Il mito Federer a Wimbledon
Il racconto di Alessandro Baricco che è andato al torneo più importante del mondo a vedere il tennista più forte di tutti i tempi
The Catcher, il magazine online della Scuola Holden, ha messo online l’articolo che Alessandro Baricco aveva dedicato al tennista Roger Federer, uscito in origine sull’inserto Robinson di Repubblica. E non c’è un momento migliore per leggerlo, visto che oggi Federer ha vinto, a Wimbledon, per l’ottava volta in carriera.
Ci sono molti modi per scoprire cos’è la solitudine, ma solo due prevedono che lo si faccia in compagnia di un’altra persona e costretti in pochi metri quadri: il matrimonio e il tennis. Entrambi godono, giustamente, di una vasta platea di appassionati.
Dato che questo non è un articolo sul matrimonio, per scriverlo mi son portato, giorni fa, nella zona sud ovest di Londra dove, da 140 anni, si celebra il torneo di tennis più famoso del mondo: Wimbledon.
Ovunque ci sia un ragazzino che palleggia contro un muro, ovunque ci siano mammine che mugolano da fondocampo e prepensionati che tentano di ammazzare i loro simili attirandoli a rete con smorzate di inusitata perfidia — ovunque ci sia nel mondo qualcuno che fa titic e titoc con una racchetta in mano, è a Wimbledon che il suo faticare assume un senso, i suoi errori incontrano una redenzione, e le sue miserie scolorano nella gloria. Non sto esagerando, le cose stanno proprio così.
Naturalmente non è un posto alla mano, dove si possa fare un salto, allegramente, improvvisando. Andare a Wimbledon è un pellegrinaggio. Forse per questo, l’ho sempre rimandato — ho dei problemi coi pellegrinaggi. Tuttavia è lì che mi son trovato, lunedì scorso, e questo perché nel frattempo, sotto l’incidere degli eventi, avevo maturato la penosa ma incurabile convinzione che avendo dedicato una buona parte della mia vita a studiare il mistero della bellezza era imperdonabile non avere ancora visto giocare Roger Federer. Dal vivo, dico. Vederlo proprio, in carne ed ossa. Non aveva senso.
Roger Federer, lo dico per chi ne fosse solo marginalmente informato, è il più grande giocatore di tutti i tempi, e incredibilmente lo è proprio adesso, mentre siamo vivi e lo possiamo vedere.
Mi sono perso la Callas, Muhammad Ali era troppo lontano, Bobby Fisher è uscito di testa quando ancora andavo al liceo: con Federer non mi fregano, ho pensato.
Personalmente, ero già pronto per vederlo a Parigi: ma io c’ero, lui no. Insomma, Wimbledon. Si vede che era destino.
(continua a leggere su The Catcher)