In Cina un matrimonio deve essere per sempre
E per questo le mogli tradite, che uscirebbero sfavorite da un divorzio, assoldano gli "scaccia-amante" e pagano agenzie per riconquistare i mariti
«Nel mondo d’oggi una donna che è già stata di qualcuno è come un’auto di seconda mano. Una volta usata non vale un briciolo del prezzo di vendita iniziale. Un uomo usato invece non fa che aumentare di valore». Non sono le parole di qualcuno vissuto cinquant’anni fa ma di Yu Ruojian, un quarantenne cinese di Shanghai che di lavoro fa “lo scaccia-amante”, come racconta la giornalista Jiayang Fan in un lungo articolo sul New Yorker.
Quella dello scaccia-amante è una professione nata una decina di anni fa e diventata sempre più comune nelle grandi città cinesi contemporanee, che stanno attraversando grossi cambiamenti sociali, riforme legislative e trasformazioni economiche mentre restano impigliate in tradizioni convenzionali e antiche diseguaglianze. Questi squilibri hanno portato a una crisi del matrimonio, e infatti negli ultimi dieci anni il numero di divorzi è raddoppiato: in un terzo dei casi il motivo è una xiao san, «la piccola terza incomoda», un termine che indica sia la scappatella che l’amante di una vita. Non ci sarebbe niente di male, se le donne non fossero molto sfavorite – per prestigio sociale, prospettive economiche e speranza di nuove relazioni – rispetto agli uomini: avendo troppo da perdere da un divorzio si rivolgono sempre di più a uomini come Yu e alle agenzie che danno consigli di tutti i tipi su come riconquistare il marito infedele.
Un’assistente sistema un vestito da sposa davanti al futuro sposo in vista del servizio fotografico, Londra, 11 ottobre 2016 (Carl Court/Getty Images)
Le “terze incomode” sono spesso donne e ragazze normali, anche se nelle canzoni, nei film e nelle serie tv, dove sono sempre più presenti, vengono rappresentate come figure seducenti e irresistibili, anche se spesso infelici e punite per la loro insolenza. Tra gli artefici del castigo ci sono anche gli scaccia-amante a cui si rivolgono le mogli tradite, che perseguono vari metodi: pagare le amanti perché si facciano da parte o minacciarle, per esempio di inviare foto e messaggi imbarazzanti a parenti o amici. Se il cliente è potente possono venire allontanate con un’improvvisa promozione o un’offerta di lavoro in una città lontana, e in alcuni casi vengono persino sedotte da altre persone (o fotografate mentre flirtano con lo scaccia-amante e poi ricattate).
Yu è uno dei trecento dipendenti del Gruppo Weiqing, un’agenzia fondata 16 anni fa a Shanghai che fornisce assistenza alle donne che vogliono salvare a tutti i costi il loro matrimonio. Ventiquattro ore su ventiquattro i suoi telefonisti rispondono a domande su servizi e tariffe che arrivano da tutto il paese: per l’assistenza più semplice si parte da 15 mila dollari, una cifra che raddoppia se c’è bisogno di uno scaccia-amante, e che sale di cinque volte se la donna ha un figlio con il marito fedifrago. L’azienda fu aperta nel 2001 da Shu Xin, che ora ha circa cinquant’anni, insieme alla sua assistente Ming Li, una donna ora sulla quarantina, sposata da vent’anni e con una figlia adolescente. Negli anni Novanta la Cina stava vivendo un momento di espansione economica e cambiamenti sociali che travolsero anche il matrimonio: se negli anni precedenti ci si sposava per convenienza e ci si accontentava, i grossi imprenditori e i funzionari di partito diventati sempre più ricchi finirono per desiderare sempre di più, comprese donne più belle, compiacenti o semplicemente innamorate. Come dice Ming «i soldi comprano possibilità. Gli uomini ricchi vogliono il meglio in tutto, mogli incluse»; le amanti, prima viste come qualcosa di vergognoso, divennero sempre più frequenti e si iniziò a divorziare con più leggerezza.
