Mauriziani a Milano
In Italia sono pochi, concentrati in Sicilia e Lombardia, e raramente migrano dalla loro isola per ragioni legate alla povertà
di Marina Petrillo
L’isola di Mauritius è talmente famosa per le sue bellezze naturali che Mark Twain, in Seguendo l’Equatore. In viaggio intorno al mondo scriveva che, a sentire i mauriziani, Dio l’aveva creata prima di creare il Paradiso e il Paradiso l’aveva creato copiando Mauritius (anche se oggi il suo delicato e speciale ecosistema è a rischio, e il suo animale simbolo, il dodo, è ormai estinto). Isola africana di 2 mila chilometri quadrati con alcune isolette più piccole, si trova a qualche centinaio di chilometri sia dal Madagascar che da Réunion, ed è stata olandese, poi francese nel Settecento, e britannica nell’Ottocento. Repubblica indipendente e democratica dal 1968, ha uno dei PIL più alti fra i paesi africani, con molte esportazioni a cominciare dalla canna da zucchero, ma anche vaniglia, tè e rhum, e produzioni tessili anche per marchi noti della moda italiana e francese. Chi migra da Mauritius spesso non lo fa per fuggire dalla povertà, ma per vedere il mondo, e in cambio si trova ad accettare di fare mestieri meno qualificati di quelli a cui avrebbe avuto accesso in patria.
In Italia i mauriziani non sono molti, circa 7 mila in tutto, e sono straordinariamente concentrati in Lombardia, dove sono circa 2 mila, e in Sicilia, dove sono quasi 3 mila: le due regioni italiane più importanti per Vashish Soobah, 22 anni, studente di origine mauriziana di media e design, rispettivamente quella dove vive e studia e quella dove è nato. «A me piace essere “nel mezzo”», dice, «non dovermi per forza definire come questo o quello». I suoi genitori, che hanno la cittadinanza italiana e hanno quindi potuto farla avere anche a lui, si conoscevano già quando abitavano nelle Mauritius. Più di vent’anni fa, suo padre è partito per l’Europa in cerca di lavoro, mentre sua madre partì per Catania, la città con più mauriziani d’Italia, dove in seguito si sono ritrovati e hanno messo su famiglia, con la nascita di Vashish e di un fratello minore che oggi ha 16 anni. Soobah è arrivato a Milano da piccolo e non si ricorda molto degli anni trascorsi in Sicilia ma si considera, oltre che mauriziano, anche catanese, e ne va piuttosto fiero. Sua madre è casalinga e suo padre operaio nel settore elettronico, e ci tenevano molto a farlo studiare: probabilmente è stato il motivo principale della loro decisione di trasferirsi a Milano. Vashish si considera molto fortunato a poter fare la scuola che fa, anche grazie a una borsa di studio.
A Mauritius non c’è una religione di stato e c’è invece una grande varietà religiosa, che si riflette nelle celebrazioni dei diversi culti nel corso dell’anno, e nella forte presenza di moschee, chiese e templi nella capitale, Port Louis. Gli induisti sono il 48,5 per cento, i cattolici il 26,3 per cento, i musulmani il 17,3 per cento, e sono presenti anche piccoli gruppi di altre fedi. La famiglia di Vashish Soobah è induista, anche se non molto osservante, con un approccio abbastanza rilassato: «Mia madre è veramente molto aperta, e il tempio di Corsico che è frequentato da mauriziani e indiani è piuttosto distante per noi, ma ogni tanto partiamo tutti insieme con la macchina e andiamo. A me basta entrare lì dentro per sentirmi di nuovo come se fossi a Mauritius, soprattutto per via dei colori alle pareti, gli arancioni, i blu, ma anche non so, una certa atmosfera, come a Mauritius il posto non sembra neanche un tempio, certi profumi, i canti, mi riportano immediatamente lì. Lì per me c’è il mondo. Io nella mia vita normale faccio i mantra, prego il martedì, osservo il carême (o karem) quando non si mangiano carne e pesce, ma tranquillo. E questo un po’ si vede anche nella mia stanza, dove insieme a tutte le altre cose della mia vita da studente, con gli amici, ci sono anche gli incensi e le cartine di Italia e Mauritius, in un grande miscuglio, un incontro fra Oriente e Occidente».
