L’incredibile storia della nave “Exodus”, salpata per la Palestina 70 anni fa
Nel 1947 un'organizzazione ebraica tentò di portare di nascosto 4.500 ebrei dall'Europa alla “terra promessa”
Tra le due e le quattro del mattino dell’11 luglio 1947, 70 anni fa, una nave battente bandiera dell’Honduras e con a bordo 4.515 passeggeri partì dal portò di Sète, sulla costa meridionale della Francia, ufficialmente diretta verso la Colombia. In realtà non era una nave commerciale tradizionale, non trasportava passeggeri qualsiasi e non era diretta verso l’America Latina: era stata chiamata pochi giorni prima “Exodus 1947”, in riferimento all’episodio biblico dell’esodo degli ebrei dall’Egitto. Sulla Exodus quella notte erano state fatte salire soltanto persone ebree, la maggior parte delle quali sopravvissute ai campi di concentramento nazisti. Il piano era di portarle illegalmente in Palestina, che a quel tempo era un territorio sotto controllo britannico, così come aveva stabilito la Società delle Nazioni, l’antenato dell’ONU. L’intera operazione era stata organizzata dall’Haganah, “La Difesa”, un’organizzazione paramilitare ebraica che dopo la nascita dello stato d’Israele, nel 1948, fu integrata nell’esercito israeliano.
Quello che successe quella notte e nelle settimane successive è stato raccontato da libri, film e documentari e viene considerato ancora oggi uno degli episodi che contribuirono alla fine del mandato britannico sulla Palestina. È una storia da film, anche se con parecchie note tragiche: e in un certo senso si può dire che finì solo due anni dopo, con la nascita dello stato d’Israele.
Dopo la Seconda guerra mondiale, e dopo la fine del genocidio compiuto dal regime nazista, milioni di ebrei europei vivevano ancora in condizioni precarie e molti abitavano in strutture simili a campi profughi in Germania e Austria. Alcune organizzazioni ebraiche cominciarono a mettere in piedi una rete clandestina per portare migliaia di ebrei dai campi profughi ai porti del Mar Mediterraneo, dove partivano delle navi dirette in Palestina, considerata dai sionisti la terra promessa. L’intera operazione, conosciuta con il nome in codice “Aliyah Bet”, “seconda immigrazione”, era illegale perché osteggiata dai britannici, che allora avevano il controllo della Palestina grazie a un mandato della Società delle Nazioni (il mandato era uno strumento che era stato pensato per aiutare le popolazioni delle colonie degli imperi sconfitti nella Prima guerra mondiale, considerate incapaci di autogovernarsi). I britannici avevano già avuto problemi con l’immigrazione ebraica in Palestina: negli anni Trenta l’arrivo di più di 200mila ebrei aveva provocato una grande rivolta araba, al termine della quale il Regno Unito aveva emanato il cosiddetto “Libro Bianco” che limitava il numero degli ebrei che sarebbero potuti entrare in territorio palestinese negli anni a venire.
La Haganah fu una delle organizzazioni ebraiche più attive nell’organizzare i trasferimenti di ebrei verso la Palestina. Nel novembre 1946, alcuni membri del gruppo riuscirono a comprare la “President Warfield”, la nave che sarebbe poi stata rinominata Exodus. La President Warfield era stata costruita nel 1927 a Wilmington, in Delaware, per una compagnia di Baltimora il cui presidente si chiamava Solomon Davies Warfield. Era stata usata inizialmente come nave passeggeri, su e giù dal fiume Potomac, da Baltimora a Norfolk, in Virginia. Poi nel 1942 era stata acquistata dal governo statunitense e riconvertita in nave militare: tra le altre cose fu impiegata durante lo sbarco in Normandia sulla spiaggia di Omaha, nel giugno 1944. Per mesi una squadra di ebrei palestinesi e americani lavorò sulla Exodus per attrezzarla in modo da impedire ai britannici di prenderne il controllo, una volta che fosse salpata dal porto di Sète diretta verso la Palestina. Vennero posizionati sul perimetro della nave dei tubi metallici in grado di sparare vapore e olio bollente; i ponti inferiori furono coperti da reti e filo spinato; altri ambienti, come la sala macchine e la sala radio, furono attrezzati per impedire l’eventuale accesso dei soldati britannici. Il 25 febbraio 1947 la Exodus era pronta per salpare: lasciò Baltimora e si diresse verso il Mediterraneo.
