Cosa succede quando ti colpisce un fulmine

Storie di persone a cui è successo e di altre che stanno provando a capirci qualcosa: molte cose ancora non le sappiamo

di Charlotte Huff - Mosaic

(William LeGoullon)
(William LeGoullon)

A volte conservano i vestiti, i pezzi di maglietta o pantaloni che non sono stati tagliati e buttati via da dottori e infermieri. Raccontano più e più volte la loro storia ai pranzi di famiglia e poi anche su internet, dove condividono foto e articoli su altri che, come loro, sono sopravvissuti, o su altri che invece no. Il video di un turista colpito su una spiaggia brasiliana o quello del texano ucciso mentre era andato a correre. I 65 morti in Pakistan durante quattro giorni di tempeste.

I sopravvissuti possono iniziare a ricostruire la possibile traiettoria della corrente elettrica – che scarica 200 milioni di volt e viaggia a un terzo della velocità della luce – solo mettendo insieme i resoconti dei testimoni, i vestiti bruciacchiati e la pelle ustionata.

È in questo modo che la famiglia di Jaime Santana ha provato a ricostruire cosa successe quel sabato pomeriggio di un giorno di aprile del 2016: per mettere insieme i pezzi e ricostruire l’accaduto ha usato le sue ferite, i suoi vestiti bruciati e, soprattutto, il suo strapazzato cappello di paglia a tesa larga. «È come se qualcuno gli avesse sparato contro una palla di cannone», ha detto Sydney Vail, il chirurgo traumatologico di Phoenix, in Arizona, che aiutò Jaime quando arrivò in ambulanza, dopo che per strada gli infermieri avevano provato con diversi shock elettrici a stabilizzare il ritmo del suo cuore.

Poco prima, Jaime stava andando a cavallo insieme a suo cognato e altre due persone sulle montagne fuori Phoenix, dove era andato per il weekend. A un certo punto si erano formate nuvole scure che andavano verso di loro, così i quattro avevano deciso di tornare verso casa.

Alejandro Torres, cognato di Jaime, ha detto che quando successe erano quasi arrivati a casa; dove appena oltre i quattromila metri quadrati della sua proprietà ci sono dei piccoli cespugli di creosoto, un sempreverde dai fiori gialli. Più lontano ci sono invece le montagne deserte: delle increspate vette marrone cioccolato che svettano all’orizzonte.

I quattro amici a cavallo avevano visto un bel po’ di fulmini mentre si avvicinavano a casa di Alejandro, abbastanza da far sì che quegli zig-zag nel cielo diventassero l’argomento della loro conversazione. Quando erano arrivati al recinto dei cavalli, a qualche centinaio di metri dalla casa, non aveva praticamente ancora iniziato a piovere.

Alejandro non pensa di essere rimasto steso per molto tempo. Quando riprese conoscenza però era sdraiato con la faccia a terra e dolori dappertutto. Il suo cavallo se n’era andato.

Gli altri due amici erano invece turbati ma illesi. Alejandro era andato a cercare Jaime e lo trovò vicino al suo cavallo, anche lui a terra. Passandogli accanto, Alejandro aveva sfiorato le zampe del cavallo: ha raccontato – mischiando l’inglese e lo spagnolo – che erano dure, come il metallo. Di Jaime ha detto: «Vedevo del fumo salire dal suo corpo, è la cosa che mi ha fatto spaventare». Poi arrivarono anche le fiamme, che salivano dal petto di Jaime. Alejandro provò per tre volte a spegnerle battendoci sopra la sua mano. Per tre volte si spensero ma poi ricominciarono. Lo capirono solo dopo un po’, quando arrivarono un vicino e gli infermieri: Jaime era stato colpito da un fulmine.

***

A Justin Gauger piacerebbe che il suo ricordo non fosse così vivido. Quello di quando fu colpito mentre era a pescare trote in un lago vicino a Flagstaff, in Arizona. Se non fosse così vivido, forse l’ansia e il disturbo post traumatico da stress non sarebbero così fastidiosi. Anche ora, tre anni dopo, quando sente arrivare un temporale e le scariche si avvicinano, il posto in cui si sente più al sicuro è l’armadio del suo bagno, da dove segue attraverso un’app l’andamento del temporale.

