I videogiochi fanno passare ai giovani maschi la voglia di lavorare?
Sono diventati così belli e interessanti da prendersi gran parte del loro tempo libero, dice uno studio recente
Un recente studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research, il principale istituto di analisi dell’economia statunitense, sostiene che molti statunitensi maschi stiano lavorando meno che in passato perché i videogiochi sono diventati molto belli, complicati e avvincenti. Lo studio è firmato da diversi economisti – Erik Hurst, Mark Aguiar, Mark Bils and Kerwin Charles – ed è intitolato “Il tempo libero di qualità e la forza lavoro dei giovani maschi“. Se ne parlò un po’ già l’anno scorso quando Hurst, uno degli economisti, citò lo studio – ancora in fase preliminare – in un discorso alla University of Chicago; e disse, scherzando ma non troppo:
È possibile che la tecnologia abbia cambiato il valore del tempo libero? Penso di sì, e ve lo spiego con un esempio. Ho un figlio di 12 anni e dobbiamo limitare le ore a sua disposizione per i videogiochi. Può giocarci solo un paio d’ore nei fine settimana, dopo aver finito i compiti. Ma se fosse per lui non ho dubbi che ci giocherebbe 23 ore e mezza al giorno. Me l’ha detto. Se non gli mettessimo dei limiti, non so nemmeno se si fermerebbe per mangiare. Sono piuttosto sicuro che non lo farebbe per farsi una doccia.
La tesi è quindi questa: i videogiochi sono diventati così belli e interessanti da prendersi gran parte del tempo libero dei giovani maschi statunitensi, che a differenza del figlio di Hurst hanno un po’ più di libertà per decidere cosa fare del loro tempo. I dati di partenza – citati dal New York Times – sono questi: nel 2015 gli statunitensi tra 31 e 55 anni hanno lavorato in media 163 ore all’anno in meno rispetto a quelli che avevano tra 31 e 55 anni nel 2000. Se si considerano invece i maschi con età compresa tra 21 e 30 anni, le ore di lavoro in meno tra il 2000 e il 2015 sono 203. Ci possono essere molti motivi per cui la gente lavora meno – la globalizzazione, i cambiamenti tecnologici, fattori sociali ed economici di vario tipo – e per cui i maschi del gruppo 21-30 lavorano meno di quelli del gruppo 31-55: magari ci provano pure, a cercare lavoro, ma non lo trovano. Come ha scritto Quoctrung Bui su New York Times, «gli economisti di questo studio si sono fatti una domanda diversa: Perché i giovani non vogliono lavorare?».
Hurst e colleghi sono partiti dai dati del Bureau of Labor Statistics – un ente governativo di statistica – su come gli statunitensi usino il loro tempo libero. Si stima che in media, ogni settimana del periodo tra il 2004 e il 2007, gli statunitensi tra i 21 e i 30 anni abbiano hanno usato per il tempo libero 61 ore della settimana (per risparmiarvi il calcolo, in una settimana ci sono 168 ore). Si considera tempo libero: il sonno extra rispetto a quello normale, il tempo per mangiare, quello per guardare la tv, uscire con gli amici e cose di questo tipo. Tra il 2012 e il 2015 quelle 61 ore sono diventate 63,4. Secondo i dati del Bureau of Labor Statistics, i giovani maschi statunitensi hanno investito nei videogiochi gran parte (il 60 per cento) di quel tempo libero extra: nel periodo 2004-2007 la media era di due ore a settimana; tra il 2012 e il 2015 è diventata di 3,4 ore a settimana. Da quest’analisi sono stati esclusi gli studenti a tempo pieno.
Sempre secondo i dati del Bureau of Labor Statistics è aumentato anche il tempo libero di altri gruppi (donne 21-30, uomini 31-55, donne 31-55) ma in nessuno di questi gruppi è aumentato il tempo destinato ai videogiochi. Per provare a spiegare perché questa cosa riguardi i maschi e non le donne, Hurst ha detto che le donne preferiscono in genere giochi di altro tipo, magari sullo smartphone, alla Candy Crush. Bui ha scritto che sono giochi che non finiscono nelle statistiche sull’uso del tempo perché quelle statistiche «rilevano solo l’attività primaria, non quella secondaria», fatta magari mentre si cucina, si mangia, o si sta seduti in metro.
Come ha scritto Bui sul New York Times «lo stipendio medio degli uomini statunitensi non è cambiato molto negli anni. In questo stesso periodo la qualità dei videogiochi è però cresciuta in modo significativo». I giochi sono più lunghi, profondi e, soprattutto, allargabili: ci si può giocare online, con gli amici. Quei giochi noti come MOBA (“Multiplayer Online Battle Arena”, in cui ci si sfida in un contesto predefinito) o MMORPG (“Multiplayer Online Role-Playing Game”, giochi di ruolo online multi-giocatore) hanno, ha scritto Bui, «un aspetto sociale particolarmente importante», che non c’era in Pong e Space Invaders, ma nemmeno in Tomb Raider o GTA.
Come ha detto Jane McGonigal, designer di videogiochi: «Quei giochi ti permettono di svegliarti e sentire di avere un obiettivo: devo migliorare questa skill, devo dare il mio contributo ai miei “compagni di squadra” [quelli con cui si gioca online], c’è la mia comunità online che conta su di me. S’è una routine e un procedere giorno-dopo-giorno che sostituisce il lavoro tradizionale». In più, come ha detto Adam Alter – professore di marketing e psicologia alla New York University – «i videogiochi di oggi non finiscono mai». Alter ha spiegato che praticamente ogni altro prodotto culturale ha una fine o almeno degli intermezzi, cose che segnalano una pausa, la fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro (capitoli, episodi, pubblicità), i videogiochi no: «Sono costruiti per essere un flusso continuo e avere obiettivi di lungo termine».