Che fine faranno i titoli di testa delle serie tv?
Dai "Soprano" in poi sono diventati sempre più belli e complicati, ma hanno ancora senso ai tempi dello streaming?
Da almeno un paio di decenni, le serie tv – che ormai magari nemmeno le vediamo in tv – si sono fatte più complicate, ricercate e belle. È difficile trovare un prima e un dopo ma di certo un grande cambiamento ci fu nel 1999, quando andò in onda la prima delle sei stagioni dei Soprano. Più o meno di pari passo con l’aumentare della quantità delle serie tv, e della qualità delle migliori tra loro, sono cambiati, in meglio, anche i titoli di testa, quelle cose che negli anni Novanta avremmo chiamato, parlando di serie tv, “sigle”. Dal 2000 in poi i titoli di testa delle serie tv sono diventati, anche loro, più complicati, ricercati e belli.
Da qualche anno i percorsi di serie tv e titoli di testa hanno però preso strade diverse, forse. Internet e lo streaming hanno permesso a servizi come Netflix di mettere online nello stesso momento tutta un’intera stagione. È stato un cambiamento notevole e qualcuno ha detto che per questo le serie in streaming sono da considerarsi un nuovo genere, non solo un nuovo modo di guardare un vecchio prodotto, e che, proprio perché non escono un episodio a settimana, hanno anche cambiato il modo di raccontare le storie. Il fatto che dieci episodi di una serie si possano guardare uno dopo l’altro in un pomeriggio di pioggia ha però anche tolto parte del senso che avevano i titoli di testa: guardarli una volta a settimana, prima dell’attesissimo nuovo episodio era una cosa, guardarsene dieci uguali in un pomeriggio, a distanza di 45 minuti uno dall’altro, è un’altra. Ne ha scritto Lance Richardson su The Verge, nell’articolo “A chi servono i titoli di testa nell’epoca dello streaming?“.
Richardson ha scritto che «se chiedete a chiunque se ne intenda quando è nata la tv di qualità, vi risponderà che il merito è di HBO», il network statunitense il cui nome è acronimo di Home Box Office, “botteghino in casa”. Secondo Richardson, il nome «suggerisce l’ambizione di HBO di annullare i confini tra il cinema e il vostro salotto» e un modo per farlo fu, soprattutto dagli anni Novanta, fare serie tv di qualità, scritte, dirette e interpretate da gente di cinema, e finanziate di conseguenza. Fu HBO a trasmettere I Soprano e nel competere con il cinema provò a mettere qualità anche nei titoli di testa, che in certi film erano già molto ricercati. Prima dei Soprano, i titoli di testa (o sigle) erano, ha scritto Richardson, «una cosa semplice»: servivano per dare «al pubblico e senza mezzi termini le premesse fondamentali della storia, allestivano la scena, mostravano qualcosa e poi finivano». Erano, comunque, poco interessanti. Poi arrivarono I Soprano, con dei titoli più lunghi, ricercati e volutamente un po’ ermetici.
Un paio di anni dopo arrivarono i titoli di Six Feet Under, la serie su un’impresa funebre: i “sei piedi sotto terra” (un po’ meno di due metri) del titolo sono la profondità a cui si mette una bara negli Stati Uniti. Richardson ha scritto che «anziché introdurre una disfunzionale famiglia di becchini e gli attori che li interpretano, i titoli di testa evocano simboli che veicolano messaggi più grandi: la vita, la morte, la dipendenza dal corpo». Ha anche scritto che «a vederla oggi, sembra quasi rudimentale», ma 15 anni fa non fu così.
Anche questi titoli sono molto lunghi e pieni di dettagli e inquadrature non scontate, che servono a presentare il tono generale della serie, non le sue vicende. Come ha detto Paul Matthaeus, il fondatore della società che fece i titoli di testa di Six Feet Under, «servivano a creare un contesto per rendere la storia più significativa, rilevante e profonda, ancora prima della primissima inquadratura dell’episodio». Poi, negli anni, sono arrivati i titoli di testa di altre serie, sempre più sofisticati: Richardson ha parlato di quelli di Dexter, Mad Man, Transparent e Westworld.
Ma se ne possono aggiungere molti altri: quelli di Game of Thrones, Narcos, House of Cards, Masters of Sex o Breaking Bad. Ci sono diversi siti dedicati ai titoli di testa (il migliore è Art of the Title) e Moira Walley-Beckett, produttrice e co-autrice di alcuni episodi di Breaking Bad, ha detto che ormai i titoli di testa sono «esperienze autonome dell’immaginazione».
