Ci muove più il rancore o la nostalgia?
Il primo è già molto strumentalizzato dalla politica: Giuseppe De Rita si chiede sul Corriere se possa funzionare anche la seconda (ma non se ne rallegra)
Il sociologo Giuseppe De Rita, presidente del Censis ed esperto analista dei fenomeni sociali italiani, ha pubblicato lunedì sulla prima pagina del Corriere della Sera una considerazione su come la prevalenza del rancore tra i sentimenti delle persone – fenomeno noto – sembri affiancata di recente anche da un’inclinazione alla nostalgia: e si è chiesto se le strumentalizzazioni politiche nei confronti del primo possano funzionare in futuro anche sulla seconda. Premettendo che nessuno dei due è un punto di partenza promettente per il futuro di un paese.
Negli ondeggiamenti politici italiani comincia a delinearsi la sorprendente contrapposizione fra due sentimenti collettivi di significativa attrattività elettorale: il rancore e la nostalgia. Il primo è sulla scena da qualche anno ed è stato molto studiato e adeguatamente sfruttato (da grillini, leghisti e loro dintorni) per creare un esplicito fronte di risentimento antipolitico. Mentre la nostalgia è la «nuova entrata» nei sentimenti collettivi a potenziale influsso politico. Se ripercorriamo la cronaca degli ultimi mesi troviamo evidenti cedimenti nostalgici: al ricordo di alcuni protagonisti del passato (da Rodotà a Villaggio); al rientro in campo di qualche antico leader politico (da Prodi a Berlusconi); al compiacimento per il successo museale della mitica 500; al ripercorrere, sotto il palco di Vasco Rossi, quaranta anni di nostre storie personali; al risveglio della logica proporzionale per le future elezioni politiche; al rimpianto per l’intervento pubblico nell’economia e sul territorio (ho letto addirittura, specie nelle zone terremotate, sorprendenti richiami alle soppresse Province. È probabile, su queste basi, che la nostalgia possa diventare una variabile importante nelle prossime vicende politiche.
Certo non è entusiasmante pensare ad una campagna elettorale segnata insieme dal malanimo del rancore e dal languore della nostalgia; e ci sarebbe da augurarsi che ad essi si contrapponesse un più freddo realismo delle cose. Ma il realismo non è un sentimento mobilitante delle masse; ed in attesa di un suo eventuale arrivo conviene approfondire i due sentimenti oggi in maggioranza. Di essi, quello più incardinato nella nostra composizione sociale è certo il rancore: viene infatti dalle frustrazioni e dalle rabbie di un ceto medio che non è riuscito ad andare più in alto «perché l’ascensore sociale si è fermato»; frustrazioni e rabbie su cui si sono costruiti pesanti apparati organizzativi e ambiziosi leader che puntano tutta la loro posta sul protagonismo del rancore.
Continua a leggere sul Corriere.it