Gli immigrati che ci pagano le pensioni
I dati – e il presidente dell'INPS – dicono che se bloccassimo gli arrivi di persone extracomunitarie il nostro sistema pensionistico andrebbe in grossa difficoltà
Nella sua relazione annuale Tito Boeri, presidente dell’INPS, l’ente che si occupa di raccogliere i contributi economici dai cittadini ed erogare prestazioni sociali come le pensioni, ha detto che se chiudessimo le frontiere agli arrivi dei migranti extra-comunitari il nostro sistema pensionistico si troverebbe in grosse difficoltà. Secondo una simulazione fatta dai tecnici dell’istituto, da oggi al 2040 l’INPS perderebbe in totale 38 miliardi di euro. In questa circostanza lo Stato dovrebbero far fronte alla perdita recuperando tramite la fiscalità generale – cioè aumentando le tasse – quasi due miliardi di euro ogni anno per 22 anni. «Insomma, una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo», ha detto Boeri durante la presentazione del rapporto.
Secondo Boeri: «Oggi gli immigrati offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni man mano che le generazioni di lavoratori autoctoni che entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole». Da tempo Boeri si occupa di analizzare e spiegare l’importanza dei lavoratori stranieri per il nostro sistema previdenziale: con la popolazione italiana che invecchia rapidamente, pagare le pensioni rischia di diventare sempre più oneroso per lo Stato.
Le ragioni per cui gli stranieri sono così importanti sono principalmente due. La prima è che sono giovani, quindi lavoreranno a lungo e verseranno parecchi contributi prima di arrivare al momento in cui riceveranno la pensione. Nel rapporto, Boeri scrive che l’età dei lavoratori stranieri si sta abbassando mentre i lavoratori italiani diventano sempre più anziani: «La quota degli under 25 [stranieri] che cominciano a contribuire all’INPS è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015. In termini assoluti si tratta di 150.000 contribuenti in più ogni anno».
La seconda ragione è che solo una parte del totale degli immigrati rimane nel nostro paese fino all’età in cui matura la pensione. Molti lasciano il nostro paese prima di maturare i requisiti minimi per ottenere la pensione. Altri non ne fanno richiesta anche dopo averli maturati. Insomma, versano i contributi ma vanno via prima di ricevere la pensione. Nella sua relazione del 2016, Boeri ricordava che a causa di questo fenomeno gli immigrati hanno regalato all’Italia un punto di PIL, circa 15 miliardi di euro, sotto forma di contributi che non saranno mai riscossi. Ogni anno questa cifra è pari a circa 300 milioni di euro ed è destinata ad aumentare, come ha scritto Boeri nella relazione di quest’anno, fino a quasi due miliardi di euro l’anno nei prossimi 20 anni.
Un’altra caratteristica del sistema contributivo degli immigrati è che è molto equo: quasi sempre gli stranieri ricevono pensioni proporzionate ai loro versamenti, a differenza degli italiani. L’85 per cento delle pensioni pagate agli italiani, infatti, è basato sul sistema retributivo, in cui l’importo dell’assegno è calcolato sull’ultima retribuzione ricevuta prima di andare in pensione, e spesso quindi non è proporzionato ai contributi versati. Gli immigrati che godono di questo sistema privilegiato sono appena lo 0,3 per cento del totale.
Boeri infine cita un’ultima ragione per cui il contributo dei migranti al nostro sistema pensionistico è nettamente positivo: «I nostri dati ci dicono che gli immigrati oggi in Italia hanno una speranza di vita più breve di quella utilizzata per definire ammontare e durata delle pensioni e questo significa che, anche nell’ambito del metodo contributivo, pagano molto di più di quanto ricevano tenendo conto di versamenti e prestazioni durante l’intero arco della vita».