La sede del tempio induista, lo Shri Vishnu Temple, si trova in una palazzina moderna in mattoncini rossi nella periferia sudovest di Milano, a Corsico, dove sorge anche l’edificio nuovo di un importante centro buddista. Il tempio induista, fondato nella primavera del 2011, è adorno di immagini sacre e bandierine tradizionali. Il tempio organizza le puja – atti di deferenza verso particolari dèi o spiriti attraverso preghiere, canti e invocazioni – ma anche matrimoni, festeggiamenti per anniversari di nozze e compleanni, e cerimonie funebri. «Per la mia famiglia», osserva Soobah, che non ricorda di aver mai sofferto in Italia o di essere mai stato trattato diversamente per il fatto di essere mauriziano, «la religione è un modo per restare legati alla terra di provenienza. Per i miei genitori è sicuramente più difficile che per me. Io ho elaborato la mia identità doppia con molto orgoglio, mentre per mio fratello c’è tempo perché deve ancora affrontare tutti i suoi ragionamenti da adolescente, ma immagino che per loro, che hanno molta nostalgia, sia più complicato. A loro quando parlano con i parenti si illuminano gli occhi, e per fortuna adesso con WhatsApp e Skype e Viber possono vedersi, una volta bisognava andare al call center. Credo che i miei a un certo punto torneranno a Mauritius».
Soobah a Mauritius ci è stato finora tre volte, quando era molto piccolo, in prima superiore, e poi un anno fa, a ventun’anni. La seconda volta si trovava lì proprio mentre i suoi genitori, provando a interpretare la burocrazia, cercavano di iscriverlo alla scuola di media e design a Milano e gli raccontavano i loro progressi la sera su Skype. Vashish sembra aver scelto il suo corso di studi proprio con la speranza di poter documentare il percorso della sua famiglia. Una delle cose su cui indagherà, dice, è questa spiccata preferenza dei mauriziani per la Sicilia, che man mano è diventata una vera e propria tradizione: «anche mia madre inizialmente è andata a Catania perché aveva già lì dei parenti, che a loro volta conoscevano altre persone, ma come tutto sia iniziato ancora non lo so». La famiglia è piuttosto consapevole dell’aspirazione di Vashish al ruolo di narratore, e cerca anche di dargli una mano: «è come un team! L’ultima volta che sono stato a Mauritius ci tenevo a farmi raccontare da mia nonna le tante cose che sa: è anziana, ha avuto 13 figli e molti sono lontani ma hanno mantenuto tutti un forte senso di casa. Non voglio perdermi i suoi ricordi, così l’ho voluta filmare (e i miei partecipavano molto, mi aiutavano ad accendere e spegnere le luci quando dovevo registrare!)»
Mauritius in qualche modo attende Vashish sempre uguale, ma solo in apparenza: «una delle cose che mi piace osservare sono le modifiche che fanno man mano i miei parenti alla casa di famiglia – gli abbellimenti, le aggiunte, i cambiamenti, sempre più contemporanei, ogni volta c’è qualcosa di diverso». A Mauritius, Vashish è “l’italiano”: «sì, mi beccano subito! Parlo inglese e creolo, ma mai bene come i miei cugini e i miei amici, e non ho neanche bisogno di aprire bocca perché si accorgano che non sono esattamente di lì. Dev’essere per come mi vesto, per come mi muovo, non lo so, lo capiscono al volo», dice ridendo. Gli piace la vita che fanno i suoi cugini a Mauritius, anche se non riesce a mimetizzarsi: «basta vedere come sono allenati i miei cugini a camminare a piedi nudi sulle pietruzze!». Della sua terra d’origine gli piacciono i colori, la musica, «certe ciabatte che lì usano tutti». Ma la cosa che gli piace di più in assoluto è «quando si muovono le canne da zucchero. Sto lì seduto per ore a guardarle, non smetterei mai. Non so se è perché in Italia è più difficile vederle, ma per me sono la cosa più bella del mondo, sono magiche».