In quel giorno di agosto sul lago, Justin – grande appassionato di pesca – era invece felicissimo per quel temporale, che era iniziato d’improvviso, come fanno spesso i temporali estivi: come disse a sua moglie Rachel, i pesci abboccano più facilmente quando piove.

Ma quando la pioggia aumentò e si trasformò in grandine, Rachel e la loro figlia andarono verso il loro furgoncino, seguite poco dopo dal loro figlio. I chicchi di grandine diventarono sempre più grandi fino a raggiungere le dimensioni di una palla da golf: al punto da far male quando colpivano la testa o il corpo. Rinunciando a star lì, Justin prese una di quelle sedie da campeggio – che ha una bruciatura che si vede ancora oggi – e si diresse verso il furgoncino. Rachel stava riprendendo la grandinata dal sedile anteriore.

Quel video ce l’ha ancora: all’inizio è quasi tutto bianco e si vede la grandine che colpisce il parabrezza. Poi si vede un lampo che attraversa lo schermo, l’unico che Rachel vide quel giorno: quello che pensa colpì suo marito.

Un botto tremendo. Un dolore fortissimo, straziante. «Come se il mio corpo si fosse bloccato, non potevo muovermi», ha detto Justin. «È un dolore che non riesco a spiegare. Se da piccoli avete mai messo il dito nella presa della corrente, moltiplicate quella sensazione per un miliardo di volte, e immaginatevela in ogni punto del vostro corpo. Vidi anche una luce bianca attorno al mio corpo, come se fossi in una bolla. Tutto sembrava andare al rallentatore, mi sentivo come se fossi rimasto in quella bolla per sempre». Una coppia che si era riparata sotto un albero corse da Justin per aiutarlo. Dissero, dopo, che stava ancora tenendo forte la sedia e che il suo corpo fumava. Justin, intanto, era paralizzato dalla vita in giù: «Iniziai a spaventarmi davvero quando capii che non riuscivo a muovere le gambe».

Lightening_Tshirt_William-LeGoulon_0La maglietta indossata quel giorno da Jaime Santana (William LeGoullon)

Parlando ora di quel giorno, seduto sul divano di casa, Justin muove una mano sulla sua schiena, per parlare delle sue bruciature, che a un certo punto coprivano un terzo del suo corpo. Iniziavano vicino alla sua spalla sinistra, scendevano in diagonale per la schiena e il petto e poi continuavano su entrambe le gambe.

Poi si allontana un attimo e ritorna con i suoi scarponi da camminata, per mostrare le bruciature al loro interno. Quelle macchie scure e arrotondate coincidono con quelle delle calze che indossava quel giorno e con le ustioni su entrambi i suoi piedi, profonde abbastanza da infilarci la punta delle dita.

Le bruciature coincidono anche con i tanti bucherelli appena sopra la spessa suola di gomma dei suoi scarponcini. Questi segni, e i racconti di chi c’era, fanno pensare che il fulmine colpì Justin sulla spalla, per poi uscire dai suoi piedi.

Chi sopravvive a un fulmine parla sempre delle ferite di entrata e di uscita, ma – come ha detto Mary Ann Cooper, che ora è in pensione ma ha studiato i fulmini per anni ed è stata medica di primo soccorso – è difficile capire a posteriori che strada abbia fatto il fulmine. I segni sul corpo sono in parte dovuti, ha detto Cooper, al tipo di vestiti che indossava la persona, alle monete che magari aveva in tasca, alla collana o ai braccialetti che indossava.

Ogni anno i fulmini uccidono nel mondo più di quattromila persone: ma il dato si basa su quelle documentate in 26 paesi (è ancora difficile calcolare le morti per fulmine nei paesi poveri). Cooper fa parte di una piccola squadra di dottori, meteorologi ed esperti di elettricità che stanno provando a capire come i fulmini colpiscano le persone e, se possibile, come evitare che succeda.

