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  • Giovedì 20 luglio 2017

Il Parma, due anni dopo

Il fallimento del 2015 fu una delle storie più brutte mai accadute in Serie A: due anni dopo, tuttavia, il club sembra davvero tornato

di Pietro Cabrio

Jacopo Dezi esulta dopo il gol segnato alla Salernitana lo scorso 26 febbraio (Francesco Pecoraro/Getty Images)
Jacopo Dezi esulta dopo il gol segnato alla Salernitana lo scorso 26 febbraio (Francesco Pecoraro/Getty Images)

Fra la Serie B e le leghe minori del campionato di calcio italiano ci sono almeno quattro squadre i cui ambiziosi progetti hanno attirato in modo particolare interesse e curiosità. Dopo aver raccontato la nuova Triestina e le ambizioni del Venezia, parliamo del Parma, che a soli due anni dal suo complicato fallimento ha ottenuto la promozione in Serie B e si sta preparando all’atteso ritorno in Serie A.


 

Ci sono squadre che per importanza e storia dovrebbero stare sempre in Serie A, anche se si sa, non funziona così. Lo si diceva del Napoli ai tempi della Serie C, del Torino, del Genoa e più recentemente dell’Hellas Verona: casi in cui importanti club di grandi città finirono nei bassifondi del calcio italiano in seguito a scandali, fallimenti o più semplicemente a causa di cattive gestioni. Da quando è fallito lo si dice anche del Parma, club che fa parte della storia del calcio italiano fin dai successi ottenuti negli anni Novanta con delle squadre che ancora oggi sono ricordate non solo in Italia ma anche nel resto del mondo. Per anni la città di Parma vide giocare nel suo stadio decine di campioni, italiani e stranieri, che vinsero coppe entrando nella storia del club, fondato più di un secolo fa. I successi di quel Parma furono possibili grazie alla famiglia Tanzi, proprietaria della Parmalat e responsabile del suo disastro finanziario che agli inizi degli anni Duemila causò — fra le altre e ben più gravi cose — anche il notevole ridimensionamento della squadra.

Da allora il Parma ne ha passate tante ma l’ultima vicenda di cui è stata protagonista – la peggiore, in quanto inattesa e definitiva – si può considerare anche come una delle più brutte storie mai capitate in Serie A. Il fallimento del Parma nel 2015 infatti non riguardò esclusivamente la società, ma anche l’intera organizzazione del calcio italiano, la cui scarsa sorveglianza permise a uno dei suoi club più importanti e antichi di trovarsi nuovamente in una situazione economica disastrosa, per poi finire addirittura nelle mani di una proprietà malintenzionata che tentò di sfruttarlo per condurre delle operazioni illecite sotto gli occhi di tutti.

Il vecchio Parma fu dichiarato fallito nel marzo del 2015 quando si trovava ormai da tempo in gravissime difficoltà economiche ma disputava ancora la Serie A. Nel mese precedente al fallimento cambiò il terzo proprietario nel giro di novanta giorni: dopo Tommaso Ghirardi, presidente dal 2007 e successivamente indagato per bancarotta fraudolenta, e l’albanese Rezart Taçi, che si disfò della proprietà appena si rese conto della disastrosa situazione debitoria, la società fu comprata a costo zero da Giampietro Manenti, amministratore delegato di Mapi Group, una presunta società di consulenze con sede legale in Slovenia. Ma Manenti — un personaggio oscuro che si sottraeva continuamente alle domande sul suo conto — non ebbe mai la disponibilità economica per pagare i giocatori e i dipendenti.

Dopo i continui mancati pagamenti, Manenti fu contestato e aggredito da decine di tifosi nel centro di Parma, e fu costretto a rifugiarsi in una volante della polizia.

