Baggio pensa ancora a quel rigore

E dice che l'amarezza per quell'errore nella finale dei Mondiali del 1994 forse «non passerà mai»


Il portiere brasiliano Taffarel consola Roberto Baggio dopo la finale
(AP Photo/Luca Bruno)
Il portiere brasiliano Taffarel consola Roberto Baggio dopo la finale (AP Photo/Luca Bruno)

In un’intervista con il Corriere della Sera, l’ex calciatore italiano Roberto Baggio – che ha da poco compiuto 50 anni – ha parlato anche di una delle cose per cui è suo malgrado più famoso, il rigore sbagliato nella finale dei Mondiali del 1994 negli Stati Uniti tra Italia e Brasile, che fece vincere al Brasile la Coppa del mondo. Quel rigore sbagliato è diventato uno dei momenti più famosi della storia del calcio e Baggio – uno dei calciatori italiani più forti di sempre, che nel 1993 aveva vinto il Pallone d’Oro – ha detto che ci pensa ancora, e che fa ancora male.

Ma può non bastare. Nella sua autobiografia lei racconta di avere sognato spesso il rigore di Pasadena, finale Mondiale 1994 contro il Brasile. E in sogno la palla entrava. Le capita ancora?
«Mi capita di ripensarci».

E aggiungeva che prima o poi avrebbe trovato il senso di quell’errore, come lei ricorda «l’unico rigore della mia vita che abbia tirato alto, gli altri che ho sbagliato me li hanno parati i portieri». Sono passati 23 anni: l’ha trovato, quel senso?
«No, non ancora».

Ma ripensarci fa meno male, a distanza?
«No, è la stessa amarezza del 1994. Non è diminuita. Non passerà mai, penso».

Eppure adesso è qui, con la tuta, le scarpe e la maglia rievocativi di quel Mondiale…
«Sì, perché mi piacerebbe tornare indietro, a quegli anni. Recuperarli è piacevole, sono ricordi intimi, profondi e bellissimi. A parte il finale».

E perché, nonostante quel finale, resta un ricordo bello?
«Perché il percorso fu denso di significato: per la fatica, le difficoltà e per il carattere e le determinazione con cui ne siamo usciti. Rivivere quei momenti è bello. Non avrei mai pensato che un giorno la gente avrebbe voluto indossare quello che noi indossavamo allora. Vuol dire che forse ho lasciato qualcosa di bello e di profondo. Anche se…».

Anche se?
«Anche se è il Mondiale del 1990 quello in cui mi sentivo di poter fare qualsiasi cosa».