Su dieci persone colpite da un fulmine, nove sopravvivono. Ma hanno problemi di breve e lungo termine. La lista è lunga e brutta: arresto cardiaco, confusione, convulsioni, capogiri, dolori muscolari, sordità, mal di testa, perdite di memoria, problemi di attenzione, cambi di personalità e dolore cronico, giusto per dirne alcuni.

Molti di quelli che sopravvivono ai fulmini hanno una storia da raccontare. Su internet o agli incontri annuali del Lightning Strike & Electric Shock Survivors International [un’associazione di sopravvissuti] si scambiano racconti della loro esperienza con la forza bruta della natura. Il gruppo si riunisce ogni primavera sulle montagne del sud-est degli Stati Uniti; la prima volta lo fecero 13 sopravvissuti, nei primi anni Novanta. Erano i tempi prima-di-internet ed era difficile mettersi in contatto con altri sopravvissuti che se la dovevano vedere con costanti mal di testa, vuoti di memoria, insonnia e altre conseguenze dell’essere colpiti da un fulmine, ha detto Steve Marshburn, il fondatore del gruppo, che fu colpito nel 1969 mentre era davanti a una banca.

Lui e sua moglie gestiscono l’organizzazione, che ora ha quasi duemila membri, da poco meno di trent’anni. A causa dei problemi di salute di Marshburn, che ora ha 72 anni, stavano per cancellare l’incontro di quest’anno. Ma i membri non l’hanno permesso, fa notare lui con un po’ d’orgoglio.

I cambiamenti di personalità e gli sbalzi d’umore dei sopravvissuti (spesso accompagnati da attacchi di depressione) possono rovinare famiglie e matrimoni. Cooper dice che un fulmine può fare al cervello quello che uno shock elettrico può fare a un computer: all’esterno potrebbe sembrare che tutto vada bene, ma il software che controlla le funzioni principali è danneggiato.

Sia Marshburn che Cooper dicono che l’organizzazione ha salvato diverse vite e secondo Marshburn ha evitato almeno 22 suicidi. Gli capita di ricevere telefonate in piena notte e mettersi a parlare per ore con qualcuno che se la sta vedendo davvero brutta. Ne esce esausto, incapace di fare molto per i giorni successivi.

Cooper, che ha partecipato ad alcuni degli incontri, ha imparato a starsene da parte quando i sopravvissuti raccontano i loro sintomi. «Ancora non li capisco tutti», ha detto. «Molte volte non capisco cosa stiano passando queste persone, e ascolto, e ascolto, e ascolto».

Nonostante l’empatia per i sopravvissuti, alcuni sintomi mettono però a dura prova Cooper. Alcuni dicono di poter sentire un temporale molto prima che appaia all’orizzonte. È possibile, dice Cooper, per via della loro aumentata sensibilità nei confronti di segnali di tempesta, elaborata in risposta al trauma. È però meno disposta a credere ad altri racconti: di quelli che dicono che quando entrano nella stanza i loro computer si impallano o che certi loro aggeggi a pile (per esempio il telecomandino per aprire il garage) si scaricano molto in fretta.

Anche dopo molti anni di ricerche, Cooper e altri esperti di fulmini continuano ad ammettere che ci sono molte domande senza risposta, dovute anche al fatto che ci siano pochissimi finanziamenti per portare avanti le ricerche. Non è per esempio chiaro perché alcuni sopravvissuti soffrano di convulsioni. O anche, se e quanto chi viene colpito da un fulmine rischia più di altri di avere, per esempio, problemi al cuore.

Alcuni sopravvissuti si lamentano anche di fare fatica a trovare un medico che abbia qualche tipo di conoscenza specifica sui problemi conseguenti all’essere stati colpiti da un fulmine. Justin, che riuscì a muovere le sue gambe solo cinque ore dopo che il fulmine lo colpì, ha trovato qualcuno che lo aiutasse a risolvere le sue frustrazioni cognitive solo l’anno scorso.

