Breve storia dei Dalai Lama
Che oggi il numero quattordici compie 82 anni: chi sono? E qual è la loro storia?
di Matteo Miele
Il Dalai Lama è il capo politico del Tibet indipendente ed uno dei più alti maestri di una particolare scuola del buddhismo tibetano, e non il capo di tutto il buddhismo, come spesso sbagliando si dice: la scuola Gelukpa, ovvero “i virtuosi”. La scuola è la più recente tra le diverse scuole tibetane, fondata nel XV secolo da Tsongkhapa (1357-1419), un grande erudito e maestro tibetano. È anche chiamata “Scuola dei berretti gialli”, dal colore del copricapo che la distingue dalle altre scuole più antiche (con i berretti rossi). Sul piano strettamente religioso, nel complesso sistema di “corpi di manifestazione” del buddhismo del Grande Veicolo e del buddhismo tibetano, il Dalai Lama è considerato un corpo di manifestazione (sprul sku in tibetano, pronunciato più o meno “trulku”) del Bodhisattva della Compassione Avalokitesvara.
Il primo Dalai Lama, in realtà, non era il “Dalai Lama”. Il suo nome era Gendun Drup (1391-1474) ed era un allievo di Tsongkhapa e – più tardi – eminente maestro a sua volta. Il titolo venne concesso a Sonam Gyatsho (1543-1588) che si era alleato con un principe mongolo, Altan Khan. Fu quest’ultimo a chiamarlo “Dalai Lama”, cioè l’unione della parola tibetana Lama (“Maestro”) con quella mongola Dalai (“Oceano”). “Oceano” è anche il significato del nome tibetano Gyatso. Il titolo, però, venne accordato anche alle sue due “incarnazioni” (se si vuole usare una terminologia approssimativa di stampo occidentale) precedenti: Gendun Drup – per l’appunto – e Gendun Gyatsho (1475-1543), rispettivamente primo e secondo Dalai Lama.
Il terzo Dalai Lama non riuscì però a conquistare l’autorità suprema del Tibet, ma l’alleanza con i mongoli riportava alla luce un antico legame, conosciuto in tibetano come “choe-yoen” (mchod yon), che aveva le proprie radici ai tempi dell’Impero mongolo, ovverosia la relazione tra un sovrano laico buddhista (colui che protegge) e un maestro religioso (colui che è protetto). Il quarto Dalai Lama nacque nella famiglia di Altan Khan, ma fu soltanto il quinto Dalai Lama (conosciuto come il Grande Quinto) Ngawang Lobzang Gyatsho che riuscì a sconfiggere, con l’aiuto dei mongoli di Gushri Khan, gli avversari politici e religiosi e regnare così sul Tibet. Era il 1642. Due anni dopo in Cina cadeva la dinastia Ming (cinese han) e il Mandato Celeste passava alla dinastia Ch’ing, di etnia mancese che, nel secolo successivo, succederà ai mongoli nel rapporto di “choe-yoen” con il Dalai Lama. Questo legame rimarrà formalmente in vigore fino all’inizio del Novecento, anche se in realtà i mancesi non sempre svolsero il loro compito di protettori del Dalai Lama.
Il caso più eclatante – ma non il solo – è l’invasione inglese del Tibet tra il 1903 ed il 1904, conosciuta come Missione Younghusband, quando i britannici, esasperati dall’impossibilità dei Ch’ing di far rispettare ai tibetani un qualunque accordo stipulato con Londra, invasero il Tibet. Il problema era che, per i diplomatici e funzionari inglesi – restii a comprendere l’esistenza di altre realtà giuridiche oltre alla loro – il rapporto di “choe-yoen” doveva tradursi come “protettorato” e dunque – sempre secondo gli inglesi – i tibetani dovevano onorare quanto accettato dai mancesi in sede di accordi internazionali. D’altronde gli inglesi avevano un timore sconfinato che Tibet, Iran ed Afghanistan, porte e difese dell’India, potessero finire sotto l’influenza russa. Era l’epoca del “Grande Gioco”, che ormai però si avviava a conclusione. Per i tibetani, invece, il “choe-yoen” aveva soltanto un valore religioso e non accettavano alcuna imposizione dai Ch’ing, che in effetti, a loro volta, non erano in grado di imporre alcunché. Scriveva in proposito, nel 1894, l’agente politico britannico in Sikkim (piccolo regno himalayano tra Tibet, Nepal, Bhutan ed India) John Claude White: «I cinesi qui non hanno nessun tipo di autorità. I tibetani non obbediranno, e i cinesi hanno paura di dare qualsiasi ordine» (la lettera di White è riportata in Papers relating to Tibet. Presented to both Houses of Parliament by Command of his Majesty, London, 1904).