Una coppia di sposi nei giardini del Palais Royal a Parigi, nel 2015 (LOIC VENANCE/AFP/Getty Images)
All’epoca Shu teneva una rubrica di consigli su un giornale locale; prese a parlare sempre più spesso di tradimento e divorzio fino ad avere un certo seguito. Un giorno, era il 1998, ricevette una telefonata da una donna che gli diede un appuntamento al parco: era un’istruttrice di fitness di 30 anni di Taiwan, che gli raccontò di aver scoperto che suo marito, un ricco uomo d’affari con cui aveva due figli, la tradiva. La donna, disperata, disse di non vedere altra soluzione che il suicidio, ma Shu la convinse a riprendersi il marito accompagnandolo più spesso nei viaggi di lavoro, «dando importanza alle sue richieste emotive e cercando di appianare, quando possibile, i disaccordi prima che si rivolgesse a un’altra». La donna lo ringraziò, disse che avrebbe seguito i suoi consigli e gli porse una busta con mille yuan, all’epoca pari allo stipendio di un mese. Shu, spiazzato, li accettò e capì che sarebbe stato un modo intelligente di far fruttare i suoi consigli. Così quando nel 2001 venne approvata una legge che rendeva il divorzio ancora più facile, Shu e Li aprirono la loro agenzia.
Per prima cosa i consulenti del Gruppo Weiqing cercano di capire il problema del matrimonio, se sia per esempio la mancanza di sesso o di comunicazione, e poi decidono quale strategia mettere in campo: dai bigliettini amorevoli infilati nel taschino della giacca agli abiti seducenti, dalle blandizie alla capacità di ascolto, fino alla carta degli scaccia-amante. Alla base c’è sempre e comunque l’idea che la crisi del rapporto non vada affrontata dai coniugi insieme, ma risolta unilateralmente dalla moglie, principale responsabile e interessata a far funzionare le cose. È una convinzione che riflette una concezione patriarcale del matrimonio, con la donna che ruota attorno al marito per compiacerlo e tenerlo legato a sé, indipendentemente dai suoi stessi sentimenti: «Il matrimonio», spiega Ming Li, «è come imparare a nuotare. Non importa quanto sia grande o bella la tua piscina, così come non conta quanto sia valido tuo marito. Se non sai nuotare finirai per annegare, e qualcun’altra che invece sa farlo si godrà la piscina». È un modo di vedere le cose piuttosto cinico, ma Ming e Shu sono allo stesso tempo convinti che garantendo la stabilità della famiglia lavorano per il bene della Cina: «Chi protegge la casa protegge il paese», dicono spesso citando un proverbio cinese.
Un po’ di coppie si sposano nel cantiere edile del nuovo aeroporto di Pechino, 12 dicembre 2016 (STR/AFP/Getty Images)
Per quanto lontane dai sentimentalismi, agenzie come quella di Shu e Ming hanno anche un impatto importante sul piano emotivo: in molti casi insegnano alle coppie a esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti, qualcosa che non erano abituate a fare e che non avevano mai imparato dalle famiglie d’origine.
Jiayang Fan racconta la storia di una cliente del Gruppo Weiqing, una donna elegante di 40 anni, il cui marito la tradiva e le aveva chiesto il divorzio (più precisamente l’aveva invitata a chiederlo, così che tutto lo sdegno sociale ricadesse su di lei). La donna si era rivolta all’agenzia, che l’aveva invitata a guardare al matrimonio in termini economici ricordandole che l’amante trattava il marito come un principe e che lei avrebbe dovuto fare lo stesso. Contemporaneamente le aveva insegnato l’importanza di comunicare di più: «Non immagina quanto quei consigli fossero nuovi per me. Mi sentivo come se stessi ricevendo un corso di recupero sul matrimonio che avrei dovuto fare tanto tempo fa».
La donna ha spiegato anche che i suoi genitori, entrambi funzionari di partito, non le avevano insegnato a esprimere i suoi sentimenti: «Non si faceva e basta. Se volevo dire ai miei che li amavo, quel che dovevo fare era andare bene a scuola o aiutare mia mamma nelle faccende di casa. Dire “vi voglio bene” sarebbe stato troppo ridicolo». La donna racconta anche di aver capito di non amare suo marito, anzi di non rispettarlo affatto: ma aveva dato tutta la vita per quel matrimonio e «se un giorno si sveglia e vuole sbattermi fuori perché gli va, come posso lasciarglielo fare?» Grazie ai consigli dell’agenzia le cose si stanno sistemando; hanno ripreso a fare sesso, il marito torna sempre a casa, vuole portarla in vacanza e non parla più di divorzio.