Oltre a dover convivere con il disturbo post traumatico da stress, Justin deve fare i conti con un cervello che non funziona nel modo fluido con cui funzionava. Non pensa di poter tornare a fare il suo lavoro di un tempo, in cui era a capo di un gruppo di persone che si occupava di presentare casi legali e di difendere la contea nei casi di contese sul valore immobiliare. Al telefono, ha spiegato in modo piuttosto articolato i suoi problemi: «Nella mia testa le parole si mischiano. Quando penso a cosa sto per dire, tutto si incasina. Così, quando poi lo dico, suona confuso».

Lightening_Pants-and-Socks_William-LeGoulon_1Le mutande di Jaime Santana e le calze di Justin Gauger (William LeGoullon)

Quando qualcuno è colpito da un fulmine, succede tutto così in fretta che solo una piccola parte di elettricità rimbalza attraverso il corpo. La maggior parte, invece, viaggia all’esterno in un effetto “flashover” [una specie di scarica generalizzata, su tutto il corpo], ha spiegato Cooper.

Per fare un paragone, entrare in contatto con l’alta tensione, magari attraverso un cavo, può potenzialmente fare più danni interni, perché si resta esposti per più tempo. Sempre tenendo conto che, in questo caso, una lunga esposizione è comunque breve: giusto qualche secondo. Ma è comunque abbastanza tempo perché l’elettricità possa penetrare sottopelle, causando danni al punto da cuocere i muscoli e i tessuti fino a dover portare all’amputazione di una mano o di un intero arto.

Quindi, da cosa sono causate le bruciature esterne? Cooper ha spiegato che quando il fulmine colpisce entra in contatto con il sudore o le gocce d’acqua che sono sulla pelle. L’acqua liquida aumenta di volume quando diventa vapore, quindi anche una piccola quantità può creare un’esplosione di vapore. «Fa letteralmente esplodere i vestiti», ha detto Cooper. A volte anche le scarpe.

È comunque più probabile che le scarpe si rovinino all’interno, perché è lì che si accumula il calore e c’è l’esplosione del vapore. I segni negli scarponi di Justin sono dovuti a questo, ha detto Cooper.

Per quanto riguarda i vestiti, il vapore entra in contatto in modo diverso con diversi materiali. Una giacca di pelle può intrappolare il vapore all’interno, bruciando la pelle. Il poliestere si può sciogliere e lasciare pochissimi pezzi, praticamente solo le cuciture, ha detto Cooper, che negli anni ha visto numerosi detriti post-fulmine.

Oltre alle bruciature sui vestiti di Jaime Santana, si è sciolto anche il cellulare che aveva in tasca, attaccandosi ai suoi pantaloni (Sara, sua sorella, ora vorrebbe che avessero conservato il cellulare, ma lo buttarono via, temendo che ci fosse dentro ancora un po’ della corrente scaricata dal fulmine: una cosa un po’ paranoica, ma lo ha capito solo dopo). La famiglia di Jaime è convinta che il fulmine abbia fatto a pezzi il suo cappello, facendolo allungare e allargare. Cooper, che ne ha visto le foto, è più dubbiosa. Non c’è nemmeno una bruciatura, dice. E i pezzi di paglia si sarebbero potuti perdere nella caduta da cavallo.

Cooper è anche l’autrice di uno dei primi studi sui traumi da fulmine, pubblicato quasi quarant’anni fa. In quello studio analizzò 66 diversi referti su pazienti con gravi infortuni, compresi otto che era stata lei stessa a curare. La perdita di coscienza era una cosa comune e almeno un terzo delle persone avevano avuto una temporanea paralisi alle braccia o alle gambe. Cooper ha fatto notare che non tutti quelli che vengono colpiti da un fulmine vanno poi da un medico e quei dati potrebbero quindi essere un po’ più alti della media. Ma i sopravvissuti parlano spesso di paralisi temporanee come quella di Justin, o una perdita di coscienza (anche se ancora non sappiamo perché succede).

Grazie a degli esperimenti fatti sulle pecore australiane, sappiamo invece più cose sui danni fatti al cuore dagli impulsi elettrici che arrivano dai fulmini. Chris Andrews – un fisico dell’università del Queensland che fa ricerche sui fulmini – ha detto che la potentissima scarica elettrica dei fulmini può creare uno shock temporaneo al cuore. Per fortuna, il cuore ha però una specie di pacemaker naturale e riesce spesso a resettarsi da solo.