Si venne a conoscenza delle sue reali intenzioni quando, poco dopo essere diventato propietario del Parma, fu arrestato nell’ambito di una più ampia inchiesta contro il riciclaggio e le frodi informatiche della Guardia di Finanza di Roma, la quale dichiarò in seguito che Manenti faceva parte di un’organizzazione criminale “dedita alla commissione in Italia e all’estero di reati di frode informatica, all’utilizzo di carte di pagamento clonate, al reimpiego di capitali di provenienza illecita, al riciclaggio e all’auto riciclaggio aggravato dal metodo mafioso” per fare arrivare al Parma Calcio circa 4 milioni di euro, necessari per evitare il fallimento e per pagare gli stipendi dei dipendenti. Il Parma, squadra che allora militava ancora nel più importante campionato di calcio italiano, uno dei più seguiti al mondo, avrebbe dovuto essere usato come strumento per il riciclaggio di denaro da un’intera organizzazione, ma le inchieste arrivarono prima.

Il Parma fallì e per non rischiare di invalidare un campionato intero, la Lega Serie A concesse alla squadra un prestito di circa 5 milioni di euro per poter terminare la stagione. Con una squadra ridotta all’osso, costretta ad allenarsi fra gli agenti di riscossione crediti che pignoravano i beni della società, la retrocessione fu inevitabile, nonostante i giocatori rimasti, allenati ancora da Roberto Donadoni, s’impegnarono fino alla fine e riuscirono ad ottenere qualche buon risultato, per quanto inutile, anche contro grandi squadre.

Il gol di Jose Mauri nella vittoria per 1-0 contro la Juventus, a retrocessione già vicina.

Dopo il fallimento il Parma ripartì quindi dalla Serie D, la quarta divisione del campionato, con una nuova proprietà composta da diversi imprenditori locali, tra cui Guido Barilla, Gian Paolo Dallara, Marco Ferrari, Paolo Pizzarotti, Mauro Del Rio e Giacomo Malmesi, e con presidente Nevio Scala, che da allenatore del Parma vent’anni prima aveva vinto alcuni dei suoi trofei più importanti. Gli imprenditori locali, che come Guido Barilla decisero di aiutare la squadra a titolo personale per “dovere nei confronti dalla loro città”, fornirono una base da cui ripartire e soprattutto la loro presenza servì a garantire l’affidabilità del nuovo progetto. Il 40 per cento circa del capitale sociale del nuovo Parma venne inoltre raccolto dai tifosi sul modello associativo dell’azionariato popolare.

La nuova società, non potendo più usare la vecchia denominazione Parma Football Club, assunse il nome di Società Sportiva Dilettantistica Parma Calcio 1913: mise insieme una squadra per affrontare il campionato di Serie D e assunse come allenatore Luigi Apolloni, suo ex giocatore e allenatore già da diversi anni, soprattutto di squadre di Serie B. Gli imprenditori locali alla guida del Parma dichiararono fin da subito di non aver fretta di tornare in alto, ma di voler partire dalla riorganizzazione societaria e dallo sviluppo dei settori giovanili, per poi puntare alla Serie B senza spendere grosse cifre, per non rischiare nulla. Nell’estate del 2015 la società dovette adoperarsi per creare una squadra dal niente in meno di un mese, come raccontò Nevio Scala alla Gazzetta di Parma:

Quello che più mi emoziona è la costruzione della squadra: il 3 di agosto avevamo 5 giocatori in prova al primo allenamento. Non c’erano sedie dove sedersi. Facevamo le riunioni a casa mia o di Marco Ferrari o al Barilla Center. Con Minotti, Apolloni… Questo significa che da allora è stato fatto un lavoro di straordinario. Devo fare i complimenti alla società, a Minotti, Galassi, Apolloni e Pizzi. Perché quando si lavora di fretta si rischia sempre di sbagliare.

All’inizio di quella stagione, fra le tante nuove iniziative, la società iniziò una campagna di crowdfunding aperta a tutti per finanziare alcuni suoi progetti. La campagna si concluse in circa due mesi e raccolse più di 170.000 euro, ventimila in più dell’obiettivo iniziale. Poche settimane prima la dirigenza aveva comprato all’asta tutti i trofei della società che erano stati pignorati nella stagione precedente.

Nella riorganizzazione del Parma è stato fondamentale anche l’aiuto di alcuni importanti sponsor: Sky, per esempio, oltre a trasmettere le partite della squadra fino all’anno scorso, è da due anni sponsor di tutte le squadre della società, dalle giovanili alla squadra femminile; Vorwerk Folletto, azienda tedesca presente come sponsor sulle maglie del Parma nelle ultime stagioni di Serie A, ha mantenuto la sua sponsorizzazione, così come Errea, azienda parmense di abbigliamento sportivo che ha continuato a fornire il materiale tecnico alla società. L’ultima grossa sponsorizzazione è arrivata da AON, importante multinazionale britannica nel settore delle assicurazioni che ora è il principale sponsor di maglia.