Tornando dunque alla Missione Younghusband, gli inglesi invasero il Tibet ed arrivarono a Lhasa nell’agosto del 1904, ma il Dalai Lama, il tredicesimo, Tupten Gyatsho, era ormai fuggito in Mongolia. Da lì si sarebbe poi recato a Pechino per far ritorno a Lhasa solo alla fine del 1909. Poche settimane dopo, però, dovrà fuggire nuovamente, questa volta dalle truppe dei Ch’ing che tentavano, negli ultimi mesi di vita dell’Impero, di controllare il Tibet militarmente. Il tredicesimo Dalai Lama si era rifugiato così in India. Adesso i britannici erano diventati amici. In effetti, gli inglesi continueranno a riconoscere l’autonomia tibetana sotto l’Alta sovranità della Cina (ovvero il “protettorato”, che presuppone la piena indipendenza sul piano interno e la subordinazione in politica estera) fino al 2008.
Come accennato, alla fine del 1911 la Rivoluzione Hsin-hai stava per concludere la millenaria storia imperiale in Cina. Il 1 gennaio 1912 veniva proclamata la Repubblica. Circa un anno dopo il Dalai Lama rientrerà a Lhasa – di nuovo – e potrà emanare quella che è passata alla storia come la “Dichiarazione d’indipendenza del Tibet”. Avvierà una serie di riforme per cominciare a modernizzare il Tibet, ma morirà il 17 dicembre 1933, ad appena cinquantasette anni. Nel 1932 aveva redatto un testamento in cui spiegava di dover morire a breve per poter tornare in tempo ed essere pronto per i terribili sconvolgimenti che avrebbero potuto colpire il buddhismo ed il Tibet. Circa un anno e mezzo dopo la sua morte, il 6 luglio 1935, un bambino, Lhamo Dondrup, nacque in un piccolo villaggio dell’Amdo (la regione nord-orientale del Tibet). Sarà lui ad essere proclamato il successore dopo che aveva riconosciuto – tra le altre prove – un lama travestito da servitore e preteso il rosario del tredicesimo Dalai Lama. Il suo nome, come Dalai Lama, è Tenzin Gyatsho. Quel bambino è l’attuale Dalai Lama.
Intanto la Cina precipitava nei conflitti tra nazionalisti e comunisti, sul piano interno, e con i giapponesi, sul piano internazionale. Al termine della Seconda guerra mondiale riprenderanno gli scontri interni che condurranno Mao alla vittoria nel 1949. Il Tibet che – come spiegato – non era mai stato sotto la sovranità cinese, ma soltanto all’interno del rapporto di “choe-yoen” prima con i mongoli e poi con i mancesi (mai con i cinesi), verrà invaso negli anni Cinquanta. La Mongolia, che al momento della fine della dinastia Ch’ing si trovava in una condizione giuridica internazionale simile al Tibet (nel 1913 i due stati, entrambi governati da due maestri della Scuola dei berretti gialli, il Dalai Lama in Tibet ed il Jetsun Dampa in Mongolia, avevano anche firmato un trattato), negli anni Venti era diventata una repubblica popolare sotto la protezione russa. Per questo motivo Mao, già sufficientemente isolato a livello internazionale (la Cina popolare sarà ammessa alle Nazioni Unite solo nel 1971), non si permise di rivendicare la Mongolia. Il Tibet, però, aveva perso il suo alleato: gli inglesi nel 1947 avevano dovuto lasciare l’India. Il Dalai Lama, dopo alcuni tentativi di convivenza con l’occupante cinese, sarà costretto a fuggire – come nella vita precedente – in India. Da allora non è più potuto tornare nel suo paese. Nel 1989 ha vinto il Premio Nobel per la Pace.
Vale la pena, in chiusura, citare anche il più “originale” tra i Dalai Lama, ovvero il sesto Dalai Lama Tsangyang Gyatsho, ricordato in primo luogo per essere stato un grande poeta che però, ai canti religiosi, preferiva i canti d’amore (le sue poesie sono state tradotte in italiano da Erberto Lo Bue). Nato nel 1683, la storia ufficiale lo vuole deceduto nel 1706 – nel pieno di tragici contrasti interni ed esterni del Tibet – anche se una commovente biografia segreta (tradotta in italiano da Enrica Rispoli) racconta di un lungo esilio in Mongolia.