C’è ancora qualcosa che non sapete su Game of Thrones
Un po' di aneddoti e curiosità non banali sull'intricata saga fantasy poi diventata la serie tv più seguita al mondo
Il settimanale statunitense Time, quello della persona dell’anno, ha dedicato la storia di copertina dell’edizione del 10 luglio a Game of Thrones, l’imponente serie tv ricominciata da poco con la settima e penultima stagione. L’articolo, che si intitola “Come si fa a fare la serie tv più popolare al mondo” ed è scritto dal critico televisivo Daniel D’Addario, è piuttosto lungo e pieno di informazioni, interviste e curiosità sulla serie, su chi l’ha inventata, sugli sceneggiatori e i tecnici che ci lavorano e su quelli che ci recitano. È stato scritto prima della nuova stagione, quindi se non avete ancora visto la prima puntata della settima, tranquilli, non ci sono spoiler. L’unico problema sarà resistere alla voglia di guardarla subito dopo aver letto tutte queste cose interessanti e alla nostalgia preventiva di quando sarà tutto finito.
D’Addario ha scritto che, per i mezzi e i lavoratori coinvolti, girare una stagione da dieci episodi di Game of Thrones è come girare cinque film ad alto budget. Ormai ogni episodio non costa meno di dieci milioni di dollari, è trasmesso in più di 170 paesi, è visto in media da più di 20 milioni di persone (solo negli Stati Uniti: aggiungeteci il resto del mondo e tutti i download illegali, considerando che è la serie tv più scaricata di sempre). Tra le serie da prima serata, Game of Thrones è quella ad aver vinto più Emmy (gli Oscar della tv) ed è sempre seguitissima, discussa e analizzata in ogni suo minimo dettaglio e citatissima. Si può non guardarla, ma è difficile non aver mai sentito parlare di un tale Jon Snow, di quelle maledette Nozze rosse o del dannato inverno che sta arrivando (anzi: è arrivato).
Secondo D’Addario, la principale forza di Game of Thrones sta nel fatto che – nonostante draghi, zombie, giganti, magia, religione, morti, risorti, battaglie, tradimenti, incesti, complotti e casini vari – ruota sempre attorno a una semplicissima domanda: «Alla fine, chi vince?». Inoltre riesce a unire «la complessità psicologica delle migliori serie tv e la magnificenza della Hollywood di un tempo. Ti piacciono le serie tv con un eroe negativo? Bene, Game of Thrones ha cinque Tony Soprano che costruiscono i loro regni sul sangue, cinque Walter White che scoprono fino a dove possono spingersi per vincere, cinque Don Draper, per niente dispiaciuti del loro narcisismo. Ah: tutto questo succede in mezzo a dei bellissimi scenari fantasy».
D’Addario elenca anche quelle che, secondo lui, sono le tre regole principali di Game of Thrones. La prima in assoluto la segnaliamo però noi, anche se dovrebbe averla ormai imparato qualsiasi spettatore che abbia superato anche solo la prima stagione: mai, MAI, affezionarsi troppo a un personaggio. Quelle di D’Addario sono invece queste:
«Primo: il magico esiste. Secondo: l’inverno sta arrivando. Le stagioni [meteorologiche, non televisive] possono durare anni e la serie inizia quando una lunga estate sta finendo [e prima dell’inverno non c’è l’autunno]. Terzo: nessuno è al sicuro. Nuove religioni sono in conflitto con quelle vecchie, case rivali hanno ambizioni per la conquista del Trono di Spade e un esercito di non-morti si sta dirigendo verso il confine che protegge la civiltà, la Barriera.
