Cosa dicono le mogli dei miliziani dell’ISIS
Ne ha intervistata qualcuna BuzzFeed, che ha avuto accesso a una specie di prigione speciale in un campo profughi a nord di Raqqa
Borzou Daragahi, inviato di BuzzFeed in Siria, è riuscito a parlare con alcune donne sposate con miliziani dello Stato Islamico (o ISIS), catturate dalle forze curde che da alcuni mesi stanno cercando di riconquistare Raqqa, in Siria. Negli ultimi anni i giornali internazionali hanno raccolto diverse testimonianze di donne rapite, tenute prigioniere e obbligate a sposare controvoglia i miliziani, ma le storie di donne siriane e straniere che hanno consapevolmente sposato alcuni di loro sono molto più rare.
Le forze curde che stanno combattendo a Raqqa, alleate con gli Stati Uniti, sono riuscite a catturare almeno una decina di famiglie di sospetti foreign fighters, cittadini stranieri che negli anni scorsi hanno viaggiato in Siria per unirsi allo Stato Islamico. Le donne catturate sono state messe in una prigione rudimentale in un campo profughi a nord di Raqqa che ospita circa cinquemila persone, e che in parte è finanziato dall’ONU. Vengono trattenute nonostante non abbiano ricevuto alcuna accusa formale, e un funzionario curdo ha spiegato a BuzzFeed che vivono separate dal resto degli abitanti del campo sia per proteggerle da eventuali vendette – «è possibile che i loro mariti abbiano ucciso dei parenti di alcuni abitanti» – sia perché il resto del campo «potrebbe essere spaventato da loro». BuzzFeed spiega che nessuna di queste donne dice di appoggiare lo Stato Islamico, e che tutte quante insistono sul fatto che i loro mariti non erano poi così radicalizzati (o che non erano davvero a conoscenza delle violenze compiute dal gruppo terrorista). Ma BuzzFeed avverte anche che le loro storie «sono piene di buchi e contraddizioni» e che tutte quante hanno raccontato delle cose «impossibili da verificare».
Una delle storie più difficili è quella di Omry, una donna tunisina di 29 anni che è arrivata in Siria nel maggio 2013 insieme a suo figlio di due anni e a suo marito, che voleva unirsi allo Stato Islamico. Scrive BuzzFeed:
Omry racconta che suo marito rimase ucciso alla fine del 2014, combattendo i ribelli siriani. Dopo la sua morte, Omry fu assegnata a un dormitorio che lo Stato Islamico riservava alle vedove dei miliziani e ai loro figli. La struttura era gestita da un funzionario dell’ISIS di nome Um Adab, un marocchino che trattava male sia le donne sia i bambini, e che a volte gli negava pannolini e medicine. Alle donne era permesso lasciare l’edificio solamente per un’ora al giorno, e sotto scorta. Omry ipotizza che fosse tutta una tattica per spingere le donne a risposarsi con un altro miliziano. Lei stessa cedette, e tempo dopo si risposò con un combattente tunisino. Sei settimane fa Omry, il secondo marito e i suoi due figli si sono consegnati alle forze curde che sono entrate nel loro quartiere di Raqqa.
Alcune fra le donne tenute prigioniere raccontano di non essersi rese conto delle violenze che compiva lo Stato Islamico nei confronti dei suoi nemici e dei civili. Nour Khairadania, una 19enne indonesiana che sostiene di essere arrivata in Siria due anni fa assieme a 25 suoi parenti, ha raccontato a BuzzFeed: «guardavamo dei video che mostravano quanto fosse bella la vita nei territori controllati dall’ISIS. Pensavamo che le notizie negative fossero delle bugie. Quando ti innamori di qualcuno vedi solo il suo lato positivo: se qualcuno ti dice che lui o lei non vanno bene per te, non ascolti». Khairadania pensava soprattutto che in Siria lo Stato Islamico garantisse copertura sanitaria ed educazione gratuita per tutti i suoi cittadini: ha capito che non era vero quando i miliziani le hanno sequestrato il passaporto e negato i benefici da cittadina dopo che i suoi parenti maschi avevano rifiutato di unirsi alla lotta armata.
Nadja Ramadan, una 28enne dalla doppia cittadinanza tedesca e libanese e con una storia di problemi mentali, ha raccontato di essere arrivata in Siria nel luglio 2014 insieme al suo secondo marito, che ora si trova in un carcere di Kobane, città curda nel nord della Siria. Le autorità curde che la trattengono in un carcere vicino Raqqa le hanno sequestrato il passaporto. Intervistata da BuzzFeed, ha raccontato: «non sono venuta qui per la guerra o per combattere. Sono venuta qui per mio marito, questa è la verità. Non guardavo la tv, non sapevo niente. Non volevo sapere».