L’ISIS sta resistendo a Marawi
Da due mesi alcuni gruppi estremisti locali che hanno giurato fedeltà all'ISIS controllano parte della città nel sud delle Filippine, nonostante la reazione dell'esercito
Da quasi due mesi una parte di Marawi, città dell’isola meridionale filippina di Mindanao, è sotto il controllo dello Stato Islamico (o ISIS). Nonostante il presidente filippino Rodrigo Duterte abbia inviato l’esercito, i combattenti dello Stato Islamico – che appartengono per lo più a Maute, un gruppo estremista islamista locale, e ad Abu Sayyaf, gruppo prima alleato con al Qaida – finora hanno resistito. Secondo il governo filippino, a Marawi ci sarebbero ancora 220 miliziani, una stima più alta di quella fatta in precedenza dall’esercito, che aveva invece parlato di 60 combattenti. Intanto però sono emersi altri dettagli, che raccontano qualcosa di più su come dei gruppi estremisti relativamente piccoli siano riusciti a prendere il controllo di un pezzo di città, e siano riusciti a difenderla fino ad oggi.
Lo Stato Islamico è riuscito a imporre la propria presenza nel sud delle Filippine grazie all’azione di alcuni gruppi locali che agiscono dove storicamente si è concentrata la guerriglia autonomista e islamista. Non è ancora chiaro quanto aiuto abbiano ricevuto i gruppi locali filippini dai vertici dello Stato Islamico in Iraq e in Siria: inizialmente era sembrato che questi aiuti fossero stati molto limitati, ma un nuovo e completo studio uscito venerdì scorso e realizzato dall’Institute for Policy Analysis of Conflict, un centro di ricerca con sede a Giacarta, in Indonesia, ha mostrato come nell’ultimo anno il comando centrale dello Stato Islamico in Siria abbia mandato decine di migliaia di dollari ai miliziani filippini, permettendo loro di rafforzarsi e conquistare un pezzo di Marawi. L’uomo che avrebbe garantito il trasferimento del denaro, ha scritto l’Institute for Policy Analysis of Conflict, sarebbe Mahmud Ahmad, un esponente di alto livello dello Stato islamico proveniente dalla Malesia e che opera per lo più nella zona di Marawi: Ahmad avrebbe organizzato l’invio di denaro attraverso l’Indonesia, usando i combattenti di Jamaah Ansharut Daulah (JAD), un gruppo estremista islamista illegale in Indonesia e considerato un’organizzazione terroristica dagli Stati Uniti.
Finora il governo delle Filippine ha cercato di minimizzare il problema di Marawi, definendo Maute, il principale gruppo islamista che ha conquistato la città, come un’accozzaglia di trafficanti di droga che hanno poco in comune con l’ideologia fanatica ed estremista dello Stato Islamico in Siria e in Iraq. Lo studio diffuso dall’Institute for Policy Analysis of Conflict, comunque, ha sostenuto una cosa diversa: Maute non avrebbe agito in maniera casuale, ma con ambizioni strategiche molto serie, muovendosi attraverso una sofisticata struttura di comando che coordina parte dei gruppi simpatizzanti dell’ISIS nel sud-est asiatico (quindi anche in Thailandia, Indonesia e Malesia). Inoltre avrebbe ricevuto decine di migliaia di dollari non solo dai vertici dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, ma anche da ricchi musulmani filippini insoddisfatti dell’azione del governo centrale di Giacarta.
La battaglia di Marawi è stata la più importante conquista dell’ISIS al di fuori dei confini del Califfato dalla presa della città libica di Sirte. Sidney Jones, direttore dell’Institute for Policy Analysis of Conflict, ha detto: «Il rischio non terminerà quando l’esercito dichiarerà la vittoria. L’Indonesia e la Malesia dovranno affrontare nuove minacce sotto forma di miliziani estremisti che ritornano da Mindanao, e le Filippine ospiteranno nel loro territorio delle piccole cellule sparse con la capacità di produrre sia violenza che indottrinamento». Intanto diversi paesi della regione del sud-est asiatico, tra cui Indonesia e Malesia, preoccupati di una eventuale espansione dello Stato Islamico nell’area, hanno già annunciato l’invio di aiuti militari al governo delle Filippine; lo stesso hanno fatto Singapore, Stati Uniti e Australia.