Negli ultimi due anni, grazie anche ai 10.000 tifosi di media che hanno sottoscritto l’abbonamento stagionale, rendendo lo stadio Ennio Tardini di gran lunga il più affollato delle serie minori, la squadra è cresciuta molto, ma le difficoltà non sono mancate. Che si giochi in Serie B, in Lega Pro o in Serie D, ci si aspetta che il Parma vinca e vada avanti: perché è il Parma e perché — come le altre grandi squadre finite nelle serie minori — può contare su risorse, tifosi e prestigio che in teoria dovrebbero darle un bel vantaggio. Ma tutto questo vuol dire concentrare pressioni e aspettative su delle squadre che — nonostante i vantaggi — sono reduci da un fallimento e devono ripartire da zero e competere con squadre più piccole ma più organizzate. La promozione dalla Serie D andò secondo i piani mentre nella stagione di Lega Pro appena conclusa le cose sono state più complicate.

Lo scorso novembre, dopo i primi mesi di stagione in cui la squadra, nonostante il quarto posto in Lega Pro, non era riuscita a mantenere un andamento costante e nemmeno a mostrare un gioco soddisfacente, la società decise di esonerare Lorenzo Minotti, Andrea Galassi e Luigi Apolloni, rispettivamente responsabile dell’area tecnica, direttore sportivo e allenatore. La decisione non fu condivisa da Nevio Scala, che nello stesso giorno presentò le proprie dimissioni da presidente. Per sostituire Apolloni venne chiamato Roberto D’Aversa, ex calciatore che nella stagione precedente aveva allenato la Virtus Lanciano in Serie B. Con D’Aversa il Parma non è riuscito a raggiungere il Venezia di Filippo Inzaghi, poi vincitore del girone, ma ha concluso il campionato al secondo posto, qualificandosi per i playoff, vinti in finale contro l’Alessandria. Dal prossimo anno, quindi, il Parma avrà la possibilità di ritornare in Serie A, a soli due anni dal fallimento e dalla retrocessione.

In questi giorni la società sta concludendo il passaggio del 60 per cento delle quote al gruppo Desports di Jiang Lizhang, imprenditore cinese proprietario del Granada, squadra spagnola retrocessa in seconda divisione nella passata stagione, e del 5 per cento delle quote dei Minnesota Timberwolves in NBA. La trattativa è stata condotta fin dall’inizio con la garanzia di rispettare la continuità di gestione del club, la cui dirigenza almeno per quest’anno non dovrebbe subire grossi cambiamenti: Luca Carra rimarrà l’amministratore delegato e Marco Ferrari manterrà la carica di vicepresidente. Quello che sta cambiando è invece l’organizzazione generale, in fase di miglioramento in vista della Serie B, dallo staff alla comunicazione. Ora l’obiettivo del Parma è di tentare di ritornare in Serie A nel corso delle prossime due stagioni e la dirigenza è al lavoro da settimane per creare una squadra competitiva già a partire da quest’anno.

Quello che non dovrebbe cambiare, almeno per ora, è Alessandro Lucarelli, difensore del Parma dal 2008 e uno dei giocatori che più si impegnarono per cercare di trovare una soluzione nei mesi che portarono al fallimento. Lucarelli, da tempo capitano della squadra, è rimasto con il Parma anche dopo il fallimento ed è il suo giocatore più simbolico. La sua presenza è fondamentale soprattutto in questo momento, con il Parma in continuo cambiamento fra una serie e l’altra. Si parlò di lui quando prese pubblicamente le difese della squadra quando, lo scorso marzo, un articolo pubblicato dal Mattino di Napoli rivelò un flusso di scommesse anomalo sulla sconfitta del Parma in casa contro l’Ancona. Lucarelli ha recentemente rinnovato il suo contratto, che lo renderà, a 39 anni, il giocatore più anziano della prossima Serie B.