I titoli di testa sono cambiati perché venivano prima di serie che volevano in qualche modo competere con il cinema, ma in alcuni casi anche perché sono arrivate le tecnologie che permettevano di farli. Nei primi anni Novanta, fare dei titoli di testa diversi dal solito era costoso e ci si perdeva molto tempo. Poi, con l’arrivo di programmi che permettevano di fare quasi tutto al computer (e su computer nemmeno troppo costosi o complicati), le cose sono cambiate. Quello dei titoli di testa è uno di quei contesti in cui qualcuno può dire «la tecnologia ci ha davvero liberati in molti modi». Lo ha detto Michelle Dougherty, responsabile dei titoli di testa di Jessica Jones, Boardwalk Empire e Stranger Things, che in pochi secondi danno già l’idea di cosa e come sarà la serie (anche perché sono ispirati allo stile delle copertine dei libri di Stephen King).
Secondo Richardson la storia dei titoli di coda delle serie tv ha raggiunto una delle sue vette più alte a marzo, quando si sono visti quelli di American Gods, la serie tratta da un omonimo romanzo di Neil Gaiman e che secondo molti altri è una delle migliori dell’anno.
I titoli di testa di American Gods li ha fatti Patrick Clair, che è considerato uno dei migliori in questo lavoro e ha fatto anche quelli di The Man in the High Castle, Daredevil, The Night Manager, The Crown, Westworld e True Detective. Richardson ha scritto che «il suo stile è metaforico e astratto e combina simboli carichi di significati, come la Statua della libertà e l’aquila nazista» e che ha «la sensibilità associativa di un poeta».
C’è però il problema dello streaming: un contesto in cui un prodotto fatto da qualcuno che «ha la capacità associativa di un poeta» deve scontrarsi con qualcun altro (lo spettatore) che può mandare avanti e indietro come gli pare e che forse un giorno quei titoli potrà addirittura saltarli con un click: a marzo si scrisse che Netflix stava per esempio sperimentando su alcuni utenti il pulsante “Salta Intro“, per permette di saltare i titoli di testa di film e serie tv.
Per il momento l’opzione “Salta Intro” ancora non c’è per tutti e non ci sono dati – perché Netflix o altri servizi simili non li comunicano – per sapere quante persone scelgono al quarto episodio consecutivo della stessa serie di saltare i titoli di testa. I titoli di testa continuano però a essere molto utili su internet, come se fossero delle specie di trailer alternativi: un’anteprima della serie, da mettere online per incuriosire (o magari confondere) gli spettatori e convincerli a darle una possibilità. Clair ha poi detto che fanno ormai parte della «cultura visiva di internet», perché alla fine sono video che parlano spesso per simboli e che tra l’altro lo fanno in modo universale: i titoli di testa non vanno tradotti, perché non sono quasi mai parlati.
Clair e molti altri autori di titoli di testa intervistati da Richardson hanno detto di non essere per nulla preoccupati da un eventuale pulsante “Skip Intro”. Manija Emran, una di loro, ha detto che sarebbe una cosa «molto controintuitiva, che toglierebbe valore alle serie tv»; un altro autore ha detto che a quel punto chiederebbe un tasto anche per saltare le scene di inseguimenti in macchina. Richardson ha scritto che «l’attitudine generale sembra essere che i titoli siano così integrati nell’identità delle serie tv, così al centro delle discussioni di internet, che farli scomparire porterebbe a una rivolta degli spettatori». Sono però vere anche altre due cose. La prima è che ormai, se tutte le serie tv hanno titoli di testa complicati, ricercati e belli, alcuni finiscono per assomigliarsi, perdendo di efficacia. La seconda è che alcune serie tv hanno cominciato, forse per differenziarsi, a togliere i titoli di testa. L’ha per esempio fatto The Handmaid’s Tale, che è uscita settimana dopo settimana (non in streaming tutta in una volta) e che secondo molti se la gioca con American Gods per il premio di nuova serie tv più bella di quest’anno.
Se invece preferite un finale diverso, Alan Williams, uno dei disegnatori di titoli intervistato da Richardson, ha detto:
Ti siedi, e ci sono ancora i piatti da lavare, tutto lo stress del lavoro, o qualsiasi problema tu possa avere. Ma poi c’è quel momento, un momento si-apre-il-sipario-si-spengono-le-luci che ti ipnotizza per raccontarti una storia. Penso che serva, quel momento. Serve – anche se lo vediamo su uno smartphone, seduti in metropolitana – come preparazione per lasciare da parte le nostre vite e tutti i loro casini. È quello che fanno dei titoli di testa fatti bene. Ti portano via dalla realtà e ti spingono dentro la storia che stai per vedere».