Lightening_Shoe_William LeGoulon_0Lo scarponcino di Justin Gauger (William LeGoullon)

Il problema è che un fulmine può anche mettere fuori uso l’area del cervello che controlla la respirazione, che a differenza del cuore non ha una funzione di auto-reset. Vuol dire che le riserve di ossigeno o di una persona possono in quel caso esaurirsi rapidamente. Andrews ha spiegato che il rischio è che il cuore ceda a un secondo e potenzialmente letale attacco: «Se qualcuno è riuscito a sopravvivere e dire “Sì, sono stato colpito da un fulmine”, è probabile che la loro respirazione non sia stata bloccata del tutto e ristabilita nel tempo necessario a evitare che il cuore smettesse di battere».

Andrews è la persona giusta per occuparsi di fulmini: ha studiato sia da ingegnere elettrico che da fisico. La sua ricerca – quella sull’impatto della corrente elettrica sulle pecore – è spesso citata per aver saputo dimostrare come i “flashover” di corrente possano danneggiare il corpo. Andrews ha detto di aver scelto le pecore perché sono relativamente simili agli esseri umani. Un altro vantaggio è che un determinato tipo di pecore, le Leicester, non hanno molta lana intorno alla testa e sono quindi simili agli esseri umani.

Durante i suoi studi, Andrews ha fatto arrivare alle pecore (preventivamente anestetizzate) scariche elettriche con voltaggio simile a quello di un fulmine non particolarmente potente, e ha fotografato il percorso fatto dall’elettricità. Ha così capito che quando il fulmine colpisce, la corrente elettrica entra nel corpo dagli occhi, dalle orecchie, dalla bocca. Cosa che spiega perché i sopravvissuti parlino spesso di problemi all’udito e alla vista (per esempio la cataratta).

La cosa preoccupante è che, entrando dalle orecchie, i fulmini arrivano velocemente alla parte del cervello che controlla la respirazione, ha detto Andrews. Una volta nel corpo, l’elettricità può prendere altre strade: passare attraverso il sangue o il fluido in cui sta il cervello o la colonna vertebrale. Comunque, una volta che arriva al sangue, è davvero un attimo prima che arrivi al cuore, ha detto Andrews.

In Arizona, Jaime Santana riuscì a sopravvivere al fulmine. Il suo cavallo no. Secondo il chirurgo Sydney Vail una possibilità è che il cavallo da diverse centinaia di chili abbia assorbito gran parte del fulmine che ha quasi ucciso l’uomo di 31 anni che lo stava cavalcando.

Jaime riuscì a sopravvivere anche perché il vicino che è arrivato a soccorrerlo – un uomo che la famiglia di cui Jaime era ospite non aveva mai visto prima – iniziò subito a fargli una rianimazione cardiopolmonare. Secondo Alejandro [il cognato] uno degli infermieri a un certo punto disse anche di smettere, che Jaime non dava segni di risposta. Il vicino decise invece di insistere.

Vail ha detto che il fatto che qualcuno abbia fatto subito una rianimazione cardiopolmonare a Jaime è «l’unico motivo per cui è ancora vivo». Il vicino spiegò poi di essere stato un infermiere volontario per circa vent’anni, nei quali ha detto di averlo fatto «centinaia di volte».

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I jeans di Jaime Santana (William LeGoullon)

I fulmini hanno origine tra le nuvole, più o meno tra i quattromila e gli ottomila metri d’altezza. Mentre scende verso terra, l’elettricità cerca, cerca e cerca ancora qualcosa a cui attaccarsi. Procede verso terra a gradini, quasi come fosse su una scala, e quando il fulmine è a circa 50 metri da terra, continua a cercare quella che Ron Holle, meteorologo statunitense che studia i fulmini da anni, ha definito «la cosa più conveniente da colpire nel minor tempo possibile». Tra i candidati per essere colpiti ci sono oggetti isolati e appuntiti: alberi, pali del telefono, edifici e, talvolta, persone. Per arrivare dalla nuvola a terra, il fulmine ci mette pochissimo.

