L’epoca dei fuoricampo
Il colpo più spettacolare del baseball sta diventando più frequente e più importante, e questo cambia tutto il gioco, racconta il New York Times
Nella prima metà dell’attuale stagione regolare della Major League Baseball – il campionato nordamericano, il più importante al mondo – ci sono stati 6.117 fuoricampo: cioè 6.117 volte in cui i giocatori delle trenta squadre del campionato hanno mandato la palla fuori dal campo da gioco o in punti non raggiungibili dai ricevitori avversari, ottenendo da uno a quattro punti per la propria squadra. Quando si verifica un fuoricampo il battitore è libero di girare tutte le basi per assegnare un punto alla propria squadra. Inoltre, se ci sono altri giocatori già posizionati sulle basi, questi possono aggiungersi al battitore e far guadagnare altri punti, fino a quattro. I 6.117 fuoricampo visti finora nella stagione regolare – che è iniziata i primi di aprile e terminerà il primo ottobre – sono un nuovo record per la MLB.
Il New York Times, che recentemente ha dedicato un lungo articolo al costante aumento dei fuoricampo nel baseball, ha paragonato la prima parte della stagione regolare ad un “Home Run Derby”, l’evento annuale che precede l’All Star Game in cui i giocatori della MLB si sfidano a chi realizza più fuoricampo: una “festa dei fuoricampo”. Lo scorso giugno i battitori della MLB hanno infatti segnato 1.101 fuoricampo, il numero più alto mai registrato in un solo mese nella storia della MLB. I numeri sono in costante crescita da almeno dieci anni, ma è negli ultimi tre che si è verificato un incremento molto più rapido, tanto da far esporre alcune critiche da esperti ed ex giocatori. L’aumento dei fuoricampo, infatti, rischia di fare perdere al baseball tante sue sfumature, rendendo così importante il singolo colpo decisivo rispetto alle tante e complesse dinamiche di accumulo dei punti in una partita: le squadre sarebbero più concentrate ad ottenere punti velocemente servendosi appunto dei fuoricampo.
Le ragioni dell’aumento sono diverse e una delle principali sembra essere l’inizio della “Statcast Era”. Nel 2015 la MLB fece adottare a ciascuno dei trenta stadi del campionato un avanzato sistema di misurazioni istantanee delle azioni di gioco. Da allora i dati registrati dai sistemi vengono mostrati all’istante nell’interfaccia televisiva: nel caso delle battute, il sistema fornisce all’istante i dati sulla velocità di lancio della palla, sull’angolatura e la distanza percorsa. Se una battuta supera alcuni dei parametri di un determinato battitore, Statcast mostra anche i record personali del battitore.
La “Statcast Era” – a sua volta sviluppo di una storica grande importanza delle statistiche nel baseball – da un lato ha migliorato parecchio l’esperienza televisiva di uno sport “lento”, le cui partite durano ore, con molte pause e momenti di sospensione, dall’altro ha fornito alle squadre e ai giocatori ulteriori dati con cui confrontarsi, che si sono aggiunti alla già notevole mole di dati calcolati e analizzati dagli esperti e usati da anni per migliorare le prestazioni individuali e collettive. La “Statcast Era” ha spinto quindi le squadre a dedicare ancora più risorse allo studio e all’analisi dei dati, cosa che nell’immediato ha portato allenatori, preparatori e giocatori a concentrarsi su aspetti più specifici del gioco, uno dei quali è rappresentato dalle battute. Negli ultimi tre anni, infatti, mentre il numero di fuoricampo è aumentato, quello delle battute a terra, cioè i colpi “bassi” che fanno schizzare la palla sul campo, è rimasto sostanzialmente identico: con ogni probabilità perché – fatti i calcoli – garantiscono meno vantaggi.
Nell’articolo del New York Times, Mike Bryant, padre di Kris Bryant dei Chicago Cubs, ex battitore e ora istruttore in alcune accademie giovanili di Las Vegas, ha spiegato che cosa è richiesto oggi non solo ai battitori della MLB, ma anche ai ragazzi ancora ben lontani da una carriera di primo piano, e di come è solito spiegarlo: «È semplice: colpiscila forte, falla volare. Vogliamo che facciano oscillare la mazza aggressivamente, vogliamo che facciano un deciso passo in avanti verso la palla, per portare il loro peso in avanti e poi trasferirlo al colpo. Non tagliare la palla, non colpirla nella parte alta, non lasciare la presa dopo aver colpito, non aspettare la palla fermo al tuo posto. Tutto quello che ti hanno insegnato sulle battute negli ultimi dieci anni è sbagliato». Il riferimento è alle molte e varie strategie di battuta previste dal gioco del baseball da sempre, a seconda dei contesti, dei lanci, delle opportunità.
Bryant, tuttavia, sostiene che i fuoricampo non siano aumentati così tanto per via di un cambiamento dei battitori, bensì perché i lanciatori di oggi sono mediamente meno forti rispetto al passato. Secondo Bryant, inoltre, i battitori non sono migliorati da quando conoscono alla perfezione l’angolatura o la potenza dei loro colpi, e cita alcuni nomi di famosi ex battitori, come Mel Ott e Ted Williams, che erano soliti battere come si fa ora anche mezzo secolo fa. Dick Williams invece, attuale direttore generale dei Cincinnati Reds, squadra che ha concesso più fuoricampo agli avversari in questa stagione, è uno dei dirigenti della MLB più critici nei confronti dei fuoricampo: sostiene che siano diventati troppo facili da realizzare e che abbiano un impatto troppo decisivo nelle partite.
Un’implicazione ulteriore, spiega il New York Times, è che con i battitori più inclini a cercare la battuta forte e alta, questi prendono anche più rischi di sbagliare, e così cresce la quota di “eliminati al piatto”, ovvero in battuta, per tre errori. Tutto ciò spinge i lanciatori a lanciare più alto nella zona di strike, per diminuire il rischio di fuoricampo. Tutte cose che poco alla volta cambiano il gioco.