I libri, e come sono diventati serie tv
Nel 1996 George R.R. Martin pubblicò A Game of Thrones, il primo libro di quella che doveva essere una trilogia ed è diventata una saga di sette libri (di cui ne sono usciti solo cinque). Martin aveva scritto molte cose per la tv (per esempio la serie Ai confini della realtà) ma aveva in mente qualcosa di più grandioso, «tanto grande quanto la mia immaginazione», disse. E ancora: «Voglio poter mettere tutti i personaggi che mi pare, castelli immensi, draghi e meta-lupi, centinaia di anni di storia, e una trama incasinatissima». Per questo Martin pensò ai libri: era tutto troppo grande e intricato per finire in tv. Passarono gli anni, uscirono altri libri – che piacquero molto e a tanti, pur restando nella nicchia del fantasy – e qualcuno iniziò a paragonare Martin a J. R. R. Tolkien, l’autore del Signore degli Anelli, il romanzo che nei primi anni Duemila divenne una trilogia cinematografica di grandissimo successo: andarono benissimo gli incassi, i tre film vinsero 17 Oscar e piacquero molto anche alla critica.
Dato che il Signore degli Anelli era andato così bene, non poteva accadere lo stesso con una nuova saga fantasy? Qualcuno pensò allora che anche Game of Thrones sarebbe potuto diventare una storia da grande schermo, magari concentrandosi solo su una singola storia. Martin rifiutò le varie proposte di parlare solo di Jon Snow o di Daenerys Targaryen e fece bene: dopo un po’ arrivarono David Benioff e D.B. Weiss,«due romanzieri di medio calibro», come li definisce D’Addario, che sarebbero diventati gli sceneggiatori e i produttori della serie. Benioff e Weiss convinsero Martin a collaborare con loro e Carolyn Strauss, responsabile dei contenuti di HBO a finanziare il progetto.
Benioff e Weiss «divennero showrunner [la parola inglese per definire chi ha il controllo di una serie tv] senza aver mai gestito uno show prima». Benioff aveva scritto il romanzo da cui era stato tratto il film La 25ª ora; Weiss aveva scritto un libro meno famoso ma, a differenza di Benioff aveva qualche esperienza di sceneggiatura televisiva. Nel 2009 girarono il pilota (l’episodio zero di una serie, una sorta di prova generale), che a posteriori ha un po’ di difetti che cambierebbero, come i capelli troppo biondi, «alla Eminem» di Tyrion Lannister.
La produzione
È complicata, con diversi set in diversi paesi del mondo (Irlanda del Nord, Croazia, Spagna, Islanda, Malta, Marocco e Canada) e, per ognuno, registi, assistenti, tecnici, truccatori, eccetera. Joe Bauer, responsabile degli effetti visivi, ha detto: «Nella prima stagione c’era un solo grande evento; nella seconda sono diventati due e ora ogni episodio è un grande evento». Per fortuna però, almeno i draghi – che secondo Matt Shakman, uno dei registi della serie, sono grandi come dei Boeing 747 – hanno smesso di crescere: un po’ di lavoro in meno per chi li deve fare. Ma ognuno ha un lavoro piuttosto duro, sui set di Game of Thrones: c’è chi realizza centinaia di armi, scudi e armature; chi disegna e cuce i vestiti (quelli di Daenerys sono i più difficili, stando alla costumista Michele Clapton). Il set principale è a Belfast, in Irlanda del Nord, dove Benioff e Weiss passano circa sei mesi l’anno, ricevendo ogni giorno di riprese aggiornamenti e video su quanto fatto negli altri set.
Gli attori
Molti sono inglesi e quasi nessuno statunitense. Tra quelli che ci sono dall’inizio – un gran traguardo, dato il tasso di mortalità di Game of Thrones – è Maisie Williams: aveva 14 anni quando interpretò Arya Stark per la prima volta e ora ne ha 20. In ogni episodio «gran parte dei 23 milioni di spettatori tifa perché uccida alcuni dei personaggi con cui recita», ha scritto D’Addario. Una delle fortune di recitare in Game of Thrones è che anche i cattivi piacciono: un po’ perché i davvero buoni non ci sono, e un po’ perché tutti sgozzano, vendicano, avvelenano. Lena Headey, che interpreta Cersei Lannister, ha detto che la gente, rivolgendosi a lei come fosse il suo personaggio, le diceva «oddio, sei proprio una stronza»; ora invece c’è anche chi fa il tifo per lei, nonostante tutto.
