Cosa succede se va via la corrente in un paese intero
E uno grosso, tipo gli Stati Uniti: l'Economist ha provato a immaginare le conseguenze di una "tempesta solare" per una grande nazione avanzata
Ogni anno, la serie di articoli “The World if” (“Il mondo se”) del settimanale Economist raccoglie una serie di scenari ipotetici sul futuro del mondo a breve-medio termine. Nella serie di quest’anno, il settimanale ha provato a immaginare come sarebbe il mondo se Trump vincesse per la seconda volta le elezioni, se tutti i paesi del mondo aprissero i loro confini ai migranti e se l’Impero Ottomano non fosse mai crollato. Uno degli scenari più inquietanti che il settimanale prova a esaminare sembra uscito da un film di fantascienza catastrofico: cosa accadrebbe se una tempesta solare distruggesse le infrastrutture elettriche di un’intera nazione?
Una tempesta solare è l’effetto che produce sul nostro pianeta un’improvvisa attività sulla superficie del sole. Queste “eruzioni solari”, chiamate tecnicamente “espulsioni di massa coronale”, sono costituite da plasma che viene trascinato lontano dal campo magnetico della corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera della stella che si estende per centinaia di migliaia di chilometri. La “nube” di questo materiale, quando arriva sulla terra, di solito tra le 24 e le 36 ore dal momento dell’eruzione, può interferire con i nostri satelliti o se particolarmente forte può causare danni sulla superficie terreste. Semplificando, le tempeste più forti generano fortissime scariche di corrente elettrica che possono essere “raccolte” dalla nostra rete elettrica e mandarla in sovraccarico.
Il 13 marzo del 1989 un’eruzione solare mise fuori uso la rete elettrica canadese per nove ore. Nel luglio del 2012, la nube di materiale espulso dal sole mancò di poco la Terra. Se avesse colpito il nostro pianeta, avrebbe potuto mettere fuori uso un quarto dei trasformatori ad alto voltaggio di tutti gli Stati Uniti (i trasformatori sono delle parti essenziali, ma vulnerabili, delle nostre reti elettriche). Nel futuro, altre tempeste solari saranno inevitabili, scrive il settimanale. Cosa accadrebbe, se una di queste, ancora più forte di quella del 2012, colpisse in pieno un paese come gli Stati Uniti?
Intanto, bisogna precisare che tutta la rete elettrica americana per funzionare si basa su circa 2.500 grossi trasformatori, alcuni dei quali pesano più di 400 tonnellate e sono vecchi quasi mezzo secolo. In tutto il mondo si possono costruire un massimo di circa 500 trasformatori all’anno. Una volta fatto richiesta di uno di questi pesanti macchinari, ci vuole circa un anno per vederselo consegnare. A quel punto, bisogna portarlo fino al luogo di destinazione: il che non è sempre facile, viste le sue dimensioni.
Dopo una tempesta solare di forza sufficiente, una buona parte di questi trasformatori diventerebbe improvvisamente inutilizzabile. Alcuni, probabilmente, prenderebbero fuoco, danneggiando ulteriormente il sistema. Il risultato sarebbe un black out totale nel giro di pochi secondi. Nel mondo senza più corrente elettrica le telecomunicazioni, da internet ai telefoni fissi a quelli mobili, non funzionerebbero più. Si interromperebbe anche il controllo del traffico aereo, e questo produrrebbe probabilmente decine o centinaia di incidenti; non funzionerebbero più gli ascensori e decine di migliaia di persone si troverebbero intrappolate al loro interno in tutto il paese.
Il racconto dell’Economist prosegue immaginando le altre conseguenze del black out. Il caos creato dalla mancanza di energia porta molte persone a prendere i supermercati d’assalto. Il carburante viene razionato e utilizzato per mantenere in funzione i generatori di ospedali e strutture governative, che devono essere protette dall’esercito. È improbabile però che le forze armate americane siano sufficienti per garantire l’ordine. L’Economist calcola che ci sarebbe un soldato disponibile ogni 360 abitanti.
