei permessi, che ne farà salire il costo per chi non si è ancora adeguato alla riduzione delle emissioni, o almeno così spera Brown. Nel migliore scenario possibile, l’ARB calcola che il sistema dei buoni potrebbe portare a un quarto della riduzione di CO2 in programma entro il 2030. La tassazione dei permessi, sempre più costosi, dovrebbe nei primi anni consentire alla California di raccogliere più denaro da reinvestire in nuove politiche e soluzioni contro il riscaldamento globale.
Il governatore Brown negli ultimi mesi è stato molto duro e critico nei confronti di Donald Trump, accusandolo di avere abbandonato l’accordo di Parigi senza pensare al futuro delle nuove generazioni e alle opportunità economiche offerte dalle politiche per ridurre le emissioni. Il messaggio di Brown non è solo rivolto agli altri governatori statunitensi, ma anche ai governanti del mondo, rimasti delusi dalla decisione di Trump, ma comunque determinati a rispettare ugualmente i termini di Parigi. Con 39,3 milioni di abitanti (pari a circa lo 0,5 per cento della popolazione mondiale) la California contribuisce all’1 per cento delle emissioni su scala globale, ma le sue politiche potrebbero comunque avere un importante impatto per stimolare nuove iniziative in giro per il mondo. Il sistema del “cap and trade” californiano è osservato con interesse da economisti e governanti, sia nei paesi dove non è stato mai adottato, sia in quelli dove finora non ha dato i risultati sperati come nell’Unione Europea.