Peter Dinklage, che interpreta il fratello di Cersei (quello che vuole uccidere, non quello con cui va a letto), ha detto che in genere evita «la parte delle librerie con i libri fantasy» e che del genere ha letto solo Il Signore degli Anelli. Game of Thrones però lo apprezza molto, soprattutto perché «per la prima volta in un prodotto di questo tipo un attore come me [è affetto da nanismo] può interpretare un personaggio multidimensionale, senza dover per forza avere la barba lunga, le scarpe a punta e una generale asessualità di fondo». Dinklage è tra l’altro l’unico statunitense tra gli attori principali: ha detto che ogni anno, quando riceve il copione, va subito all’ultima pagina e poi da lì lo sfoglia dalla fine all’inizio: «Non lo faccio con i libri, ma non posso mettermi a leggere la prima pagina del primo episodio senza sapere se alla fine sono vivo o morto».
Le controversie
La trama e i colpi di scena di Game of Thrones continuano a far discutere i fan a distanza di anni, ma non sono gli unici argomenti controversi della serie come riporta D’Addario. Ci sono state per esempio discussioni per le molte scene di nudo, in particolare per quelle sessualmente violente. «Molti dei principali personaggi femminili sono stati vittime di violenze in qualche scena della serie», ha scritto D’Addario. In una scena andata in onda nel 2015, Sansa Stark – interpretata da Sophie Turner, allora diciannovenne – viene stuprata da suo marito Ramsey Bolton. Turner ha detto: «La cosa divenne trending topic su Twitter: ti fa chiedere perché non succede nella vita vera». Benioff e Weiss hanno pensato molto se girarla o no e poi hanno deciso di farlo perché «lei era spostata con uno psicopatico, in una distorta società feudale»; non c’era modo di evitare quella situazione, non senza farla sembrare falsa. Secondo D’Addario le scene ambientate nei bordelli sono diminuite: «È in momenti come questo che il successo di Game of Thrones sembra ottenuto con un equilibrio precario, a metà tra la volontà di scioccare e il rischio di spingersi troppo oltre».
La fine della fine
Niente spolier, ovviamente. Perché anche volendoli fare, non lo sappiamo noi e non lo sa D’Addario, come finisce la serie. Lo sanno invece Benioff e Weiss, come racconta D’Addario: «Quando sono andato da loro, a marzo, a Los Angeles, stavano già scrivendo l’ultima stagione». Dell’ultimissimo episodio, il sesto dell’ottava stagione, Weiss ha detto: «Sappiamo già cosa succede, scena per scena». Martin sta ancora scrivendo il finale dei libri, che usciranno dopo la fine della serie tv, e i finali potrebbero essere quindi molto diversi. Nel 2013 Martin diede a Weiss e Benioff gli ultimi aggiornamenti sulla trama ma, come ha spiegato quest’ultimo, «Certe cose che ci disse quel giorno sono intanto successe nella serie, altre non succederanno. E ci sono anche cose che George [R. R. Martin] non sapeva sarebbero successe, quindi le abbiamo dovute scoprire noi».
Intanto, Benioff e e Weiss devono fare una gran fatica per evitare che qualcuno di troppo venga a sapere il finale: «Guarda quanto è difficile proteggere le informazioni. Non ci riesce la CIA. Non ci riesce la NSA. Come possiamo farcela noi?». Intanto ci stanno provando, e poi – una volta finito tutto, mentre forse arriverà qualche spin-off di Game of Thrones – si dedicheranno a Confederate, una serie ambientata in una realtà alternativa in cui i sudisti hanno vinto la Guerra Civile americana, ottenendo così la secessione dal Nord unionista e mantenendo la schiavitù. La serie si svolgerà alcuni anni dopo quella vittoria, quando ci sarà il rischio di una nuova guerra civile.