E se l’Impero Ottomano non fosse stato annientato?
Il Novecento probabilmente sarebbe stato molto diverso, come tutto il Medio Oriente, ipotizza l'Economist
Ogni anno l’Economist pubblica una serie di articoli, più o meno scherzosi, in cui prova a immaginarsi “Il mondo se…“, facendo diversi ipotesi su come starebbero le cose se si fossero verificati o si verificassero certi eventi particolari. Quest’anno ha provato a chiedersi come sarebbe il mondo se la clonazione umana fosse una realtà, se Trump venisse eletto per un secondo mandato o se, improvvisamente, i paesi del mondo decidessero di accogliere tutti i migranti. Tra le altre domande a cui ha provato a rispondere l’Economist quest’anno c’è anche: come sarebbe il mondo se l’Impero Ottomano esistesse ancora?
È l’estate del 1915 e a bordo di una corazzata ancorata a largo della neutrale Norvegia sono radunati gli emissari di tutte le potenze Alleate: Regno Unito, Francia e Russia. La Prima guerra mondiale è scoppiata ormai da un anno e sul fronte occidentale, tra Francia e Germania, sono già morti un milione di uomini: nessuno ha idea di come far breccia nell’intricato sistema di trincee e fortificazioni di entrambi i fronti e mettere così fine ai combattimenti.
Gli alleati sono in cerca di soluzioni creative: se a Ovest, tra Germania e Francia, non si riesce a fare progressi, forse la fine della guerra deve passare per l’Oriente. Per questo motivo, a bordo della corazzata ci sono anche gli inviati del Sultano, il sovrano dell’Impero Ottomano. Un tempo, era una delle potenze più temute al mondo. Fino non molte generazioni fa, il Sultano governava dall’Algeria fino ai confini dell’attuale Iran. Erano suoi vassalli i Tatari della Crimea, così come gli abitanti del Sudan. Per due volte i suoi eserciti si erano spinti fino al centro dell’Europa, arrivando ad assediare Vienna. In tutto il Mediterraneo, le popolazioni costiere vivevano con la preoccupazione delle scorrerie dei suoi corsari, che ogni primavera partivano dai porti del Nord Africa per andare a caccia di schiavi.
Nel 1915, questa potenza era oramai soltanto un ricordo. Il vecchio Impero aveva perso quasi tutti i Balcani, che si erano frammentati in una serie stati indipendenti non troppo diversi da quelli che vediamo oggi. La Francia si era presa Algeria e Tunisia, l’Italia la Libia e le isole del Dodecaneso, mentre il Regno Unito di fatto controllava l’Egitto. Ma, anche se diminuita, la potenza dell’Impero meritava ancora di essere tenuta in conto. I tedeschi da tempo cercavano di portarlo dalla loro parte e per questo Regno Unito e Russia erano costretti a tenere truppe ai confini con l’impero, truppe che sarebbero state molto più utili per combattere i tedeschi.
Le condizioni che offrono gli alleati, quindi, devono essere generose: la Francia alleggerisce l’enorme debito pubblico che la Turchia ha contratto nei suoi confronti, la Russia rinuncia alle sue pretese territoriali (sono secoli che gli Zar cercano di impossessarsi dello stretto dei Dardanelli) e il Regno Unito taglia il prezzo di due navi da guerra che i suoi cantieri navali stanno costruendo per l’Impero (alcuni, all’inizio della guerra, avevano suggerito di requisire quelle navi per la marina britannica: un gesto che, col senno di poi, avrebbe potuto significare la guerra).
Gli emissari del Sultano accettano. L’incontro sulla corazzata, infatti, non è che l’ultimo atto di una lunga trattativa. In poco tempo, l’esercito dell’Impero inizia a combattere gli alleati balcanici della Germania. Russi e britannici possono spostare in Europa le truppe impegnate a sorvegliare i loro confini più remoti. L’apertura dello stretto dei Dardanelli permette agli Alleati di inviare rifornimenti in Russia tramite il Mar Nero. Quando la Bulgaria si arrende alle truppe del Sultano e l’esercito imperiale si prepara ad attaccare l’Austria-Ungheria, l’alto comando tedesco avverte l’Imperatore che la guerra non può più essere vinta. Poco dopo, gli Stati Uniti annunciano la loro entrata in guerra e la Germania è costretta ad arrendersi. Secondo gli strateghi, l’intervento turco ha accorciato la guerra di almeno un anno e ha salvato un numero incalcolabile di vite umane.