Secondo diverse ricostruzioni storiche, la Haganah mise in conto fin da subito che i britannici avrebbero individuato la Exodus: era una nave troppo grande per passare inosservata, ma in qualche misura l’organizzazione ebraica sperava di riuscire a superare eventuali blocchi navali e raggiungere comunque le coste palestinesi. Prima di arrivare a Sète, la Exodus passò per il porto di Marsiglia e nel cantiere dell’Olivo a Portovenere, in Liguria, dove fu allestita per ospitare 5mila persone, un numero molto superiore rispetto alla sua iniziale capienza.
Il 10 luglio di quello stesso anno, 170 camion con a bordo più di 4.500 ebrei di molte nazionalità, tra cui 950 bambini, arrivarono a Sète, pronti per essere imbarcati. Gustave Brugidou, presidente della società storica di Sète, ha raccontato che quel giorno praticamente tutti gli abitanti erano concentrati sulla tappa del Tour de France, che avrebbe dovuto attraversare la città: «Rimasero tutti stupefatti nel vedere quelle persone arrivare al Mole Saint Louis [al porto di Sète] con addosso vestiti invernali nel bel mezzo della stagione estiva». Quando la Exodus salpò, la notte successiva, era già stata individuata dai servizi segreti britannici, che cominciarono a preparare un piano d’assalto. Dopo diversi tentativi falliti, e nonostante la strenua difesa dei passeggeri e degli uomini della Haganah, il 18 luglio le forze britanniche riuscirono a prendere il controllo della nave: era passata una settimana dalla partenza, ed era arrivata a circa 40 chilometri dalle coste palestinesi. Negli scontri furono uccisi un membro dell’equipaggio, un volontario americano e due passeggeri; diverse altre persone furono ferite.
La Exodus fu portata fino al porto di Haifa, in Palestina, dove i passeggeri furono fatti scendere e caricati su altre tre navi dirette a Port-de-Bouc, a circa 40 chilometri a ovest di Marsiglia. Le tre navi arrivarono sulle coste francesi il 2 agosto, ma le cose non andarono come avevano sperato i britannici. Il governo francese si rifiutò di costringere i passeggeri a sbarcare, e gli uomini della Haganah ancora a bordo convinsero molte persone a non scendere. La crisi finì per essere discussa anche dal Comitato speciale delle Nazioni Unite per la Palestina, un organo creato nel 1947, e dopo tre settimane di impasse i britannici decisero di dirottare le navi verso il porto di Amburgo, in Germania, che allora era parte della zona di occupazione affidata al Regno Unito (alla fine della Seconda guerra mondiale la Germania era stata divisa in zone di occupazione gestite dalle potenze vincitrici). Per i britannici, il territorio tedesco sotto il loro controllo era l’unico in grado di assorbire così tante persone, ma il rischio era quello di provocare una forte indignazione pubblica, visto che quegli stessi ebrei avevano subito fino a poco tempo prima le barbarie del regime nazista, che sarebbero state rievocate da una loro deportazione in Germania.
Lo sbarco ad Amburgo non fu semplice e diverse persone furono fatte scendere con la forza. Gli ebrei a bordo furono portati in due dei campi temporanei allestiti in Germania per i profughi dopo la Seconda guerra mondiale. Diversi passeggeri della Exodus riuscirono ad andarsene quasi subito, grazie all’aiuto di un’altra organizzazione ebraica che in quegli anni portò molti ebrei in Palestina, nonostante i limiti del Libro Bianco del 1939. Molti di loro però furono di nuovo intercettati dai britannici e portati a Cipro, allora colonia britannica, dove rimasero fino al riconoscimento dello stato di Israele, nel 1949. Dell’episodio della Exodus si occuparono le Nazioni Unite, ma anche i giornali di mezzo mondo, con grande imbarazzo del governo britannico. La storia di quella traversata, e di quello che successe dopo, è stata anche raccontata in versione romanzata nel libro Exodus di Leon Uris, uscito nel 1958, poi adattato nel film Exodus diretto da Otto Preminger e interpretato da Paul Newman, del 1960.
Una scena del film Exodus con Paul Newman