Non tutte le donne tradite sperano di riconciliarsi col marito: alcune si rivolgono direttamente agli investigatori privati, cercando di raccogliere prove e particolari imbarazzanti per evitare il divorzio. Jiayang Fan racconta il lavoro di due inquietanti detective privati, Li e Dai, con cravatta e valigetta Louis Vuitton, impegnati per il 15 per cento dei casi a fare da scaccia-amante di uomini di partito e ricchi imprenditori le cui mogli hanno molto da perdere. «Siamo dei camaleonti», spiega Li mentre Dai, storcendo il naso per i metodi conciliatori delle agenzie matrimoniali, aggiunge: «La Cina va veloce. Ha bisogno di gente che risolva i problemi. È la realtà di oggi che crea strane figure come noi». Altre mogli preferiscono rimedi ancora più spicci, come spiega il successo di Zhang Yufen, una donna di Pechino soprannominata “la killer delle amanti” (anche se non ne ha mai uccisa una) che insegna alle mogli tradite a picchiarle: altrimenti «si ammaleranno di cose come il cancro all’esofago, all’utero o ai polmoni».
Una sposa in posa lungo la Muraglia cinese, vicino a Pechino, 28 ottobre 2014 (Kevin Frayer/Getty Images)
Questa condizione di debolezza e inferiorità della donna è propria della cultura tradizionale cinese e sopravvissuta ai tentativi di sradicarla del regime comunista. Il maschilismo è centrale nel Confucianesimo, che impone alle donne di obbedire e riferire sempre a un maschio, sia il padre, il marito o il figlio. Sotto la dinastia Qing, al potere fino al 1912, i matrimoni combinati erano la regola, le donne non potevano ereditare niente dai genitori, il traffico di minori era consueto così come l’abitudine delle famiglie povere di vendere o cedere la figlia bambina alla famiglia, spesso più benestante, del futuro sposo: se ne ricavava da un lato una bocca in meno da sfamare, dall’altro le braccia di una domestica in più.
La prima femminista cinese fu Qiu Jin, figlia di una famiglia di studiosi dello Zhejiang che, scontenta di un matrimonio combinato, lasciò figlio e mariti per andare a studiare in Giappone con un gruppo di rivoluzionari, iniziò a vestirsi da uomo, a scrivere articoli sui diritti delle donne e pubblicò anche due numeri di un giornale femminista, chiuso dal regime. Nel 1907 il governo cinese arrestò i rivoluzionari e Qiu Jin fu messa a morte, a 31 anni. Il femminismo si impose poi per via statale, quando Mao Zedong prese il potere nel 1949. Convinto che le donne “reggono la metà del cielo”, si adoperò per spazzare via le differenze di genere tradizionali e dare alle donne gli stessi diritti e doveri degli uomini. Per la prima volta le donne andavano a lavorare nelle fabbriche, guidavano treni e trattori e aggiustavano turbine, entravano in politica e nell’esercito: gareggiavano in tutto con gli uomini, e le migliori venivano soprannominate “donne d’acciaio”.
Una coppia di sposi fuori dalla cattedrale cattolica di Wangfujing a Pechino, 17 aprile 2017 (AP Photo/Andy Wong)
Nel 1950 anche il matrimonio venne rivoluzionato da una legge che bandì le unioni combinate, il concubinaggio e il traffico di minori. Instaurò un registro dei matrimoni, alzò l’età minima per sposarsi a 20 anni per gli uomini e 18 per le donne, vietò i matrimoni tra consanguinei; gli ufficiali potevano rifiutarsi di celebrare il matrimonio se non erano certi del consenso di entrambi i coniugi. Era un passo in avanti enorme anche se lo stato manteneva un controllo importante sulla vita privata dei cittadini: il matrimonio doveva essere approvato dal danwei, l’unità di lavoro, che concedeva anche se raramente, i divorzi e interveniva in eventuali storie extraconiugali.
Dopo la morte di Mao, Deng Xiaoping diede il via a nuove riforme tra cui una nuova legge sul matrimonio, che rese il divorzio più facile da ottenere, introdusse la politica del figlio unico e stabilì un’equa ripartizione delle proprietà in caso di divorzio; nel 1983 venne legalizzato il matrimonio tra stranieri ed etnie diverse. L’apertura economica e sociale favorì mobilità, ricchezza e nuovi squilibri in favore degli uomini: ripresero a guadagnare di più e a sfruttare accordi per loro vantaggiosi nel campo della proprietà privata, dove erano riemerse abitudini e convenzioni pre-comuniste. Nel 2010 una ricerca condotta dalla Federazione delle donne cinesi e dall’Istituto nazionale di statistica ha trovato che solo una donna single su 15 aveva una casa di proprietà. Una decisione della Corte suprema cinese, nel 2011, stabilì che i beni comprati prima del matrimonio dovessero tornare, dopo il divorzio, a chi li aveva acquistati danneggiando quindi le mogli.
Leng Yuting, una ragazza di 26 anni, in una foto sott’acqua scattata per il suo matrimonio in uno studio fotografico di Shanghai, nel 2014 (JOHANNES EISELE/AFP/Getty Images)