Un libro di cui in Germania si parla molto
Lo ha scritto uno storico morto un anno fa, ha provocato la sospensione di una prestigiosa classifica mensile, e parla di migranti e Olocausto
Dalla fine del 1990 la radio tedesca NDR (Norddeutscher Rundfunk), con sede ad Amburgo, e il quotidiano Süddeutsche Zeitung consigliano ogni mese un elenco di saggi selezionati da una giuria di accademici e giornalisti. Da qualche settimana intorno a questa attesa e riconosciuta classifica si è creato un caso («uno scandalo», hanno scritto diversi giornali tedeschi) che è stato raccontato anche dal New York Times. Un giornalista dello Spiegel si è dimesso dal comitato dei giurati, NDR si è dissociata, è stato messo in discussione il metodo di selezione dei saggi e la classifica è stata per ora sospesa: c’entra la presenza nella lista del libro Finis Germania dello storico Rolf Peter Sieferle.
Rolf Peter Sieferle era nato nel 1949 a Stoccarda ed è morto suicida nel settembre del 2016, quando aveva 67 anni. Aveva un passato socialista, aveva collaborato con il governo di Angela Merkel sulle questioni ambientali, era considerato un intellettuale originale e negli ultimi anni aveva fatto parlare di sé per alcune posizioni controverse sulle migrazioni. Finis Germania è un saggio di un centinaio di pagine pubblicato postumo da Antaios, casa editrice gestita da Götz Kubitschek, editore vicino alla destra radicale tedesca.
Dopo la presentazione della classifica di giugno (in cui Finis Germania è al nono posto) molti quotidiani hanno detto che il libro contiene passaggi che possono essere considerati antisemiti o di estrema destra. Il presidente della giuria della classifica (che viene messa insieme attraverso i voti anonimi spediti dai vari membri) ha chiesto che il responsabile di quella scelta si facesse avanti: è accaduto e dopo giorni di attacchi e articoli critici un redattore dello Spiegel, Johannes Saltzwedel, si è dimesso dalla giuria dicendo di aver scelto «deliberatamente un libro molto provocatorio». Nel frattempo il metodo di selezione dei saggi per la classifica è stato messo in discussione e la radio tedesca NDR si è dissociata dalla scelta, poiché Finis Germania contiene «teorie cospirazioniste di destra».
In Finis Germania, così come in un altro suo recente saggio intitolato Das Migrationsproblem (Il problema delle migrazioni), Sieferle definisce i tedeschi «indigeni» e parla del multiculturalismo come di una minaccia per le specifiche identità nazionali e della «deliberata autodistruzione della cultura europea e occidentale». Come prova dell’indebolimento dell’identità tedesca Sieferle parla della memoria del nazismo. L’autore si concentra in particolare su ciò che egli definisce il «mito di Auschwitz»: non se ne occupa in una prospettiva negazionista, per negare cioè l’esistenza dei campi di concentramento, ma lo porta come esempio del «tentativo di installare, al cuore di un mondo completamente relativista, una negatività assoluta con l’obiettivo di far emergere nuove certezze».
I concetti contenuti in Finis Germania, secondo il New York Times, hanno a che fare con le paure e le paranoie di declino nazionale molto presenti nella storia della Germania e che «spiegano molto di quella storia». La Germania ha una popolazione sempre più vecchia, con un’età media di circa 46 anni, e secondo il libro «sta contribuendo a costruire un’Unione Europea intesa a soppiantare il governo tedesco in molte delle sue competenze tradizionali. I tedeschi sembrano voler scomparire», riassume il New York Times. Sieferle non nega né minimizza l’Olocausto, che descrive come un «crimine», ma mette in discussione la cultura postbellica della memoria dell’Olocausto che, sostiene, ha assunto le caratteristiche di una religione. I peccati della Germania, dice, sono considerati unici e assoluti: «Il primo comandamento è “Tu non avrai nessun altro Olocausto all’infuori di me». Hitler, volendo fare un’analisi retrospettiva, dice sempre lo storico, è riuscito a fare una cosa paradossale: ha legato tedeschi ed ebrei in una narrazione valida per l’eternità.
Ancora: Sieferle individua un’affinità tra i tedeschi e gli ebrei per come sono stati considerati all’inizio della tradizione cristiana, come responsabili, cioè, della crocifissione. Agli occhi del mondo moderno, dice Sieferle, l’identità tedesca simboleggia il rifiuto simile di un qualche tipo di rivelazione: in ogni città il cristianesimo aveva costruito le cattedrali al suo dio assassinato. Oggi gli ebrei, ai quali Dio stesso aveva promesso l’eternità, costruiscono memoriali in tutto il mondo per i loro compagni uccisi. Non solo è stata attribuita alle vittime una qualche superiorità morale, ma ai malfattori e ai loro simboli è stata attribuita una depravazione eterna.
A partire da questa tesi – per cui la costruzione del mito dell’Olocausto avrebbe a sua volta costruito e autoalimentato un mito negativo intorno al popolo tedesco – Sieferle si occupa di migrazioni di massa. Usa cioè la sua teoria, anche in altri scritti, per spiegare che l’auto-demonizzazione della Germania avrebbe lasciato il paese incapace di reagire all’arrivo, a partire dal 2015, di centinaia di migliaia di migranti, e che tale accoglienza è secondo lui insostenibile. Il New York Times scrive che estrapolato dal suo contesto, l’argomento di Sieferle è molto pesante (Der Spiegel ha riassunto le sue posizioni nella frase «i tedeschi sono i nuovi ebrei»), ma che si è scelto di denunciare alcune sue singole frasi piuttosto che affrontarne in generale il pensiero e le questioni che pone.
Mentre sui giornali tedeschi aumentavano le critiche, comunque, aumentavano anche le vendite. Secondo l’editore il libro è arrivato a vendere 250 copie all’ora e per quasi due settimane è rimasto al primo posto nella classifica generale dei bestseller di Amazon in Germania. «Qualunque cosa si possa pensare di Sieferle», conclude il New York Times, «lo scandalo intorno a lui rivela alcune questioni insospettabili». Quando cioè «l’establishment letterario tedesco ha denunciato all’unanimità il lavoro di Sieferle come quello di un pensatore estremista» i lettori non si sono fermati e hanno comprato il libro pensando che quello potesse essere «un libro per loro». E questo potrebbe essere il segnale «che la diffidenza nei confronti dell’autorità in Germania ha raggiunto livelli preoccupanti e pari, forse, a quelli degli Stati Uniti».