Senza elettricità, i sistemi di pompaggio e distribuzione dell’acqua non funzionano più. Non funzionano nemmeno i sistemi di scarico, quindi feci e altri rifiuti iniziano ad accumularsi. Dopo poche settimane le grandi città diventano trappole mortali: luoghi in cui milioni di esseri umani sono concentrati senza i mezzi di sostentamento necessari a sopravvivere. A questi problemi si aggiungono le epidemie: scarsa igiene e poca acqua portano alla rapida diffusione di malattie come il colera. In breve, nelle città portuali inizieranno ad arrivare navi con aiuti umanitari, ma difficilmente in quantità tali da soddisfare tutti gli abitanti – per non parlare di quelli delle grandi metropoli dell’interno.
Dalle città inizia quindi una migrazione verso le campagne, l’unico luogo in cui è ancora possibile produrre cibo. Ma nel frattempo la produttività dei grandi campi del Midwest americano è crollata. Non c’è acqua con cui irrigare i campi, né carburante con cui far funzionare le macchine agricole. Gli abitanti delle campagne hanno a malapena cibo sufficiente per sfamare sé stessi e le proprie famiglie. Si formano milizie di agricoltori per resistere all’arrivo degli affamati abitanti delle città.
Secondo l’Economist, ci vorrebbero lunghi mesi per far sì che l’area colpita abbia corrente elettrica anche soltanto per poche ore al giorno, e questo risultato sarà comunque possibile solo se decine di paesi accetteranno di smontare i loro trasformatori e spedirli in tutta fretta verso gli Stati Uniti. Nel frattempo la mortalità è schizzata alle stelle. Sei mesi dopo la tempesta solare, il governo dichiara la fine della legge marziale. Nel frattempo sono morti 7 milioni di americani e circa 350 mila cittadini canadesi.
Quello che dipinge l’Economist può sembrare uno scenario esagerato: sei mesi senza corrente elettrica e torneremmo a milizie rurali che difendono i loro campi con le armi? Sembra difficile da credere che la nostra patina di civiltà e rispettabilità sia davvero così sottile, ma diversi episodi degli ultimi anni sembrano mostrare che lo scenario dipinto dal settimanale non è poi così irrealistico. Nel 2010, appena tre ore dopo il collasso della rete elettrica cilena a causa di un fortissimo terremoto, erano già iniziati i saccheggi. L’ammiraglio responsabile della gestione della legge marziale ha raccontato al settimanale che se non fosse stato per i militari presenti, medici e infermieri non si sarebbero nemmeno recati nei loro ospedali. Nel 2005, dopo l’uragano Katrina che devastò New Orleans, moltissimi poliziotti non si presentarono al lavoro: preferirono rimanere a casa a proteggere le loro famiglie.
Proteggersi dai rischi di una tempesta solare non è impossibile, racconta l’Economist, ma non è chiaro quanto costerebbe: si parla di centinaia di milioni di euro, o addirittura diversi miliardi. Gli Stati Uniti sono uno dei pochi paesi che hanno studiato seriamente il problema, anche perché gli stessi effetti di una tempesta solare potrebbero essere generati da un’esplosione nucleare ad alta quota. Al momento, tutti i dispositivi sensibili delle forze armate americane sono schermati contro questo tipo di rischi, così come tutti i sistemi della Casa Bianca. Il sistema elettrico civile, invece, è tutta un’altra storia.
Intanto non è chiaro chi se ne dovrebbe occupare. I vari dipartimenti pubblici si rimpallano la responsabilità. Secondo i responsabili della sicurezza civile, l’Homeland Security, tocca ai militari occuparsene. Secondo i militari, invece, essendo la rete elettrica un’infrastruttura civile, non è di loro competenza. Secondo i produttori di energia elettrica, in gran parte operatori privati, il compito di investire nella sicurezza della rete non è certo loro: tocca al governo, non importa quale dipartimento in particolare. Per il momento, quindi, sembra che non si faranno molti progressi. Come racconta l’Economist, gli operatori elettrici americani hanno impiegato dieci anni per mettere a punto un semplice piano di prevenzione per evitare che la caduta di un albero tagliasse la corrente elettrica a mezzo paese.