Come funzionano i “nuovi voucher”
Ce ne sono due diversi, per famiglie e imprese: sono strumenti più limitati, ma anche più macchinosi, dei vecchi voucher
Da lunedì 10 luglio sarà possibile utilizzare i “nuovi voucher“, cioè i due strumenti alternativi che hanno sostituito i voucher, i buoni pagare pagare piccoli lavori occasionali aboliti lo scorso marzo per evitare il referendum abrogativo indetto dalla CGIL. I due nuovi strumenti, uno per famiglie e uno per le imprese, si chiamano “libretto per famiglie” e “contratto di prestazione occasionale”, o “Presto”: il primo è il buono per pagare piccoli lavoretti che potrà essere usato dalle famiglie, il secondo quello che potrà essere utilizzato da imprese e tutti quei soggetti che non sono “famiglie”.
I buoni del “libretto per famiglie” potranno essere acquistati sul sito dell’INPS dopo essersi registrati (non è chiaro se sia sufficiente una email o serva un indirizzo di posta certificata). Ogni buono avrà un valore di dieci euro, di cui due saranno contributi previdenziali, assicurativi e oneri di gestione. In tutto, quindi, per ogni buono da dieci euro il lavoratore incasserà un netto di otto euro. Il funzionamento, rispetto al vecchio strumento, appare particolarmente macchinoso. La famiglia e il lavoratore dovranno entrambi registrarsi sul portale dell’INPS. La famiglia acquisterà i buoni del “libretto per famiglie” tramite il sito e l’INPS provvederà direttamente al pagamento dell’importo netto sul conto corrente del lavoratore. Se il lavoratore non possedesse un conto corrente, dovrebbe avere la possibilità di ottenere un bonifico tramite ufficio postale. I vecchi voucher, invece, potevano essere acquistati e incassati nelle tabaccherie autorizzate, in banca, nelle sedi dell’INPS e negli uffici postali.
Le aziende che avranno bisogno di lavoratori occasionali potranno invece sfruttare il “contratto di prestazione occasionale”. Si tratta di un contratto di lavoro che potrà essere sottoscritto se entrambe le parti, il datore di lavoro e il lavoratore, saranno registrate sul sito dell’INPS. Il compenso orario minimo che si potrà pagare tramite questo contratto è di 9 euro l’ora e dovranno essere pagati un minimo di 36 euro, cioè l’importo corrispondente ad almeno quattro ore di lavoro. Questa cifra dovrà essere pagata anche se saranno lavorate un numero di ore effettivamente più basso. A questa cifra, il datore di lavoro dovrà aggiungere contributi, assicurazioni e oneri di gestione, per un costo totale lordo di 12,41 euro l’ora. Potranno essere pagati anche importi più alti, mentre per i lavoratori impiegati in agricoltura i minimi fissati sono più bassi, in linea con i contrati collettivi della categoria.
Ogni lavoratore non potrà percepire più di 5 mila euro l’anno tramite questi due strumenti e non più di 2.500 euro dallo stesso datore di lavoro. Questi limiti saranno leggermente più alti per alcune categorie di lavoratori, come pensionati, studenti con meno di 25 anni, disoccupati, beneficiari di reddito di inclusione. In questi casi ai fini del raggiungimento del limite conteranno solo il 75 per cento degli importi netti che hanno effettivamente ricevuto. Il datore di lavoro, a sua volta, non potrà pagare tramite questi strumenti più di 5 mila euro l’anno, sommando tutti i compensi del personale coinvolto. Si tratta di importi netti, senza contare quindi contributi, assicurazioni e oneri di gestione.
I vecchi voucher erano stati spesso accusati di nascondere abusi e lavoro nero e una campagna organizzata dalla CGIL e da numerosi esponenti della sinistra, compresa quella PD, ne avevano chiesto la cancellazione o almeno la modifica. La CGIL era riuscita a raccogliere le firme necessarie a indire un referendum con cui abolirli. Per evitare quella che molti consideravano una probabile sconfitta, lo scorso marzo il governo Gentiloni ha deciso di abolire completamente i voucher e di sostituirli con un nuovo strumento.
I voucher furono introdotti nel 2003 con una serie molto severa di limiti al loro utilizzo. Negli anni successivi questi limiti erano stati ammorbiditi fino alla liberalizzazione introdotta della riforma Fornero del 2012, che ne ha esteso l’utilizzo a quasi tutte le categorie di lavoratori e imprese. La riforma fu votata anche da molti esponenti che successivamente hanno contestato i voucher e non fu osteggiata dalla CGIL (alcune federazioni della CGIL hanno utilizzato ampiamente i voucher negli ultimi anni). Dopo la liberalizzazione Fornero, l’utilizzo dei voucher è cresciuto di cinque volte in tre anni, iniziando ad attirare l’attenzione della politica e della stampa.
Nonostante l’aumento delle vendite, i voucher sono rimasti uno strumento relativamente poco utilizzato nel mondo del lavoro italiano. Su 43 miliardi di ore lavorate in Italia nel 2015, circa lo 0,3 per cento sono state retribuite tramite voucher. Nello stesso anno, la media di guadagni ottenuti dai voucher di ogni singolo percettore è stata pari a 500 euro, cioè meno di dieci volti il massimale allora concesso dalla legge, pari a 7 mila euro.