L’idea comune è che le probabilità di essere colpiti da un fulmine siano una su un milione. In base ai dati sugli Stati Uniti, è vero solo in parte (solo se si guardano le morti e gli infortuni in un singolo anno). Holle, che crede questa statistica sia ingannevole, si è messo a cercare altri numeri. Pensando a una persona che vive fino a 80 anni, la probabilità che succeda nella sua vita arriva a una su 13mila. Considerando poi che una persona normale conosce molto bene almeno dieci persone, amici o familiari, le possibilità che qualcuno ha, nella sua vita, di sentire un resoconto, magari indiretto, di qualcuno colpito da un fulmine arrivano a una su 1.300, circa.

A Holle non piace nemmeno la parola “colpito”, perché dice che dà l’idea che il fulmine colpisca direttamente il corpo. In realtà, i casi in cui succede sono sorprendentemente rari. Holle, Cooper e molti altri esperti di fulmini hanno messo insieme le forze e calcolato che i fulmini che colpiscono direttamente il corpo causano tra il 3 e il 5 per cento degli infortuni (Vail, il chirurgo, ha però fatto notare che Jaime fu colpito direttamente, perché stava andando a cavallo in una zona praticamente desertica, senza alberi o altre cose alte lì vicino).

Justin crede invece di essere stato colpito da uno di quei fulmini che colpisce prima qualcos’altro – un palo, un albero – e schizza poi verso un oggetto o una persona che sta lì vicino. Situazioni come questa sono considerate il secondo principale pericolo quando si parla di fulmini e sono responsabili di circa il 20-30 per cento delle ferite e delle morti. La più comune causa di ferite è però la corrente di terra, che colpisce un gruppo di mucche o un gruppo di persone che stanno all’aperto, magari sotto qualche tipo di riparo.

In generale, nei paesi più sviluppati del mondo, è più probabile che a essere feriti o uccisi dai fulmini siano gli uomini; succede in almeno due casi su tre (ma secondo alcuni studi la percentuale è addirittura più alta). Holle ha ipotizzato che possa essere dovuto al fatto che gli uomini possano essere più propensi all’azzardo di stare all’aperto sotto un temporale o, che possa entraci il fatto che più uomini che donne fanno lavori che chiedono di passare molto tempo all’aperto. La fascia d’età più colpita è quella di chi ha tra i 20 e i 40 anni e in molti casi si tratta di qualcuno che era vicino a dell’acqua.

Ma, se arriva un temporale e siete all’aperto, lontani da una macchina o una casa, cosa dovete fare? Ci sono un po’ di consigli: evitate di andare in cima a colline o montagne, non avvicinatevi a fiumi laghi o grossi specchi d’acqua, evitate di andare vicino ad alti alberi. Cercate, al contrario, un punto più basso degli altri e, se siete in gruppo, state ad almeno 5-6 metri uno dall’altro, per evitare il rischio di essere eventualmente colpiti tutti. Non sdraiatevi: aumentereste la parte del vostro corpo esposta alla corrente di terra. C’è anche una posizione consigliata: bisogna stare accovacciati, tenendo i piedi vicini.

Holle però non è d’accordo. Non esistono misure certe per evitare di essere colpiti da un fulmine, dice più di una volta: «Ci sono casi in cui ognuna di queste strategie hanno portato alla morte di chi le ha adottate». Dal suo stanzino al centro di controllo del National Lightning Detection Network (NLDN) di Tucson – gestito dalla società finlandese Vaisala – Holle ha accumulato fogli e cartelle piene di articoli e resoconti che mettono insieme una quasi infinita litania di scenari che riguardano fulmini che colpiscono umani o animali. Morti e feriti che erano in tenda, che avevano trovato riparo sotto qualche tetto o tettoia. “Riparo” non è però la parola giusta, perché quei posti possono a volte diventare “trappole mortali”: riparano dall’acqua, non dai fulmini.