La fine del conflitto facilita importanti riforme nell’Impero Ottomano. La mobilitazione di milioni di uomini, appartenenti a tutte le numerose etnie che popolano le terre del Sultano, insieme alle dichiarazioni del presidente americano Woodrow Wilson, che ha promesso che dopo la guerra tutti i popoli potranno decidere liberamente il loro futuro, hanno suscitato ovunque rivendicazioni nazionaliste. Il sultano Mehmet V emana un proclama in cui annuncia l’autonomia per tutti i popoli che vivono sotto l’Impero. A lui rimane il titolo di Califfo, capo supremo dell’Islam, e quello di comandante degli eserciti imperiali. Sotto di lui arabi, curdi, armeni ricevono ampi poteri per potersi governare da soli. Quando una setta di fanatici religiosi guidata da un leader tribale, Ibn Saud, si ribella nella penisola arabica, l’esercito del Sultano interviene per stroncare la rivolta.
L’Impero rimane, come nella sua lunga storia, un paese di tolleranza e convivenza religiosa: l’unica strada possibile per tenere insieme una confederazione così eterogenea. Quando negli anni Trenta nell’Europa centrale cominciano una serie di feroci persecuzioni contro gli ebrei, il Sultano apre le sue porte ai migranti, come fecero i suoi predecessori all’epoca delle persecuzioni spagnole del Quindicesimo secolo. Decine di migliaia di ebrei arrivano a stabilirsi nella provincia di Gerusalemme.
Il racconto ipotetico dell’Economist finisce così: come sappiamo, però, la storia è andata in maniera diversa. Non ci fu nessun incontro a bordo di una corazzata a largo della Norvegia. L’Impero scelse di combattere accanto alla Germania, anche perché già nei primi giorni di guerra il ministro britannico della Marina, Winston Churchill, decise di sequestrare due costose e moderne navi da guerra che il Sultano aveva commissionato ai cantieri navali britannici: uno sgarbo che segnò profondamente le successive relazioni diplomatiche tra i due paesi.
Per quattro anni di conflitto, lo stretto dei Dardanelli rimase chiuso e rifornire la Russia di armi e materie prime si rivelò un compito molto difficile per gli Alleati. Centinaia di migliaia di soldati russi, francesi e tedeschi rimasero per tutto il conflitto impegnati a combattere le truppe turche, invece di concentrarsi contro la Germania. Un milione di loro rimase ferito o ucciso in cruente battaglie poi passate alla storia: lo sbarco nei Dardanelli, la campagna di Iraq, l’invasione della Palestina. La Bulgaria cadde davvero e la sua sconfitta spinse l’alto comando tedesco a chiedere la resa. Ma questo accadde nel settembre del 1918, quando l’esercito tedesco in Europa era già a poche settimane dalla sconfitta definitiva.
Con la fine della guerra l’Impero cessò di esistere. Il sultano fu sostituito da un gruppo di nazionalisti che di altre etnie non volevano sapere nulla. Chiedevano una Turchia forte e moderna, abitata soltanto da popoli di lingua turca. Gli immensi possedimenti imperiali furono presi dalle potenze vincitrici: Francia e Regno Unito, che trasformano quella vasta area in una serie di mandati, cioè di fatto delle colonie, che sono poi diventate il Medio Oriente che vediamo oggi. Dopo l’ultimo sultano non ci furono più califfi e la porta fu così lasciata aperta a generazioni di successivi fanatici religiosi che hanno proclamato di esserne i “veri” successori: l’ultimo è stato Abu Bakr al Baghdadi.
Il leader tribale Ibn Saud e il suo esercito di fondamentalisti non fu sconfitto dall’esercito imperiale, ma conquistò gran parte della penisola arabica, portando alla nascita della moderna Arabia Saudita. Con la scoperta delle immense riserve di petrolio del paese, i suoi discendenti hanno potuto finanziare in tutto il mondo la diffusione della loro austera ed estrema versione dell’Islam. Quanto dell’attuale caos che attraversa il Medio Oriente, si chiede quindi l’Economist, si sarebbe potuto evitare se gli alleati avessero deciso di allearsi con l’Impero invece di fargli la guerra?