La complicata vicenda di Bruno Contrada
Oggi la Cassazione ha annullato la condanna a dieci anni di carcere dell'ex dirigente dei servizi segreti, accusato di essere stato complice della mafia
Oggi la Corte di cassazione ha revocato la condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa a Bruno Contrada, ex capo della squadra mobile di Palermo e poi alto dirigente dei servizi segreti. Contrada era stato condannato in via definitiva nel 2007, sulla base delle testimonianze di alcuni pentiti, per aver favorito la mafia siciliana tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta. La Corte di Cassazione ha stabilito che la condanna che venne comminata a Contrada è «ineseguibile e improduttiva di effetti penali». Contrada aveva terminato di scontare la sua pena nel 2012, dopo aver trascorso quattro anni in carcere e quattro ai domiciliari. Oggi ha 85 anni.
La Cassazione è tornata ad esprimersi su un processo già chiuso in seguito a una sentenza della Corte europea. La Corte europea, a cui avevano fatto appello i legali di Contrada, ha condannato due volte l’Italia sulla vicenda Contrada: la prima, nel 2014, per non avergli concesso gli arresti domiciliari nonostante le gravi condizioni di salute; la seconda, molto più importante, nel 2015, quando stabilì che Contrada non avrebbe dovuto essere condannato e nemmeno processato. All’epoca dei fatti contestati a Contrada, ha sostenuto la Corte, il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa” «non era sufficientemente chiaro, né prevedibile da lui. Contrada non avrebbe potuto conoscere le pene in cui sarebbe incorso». In altre parole, il reato per cui è stato condannato non era stato ancora codificato quando Contrada lo compì, quindi non poteva essere condannato.
Dopo la pubblicazione della sentenza della Corte europea, gli avvocati di Contrada hanno chiesto una revisione del processo in Corte d’Appello, che ha respinto la loro richiesta. Gli avvocati allora si sono rivolti alla Corte di Cassazione, che oggi ha deciso di dichiarare “ineseguibile e improduttiva” la condanna ricevuta da Contrada. Significa, probabilmente, che la Cassazione ha deciso di seguire l’impostazione giuridica della Corte europea. Non ha annullato la condanna e chiesto che si celebrasse un nuovo processo. Ha invece stabilito che la condanna precedente era nulla, affermando implicitamente che Contrada non avrebbe dovuto essere processato. Al momento, questa è l’ipotesi principale che circola tra gli esperti del caso: nei prossimi giorni, quando saranno pubblicate le motivazioni della sentenza, si conosceranno probabilmente nuovi dettagli sulle decisioni dei giudici.
Contrada è nato a Napoli nel 1931. A 27 anni entrò in polizia e nel 1973 gli fu affidata la direzione della squadra mobile di Palermo. In Sicilia ricoprì numerosi incarichi di grande responsabilità nella lotta al crimine organizzato e contribuì a numerosi arresti. Nel 1982 iniziò a lavorare per i servizi segreti civili (SISDE) e nel 1986 divenne il terzo dirigente dell’agenzia in ordina di importanza. Secondo i magistrati, in questo periodo Contrada ebbe un rapporto ambiguo con Cosa Nostra, coordinando numerose operazioni contro l’organizzazione, ma, contemporaneamente, collaborando con alcuni suoi esponenti. Le principali testimonianze di questa “doppia attività” sono arrivate da pentiti di mafia, come Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Giuseppe Marchese e Salvatore Cancemi.
Contrada si è sempre dichiarato innocente e sostiene che i suoi contatti con esponenti di Cosa Nostra siano stati soltanto un tentativo di infiltrarsi nell’organizzazione. Secondo Contrada, i pentiti lo hanno accusato per vendetta nei confronti della sua attività di investigazione. Sostiene anche che la sua attività non era gradita ai magistrati della procura di Palermo, che preferivano condurre le indagini con i loro metodi. Diversi magistrati che all’epoca lavoravano nel cosiddetto “pool antimafia” sostengono che Contrada fosse visto con sospetto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Secondo i magistrati che lo hanno condannato, i comportamenti di Contrada costituirono un “concorso esterno in associazione mafiosa”. Si tratta di un reato che non esiste nel codice penale, ma che deriva dalla “fusione” di due diversi reati: l’associazione per delinquere di tipo mafioso, articolo 416 bis, e l’articolo 110, che prevede il concorso di persone in altri reati. Per questa ragione, il suo utilizzo da parte dei magistrati anti-mafia è stato spesso discusso da numerosi giuristi. L’ambito in cui si può applicare il “concorso esterno” è stato precisato da una serie di sentenze della Corte di Cassazione, tra il 1994 e il 2003.
Visto che all’epoca in cui Contrada compì i fatti di cui è accusato queste precisazioni sulla natura del reato non erano ancora state fatte, la Corte europea ha sostenuto che la condanna doveva essere annullata, poiché contraria alle convenzioni internazionali sul diritto che prevedono che si possa essere processati solo per reati già codificati al momento in cui vengono commessi.