Da una serie di schermi che riempiono due pareti di una stanza degli uffici del NLDN, Holle può vedere in tempo reale dove ci sono fulmini, grazie a dei sensori posizionati in giro per gli Stati Uniti e altri paesi. I dati satellitari hanno mostrato che certe parti del mondo, in genere quelle vicino all’equatore, sono piene di fulmini. Venezuela, Colombia, Repubblica Democratica del Congo e Pakistan stanno ai primi posti nella classifica dei paesi con più fulmini.

Qualche anno fa – forse più negli Stati Uniti che in Italia – era piuttosto nota la cosiddetta regola 30/30. Diceva che se il rumore del tuono si sentiva meno di 30 secondi dopo aver visto il lampo, allora quel fulmine era abbastanza vicino da poter essere pericoloso. L’altro 30 riguardava invece un’altra regola: prima di uscire era meglio aspettare almeno 30 minuti dall’ultimo fulmine. Ma non è una regola su cui fare alcun tipo di affidamento, ha detto Holle. Un motivo è pratico e immediato: non è sempre facile capire a quale tuono associare quale lampo.

L’unico consiglio valido è il più semplice: quando c’è un temporale, state al chiuso.

***

Una maggiore consapevolezza non è l’unico motivo per cui le morti da fulmine sono diminuite negli Stati Uniti, in Australia e in altre regioni del mondo, quelle più ricche. Abbiamo iniziato a costruire meglio le case. I lavori al chiuso sono aumentati. Solo negli Stati Uniti, le morti annuali sono passate dall’essere più di 450 nei primi anni Novanta a essere meno di 50 in anni recenti.

Ma si può sempre fare meglio. In Arizona, per esempio, le morti sono ancora tante, specie se si guarda al rapporto tra morti e popolazione. Secondo Holle succede perché nelle aree più desertiche ci possono essere fulmini anche senza che la pioggia sia particolarmente intensa. Succede quindi che ci siano fulmini ancora prima che arrivi il temporale, quando le persone hanno appena iniziato a cercare uno di quei “ripari” o a dirigersi verso casa.

Il problema vero è però quello di chi vive nei paesi più poveri: quelli in cui stare all’aperto non è una scelta ma, spesso, una condizione forzata; quelli in cui, in certe aree, gli edifici adeguati per ripararsi dai fulmini nemmeno ci sono. Secondo i dati di Holle, il paese con più morti da fulmine di persone che stavano facendo qualche tipo di attività agricola è l’India, seguita dal Bangladesh e dalle Filippine. Erano perlopiù persone giovani: maschi di poco più di 20 anni e donne di poco più di 30 anni, che lavoravano in fattorie o risaie.

Cooper fu turbata dallo scoprire cosa possono fare i fulmini in Africa quando partecipò a una conferenza in Nepal, nel 2011. Copper era lì per parlare della situazione negli Stati Uniti e altri erano lì per fare la stessa cosa per altri paesi. Erano seduti in base all’ordine alfabetico dei loro paesi e Copper (che era lì per gli “United States”) stava seduta tra il relatore dell’Uganda e quello dello Zambia. Per ripassare la sua relazione l’ugandese Richard Tushemereirwe continuava a sfogliare i suoi appunti.

«Quando si alzò per parlare, era quasi in lacrime», ha detto Cooper. «Solo nell’ultima stagione i morti da fulmine in Uganda sono stati 75». Parlò anche di 18 studenti morti per colpa dello stesso fulmine, in una scuola nel centro dell’Uganda.

Tushemereirwe – che è un consulente per questioni di scienza del presidente ugandese – ha spiegato in un’email che i sistemi di protezione delle scuole possono creare un senso di falsa sicurezza. Una barra può essere installata in cima a un edificio, ma non avere una messa a terra. O, peggio, chi abita vicino alla scuola potrebbe pensare che quel parafulmini serva a proteggere anche le loro case.

Case che tra l’altro, se fatte di fango e terra, non servono per proteggere dai fulmini. Cooper ha fatto notare che quel semplice consiglio – “stai al chiuso se c’è un temporale” – non è valido in quei casi. Le persone sono sempre a rischio, ogni ora di ogni giorno.

