La seconda vita dei Google Glass
Dati per morti un paio di anni fa, sono sempre più presenti in contesti diversi da quelli per cui erano stati progettati: fabbriche, ospedali e altri ambienti di lavoro
Quando nel 2012 il cofondatore di Google, Sergey Brin, mostrò per la prima volta al pubblico i Google Glass, in una spettacolare presentazione organizzata con un gruppo di paracadutisti a San Francisco, in molti pensarono di avere assistito alla nascita di una nuova era per la tecnologia, paragonabile a quella degli smartphone. Con il loro minuscolo visore per accedere alle mappe, ai social network e ad altre funzioni senza dovere tirare fuori dalla tasca il proprio telefono e mantenendo le mani libere, i Google Glass promettevano di cambiare il modo in cui usiamo Internet e i suoi servizi. Nonostante gli sforzi di Google e le grandi quantità di denaro spese, la rivoluzione per tutti promessa dai Google Glass non si è mai realizzata e nel 2014 l’intero progetto sembrava essere completamente naufragato. In realtà, anche se sono spariti dalle attenzioni dei siti di tecnologia e dei media in generale, i Google Glass hanno continuato a esistere e ad avere una seconda vita negli ambienti di lavoro, in contesti diametralmente opposti a quelli per i quali erano stati inizialmente concepiti.
Alphabet, la holding che ha la proprietà di Google, ha continuato a sperimentare i suoi occhiali con grandi aziende, perfezionandoli per essere utilizzati soprattutto in cantieri e fabbriche. La nuova versione degli occhiali si chiama Glass Enterprise Edition (“edizione per le aziende”) ed è messa a disposizione delle società che vogliono fare investimenti per cambiare i flussi di lavoro dei loro dipendenti, aiutandoli a essere più produttivi e a ottenere facilmente le informazioni di cui hanno bisogno per lavorare. Rispetto ai modelli precedenti, i nuovi Glass EE hanno un processore più potente, un sistema WiFi più sicuro e adatto per le connessioni nelle reti aziendali, una durata della batteria maggiore e una fotocamera da 8 megapixel invece dei classici 5 megapixel.
Esteticamente i Glass EE non sono molto diversi dai loro predecessori: la stanghetta destra ha tutti i componenti per far funzionare gli occhiali, compreso il piccolo prisma trasparente sul quale vengono proiettate le immagini. Chi li indossa può controllarli a voce pronunciando “OK Google” e un comando come “Vai avanti” se sta consultando un documento o “Scatta una foto”, se ha bisogno di condividere un’immagine dell’oggetto su cui sta lavorando. La stanghetta con tutti i componenti può essere staccata e applicata su occhiali di vario tipo, compresi quelli protettivi da lavoro, a patto che siano compatibili con il sistema.
Lo sviluppo dei Glass EE è coordinato da X, la divisione di Alphabet che si occupa di progetti sperimentali e innovativi in vari ambiti: anche la prima versione dei Glass era nata lì dentro, poi era stata promossa e resa autonoma quando l’intenzione era realizzare un prodotto alla moda e per tutti, pensato soprattutto per l’intrattenimento. Dopo il 2015, Alphabet ha deciso di trasferire tutto nuovamente in X, considerata anche la dimensione ridotta del gruppo di lavoro che si occupa degli occhiali. In questi due anni grandi aziende come General Electric, Boeing e Volkswagen hanno acquistato i Glass EE per provarli all’interno delle loro fabbriche: con l’aiuto degli esperti di X, hanno modificato il software che li fa funzionare, adattandoli alle loro esigenze.
In un lungo articolo da poco pubblicato su Wired, Steven Levy racconta il caso di AGCO, una grande azienda dal valore di mercato di 7 miliardi di dollari che si occupa della costruzione di trattori e altri mezzi agricoli. I suoi veicoli sono quasi sempre costruiti su misura, quindi gli operai devono seguire istruzioni che possono variare sensibilmente da un modello a un altro, consultando manuali e schemi di assemblaggio. La lettura delle istruzioni avviene di solito tramite un computer portatile nell’area di produzione, quindi ogni volta che un operaio ha un dubbio deve: lasciare la sua postazione, raggiungere il computer, attendere se lo sta usando qualcun altro e infine accedere allo schema di montaggio. Per rendere più rapido il processo, AGCO aveva introdotto dei tablet, che però si sono rivelati troppo fragili per quell’ambiente di lavoro, nonché poco pratici da usare se si indossano guanti e si ha la necessità di avere le mani libere per maneggiare i pezzi da assemblare.
Nello stabilimento di Jackson, nel Minnesota, i responsabili della produzione hanno provato la strada dei Google Glass, quando erano ancora nella versione sperimentale del 2013. Ne hanno acquistato un solo modello e – dopo qualche difficoltà – hanno trovato un’azienda di software in grado di modificarne il funzionamento per rendere il paio di occhiali compatibile con la rete aziendale della fabbrica. Da allora, e grazie ai successivi sviluppi, sono state acquistate altre decine di Glass che vengono usate quotidianamente dagli operai per l’assemblaggio dei motori. Attraverso gli occhiali, possono consultare le istruzioni e avere al tempo stesso le mani libere: per cambiare pagina devono solo pronunciare la frase “OK Google, procedi”. Se il processo di montaggio è già noto all’operaio, gli occhiali possono rimanere in stand-by ed essere attivati in qualsiasi momento nel caso di dubbi. La piccola fotocamera dà la possibilità di fotografare un componente e di condividere l’immagine con un superiore, nel caso in cui ci sia qualcosa che non torna o un pezzo sia danneggiato.
L’adozione dei Glass ha permesso ad AGCO di ridurre i tempi morti nelle aree di assemblaggio e di semplificare la vita agli operai, che possono lavorare con meno incertezze e dubbi. Storie analoghe sono state raccontate dai responsabili di Boeing, Volkswagen e di altre aziende, a conferma dell’utilità dei Glass negli ambienti di lavoro, compresi gli ospedali. Google confida che queste esperienze positive possano incentivare altre aziende, non necessariamente così grandi, a comprare i suoi occhiali con la promessa di poterli adattare alle loro esigenze.
Da dati praticamente per morti, in un paio di anni i Google Glass sembrano avere scampato l’estinzione grazie all’ostinazione dei loro ideatori, ma soprattutto grazie alle aziende che li hanno iniziati a sperimentare quando la stessa Google non aveva le idee chiare su cosa farne. Dopo l’arrivo dei paracadutisti al Moscone Center di San Francisco nel 2012, che avevano ripreso in prospettiva il loro volo con la fotocamera dei Glass, Sergey Brin disse che ci sarebbe voluto del tempo prima di trovare il giusto scopo dei suoi avveniristici occhiali. A Google erano convinti che la strada giusta fosse quella dell’elettronica di consumo, la stessa degli smartphone e smartwatch. Se da un lato la pratica ha dimostrato che avevano mancato il punto, dall’altro è stata anche la dimostrazione della loro capacità di adattarsi alle esigenze del mercato. Fino a prova contraria.