La mafia non è mai stata così debole
Lo racconta un reportage di Lorenzo Tondo su Internazionale: il potere e i business mafiosi sono ridimensionati e condivisi con altri, soprattutto con la 'ndrangheta
Lorenzo Tondo, un giornalista palermitano che collabora con diversi giornali in tutto il mondo ma soprattutto con il Guardian e il New York Times, ha scritto per il settimanale Internazionale un lungo articolo di indagine sulle condizioni attuali del potere e degli affari mafiosi in Sicilia, parlando con giudici, avvocati ed esperti. Per spiegare che la mafia di cui oggi si parla soprattutto nelle commemorazioni delle stragi, quella degli anni Novanta, era un’altra cosa da quella che è oggi, e soprattutto molto più potente.
Era una mattina come tante altre, a Palermo. E come ogni mattina, intorno alle 7.50, il boss Giuseppe Dainotti era uscito di casa e si era messo in sella alla sua bicicletta, con tanto di cestino per la spesa e portazainetto. Ogni giorno, infilando via d’Ossuna, nel cuore del quartiere Zisa, pedalava fino al suo bar, poco distante da lì. Una pedalata di 500 metri che, da quando aveva messo piede fuori del carcere, poco più di un anno fa, era diventata una salutare consuetudine, interrotta da due colpi di pistola, uno al torace e uno alla testa.
Ancora assonnati, i residenti faticavano a capire cosa fosse successo. Il corpo senza vita di Dainotti giaceva da dieci minuti in una pozza di sangue e in tanti avevano confuso l’eco dei colpi di pistola con i fuochi d’artificio che i ragazzi del quartiere fanno scoppiettare a qualsiasi ora del giorno. Mai avrebbero immaginato che cosa nostra fosse tornata a colpire impugnando una calibro 44, proprio come ai vecchi tempi. D’altronde, a Palermo la mafia non premeva il grilletto da tre anni, due mesi e dieci giorni.
Quel giorno la città era tutta un fermento. Era il 22 maggio 2017 e mancavano ormai poche ore alle celebrazioni del venticinquesimo anniversario della strage di Capaci in cui furono uccisi Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della loro scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Ancora oggi, dai piani alti dell’antimafia non escludono le coincidenze e avvertono che la mafia in Sicilia è viva e vegeta, semmai qualcuno se ne fosse scordato.
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