È anche un motivo per cui certe morti da fulmine non sembrano esserlo. Potrebbe sembrare un incendio, ma spesso è un incendio causato da un fulmine, che fa bruciare la casa mentre magari le persone colpite sono paralizzate per la scarica elettrica.

In un viaggio in pullman dopo la presentazione di Tushemereirwe, lui e Cooper iniziarono a parlare. Da lì nacque una collaborazione e, nel 2014, la creazione di una no profit chiamata African Centres for Lightning and Electromagnetics Network, diretta da Cooper. Dopo un po’ entrò a farne parte anche lo Zambia e molti altri paesi hanno mostrato interesse alla cosa, ha detto Cooper.

L’organizzazione sta cercando di sviluppare un sistema di notifiche via cellulare così che i pescatori e altre persone possano avvisare altri abitanti nel caso in cui vedano arrivare il brutto tempo. Sta anche creando programmi per far sì che gli insegnanti inizino a educare gli studenti sulle misure di sicurezza contro i fulmini.

Per quanto riguarda le scuole, nel senso degli edifici, il primo vero sistema di protezione da fulmine fu installato a fine 2016, altri due negli ultimi mesi. Cooper ha anche detto che mantenendo l’attenzione sul tema “la sicurezza dei bambini” si riesce ad attirare l’attenzione di tutti. Tutti i genitori pensano di essere immuni «ma se dici che i loro figli sono in pericolo, attiri la loro attenzione».

I progressi sono comunque difficili e rallentati da problemi logistici e di fondi. Dopo il suo più recente viaggio in Uganda, questa primavera, Cooper sembrava sfinita e scoraggiata. Ci sono ancora migliaia di scuole non protette e sta cercando di raccogliere più soldi: «Ne abbiamo protette tre. Come mai faremo con tutte le altre? È una cosa così grande, a volte penso di mollare».

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La maglietta di Jaime Santana (William LeGoullon)

La pioggia che era caduta tutto il giorno non aveva smesso finché Sara e Alejandro non erano arrivati al Maricopa Medical Center di Phoenix. Alejandro se ne stava seduto, pensando: «È morto, come lo dico a lei?»

Una volta all’ospedale, scoprirono invece che Jaime era in sala operatoria. C’era ancora speranza. Secondo quanto detto da Vail, era arrivato con un ritmo cardiaco anomalo, il cervello sanguinante, contusioni ai polmoni e danni ad altri organi, compreso il fegato. Ustioni di secondo e terzo grado su un quinto del suo corpo. I dottori lo avevano messo in coma indotto per circa due settimane, per permettere al suo corpo di riprendersi.

Jaime tornò a casa dopo cinque mesi di trattamenti e riabilitazione, cose che ancora sta facendo. «La cosa peggiore è che non riesco a camminare», dice dal salotto della casa dei genitori. I dottori dicono che alcuni suoi nervi sono “dormienti”, spiega sua sorella Sara, e c’è la speranza che la riabilitazione possa in qualche modo riattivarli.

Lucia, la madre di Jaime, ha detto: «Stiamo passando qualcosa che non ci saremmo mai e poi mai immaginati». Hanno smesso di chiedersi perché quel fulmine lo colpì quel pomeriggio di aprile. «Non lo sapremo mai», ha detto Sara. Ora è tempo di pensare al dopo. La famiglia sta pensando di organizzare una festa per il primo anno da quando Jaime ha provato a ricominciare.

Quando Sara e Alejandro tornarono a casa dall’ospedale in cui era stato portato Jaime, Alejandro chiamò sua moglie in giardino. C’era un pavone, con tutte le sue piume colorate. Fuori da uno zoo, non ne avevano mai visto uno in Arizona. Se lo tennero con loro e poi ne presero un altro per farli accoppiare. Ora hanno una famiglia di pavoni. Quando Sara andò a guardare cosa simboleggiano i pavoni, la cosa le tolse il fiato: rinnovamento, resurrezione, immortalità.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta da Wellcome su Mosaic ed è ripubblicato sul Post con una licenza Creative Commons.

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