L’Unione Europea ha multato Google per 2,4 miliardi di euro
È la multa più alta di sempre per un'azienda tecnologica: l'accusa è aver danneggiato la libera concorrenza nelle ricerche per comprare cose online
La Commissione Europea ha multato Google per 2,4 miliardi di euro con l’accusa di avere creato e mantenuto una posizione dominante nel settore delle ricerche per lo shopping online, a danno della libera concorrenza e quindi delle persone. La multa è la più alta mai decisa dalla Unione Europea per un’azienda tecnologica e arriva dopo anni di indagini, coordinate dalla commissaria per la Concorrenza Margrethe Vestager. Google ha ora 90 giorni di tempo per interrompere le pratiche ritenute lesive della concorrenza, altrimenti riceverà ulteriori multe. Alphabet, la società proprietaria di Google, ha detto di “non essere d’accordo” con la decisione della Commissione e ha annunciato di valutare un appello, che potrebbe essere comunque un azzardo considerato che di solito la Corte europea è più incline a dare ragione all’Unione Europea.
L’Unione Europea accusa Google di mostrare – nelle sue pagine dei risultati – link verso siti per gli acquisti online che pagano per essere messi in evidenza, senza dare spazi ad altri motori di ricerca dedicati esclusivamente allo shopping come Kelkoo. Secondo la Commissione, la dimostrazione più evidente è il pannello con le anteprime dei prodotti che Google mostra in testa alla sua pagina dei risultati quando si cerca uno specifico prodotto: se si cerca “pentola a pressione”, il motore di ricerca mostra una serie di anteprime con prezzi e caratteristiche che rimandano direttamente al sito del venditore. Per finire in quella posizione privilegiata, i venditori pagano Google come per i classici annunci pubblicitari mostrati in testa nella pagina dei risultati. I siti che offrono servizi analoghi, cioè che permettono di confrontare i prezzi di un prodotto tra diversi venditori, dicono di non essere messi in evidenza a sufficienza nelle pagine dei risultati e di subire la presenza del pannello con le anteprime, che porta gli utenti a non utilizzare o notare i loro servizi.
Stando ai dati raccolti dalla Commissione, Google ha ottenuto vantaggi dalla propria posizione dominante, a scapito della concorrenza. Da quando ha iniziato a mostrare il suo servizio Shopping in testa alla pagina dei risultati, il traffico generato dal sistema è aumentato di 45 volte nel Regno Unito, di 35 in Germania, di 19 in Francia e di 14 volte in Italia. La Commissione ha anche rilevato una netta riduzione del traffico verso altri servizi analoghi a quello di Google, ma realizzati da motori di ricerca per gli acquisti online più piccoli. Una posizione dominante è consentita dalle norme dell’Unione Europea, ma solo a patto che chi la detiene non ne abusi e consenta agli altri di concorrere alla pari.
Google ha sempre negato queste accuse e le ha definite prive di fondamento, perché nella realtà le persone fanno shopping online in modo molto diverso. Il sistema delle anteprime, dice l’azienda, serve per offrire un servizio in più agli utenti, in modo che possano vedere ciò che vogliono comprare e sapere da subito quanto costa. Google sostiene inoltre che le abitudini per gli acquisti online in molti casi non portano nemmeno a usare il suo motore di ricerca: la gran parte delle ricerche viene effettuata direttamente su Amazon, nei paesi dove è presente, o su altri portali per le vendite come eBay. La loro presenza e il modo in cui le persone comprano online sono per Google la dimostrazione di quanto sia aperto e concorrenziale il settore dello shopping online, quindi lontano dall’immagine di posizione dominante prospettata dalla Unione Europea.
La multa da 2.424.495.000 di euro stabilita dalla Commissione per Google è la più grande mai decisa per un’azienda statunitense attiva nell’Unione Europea. Il record precedente era di Intel, la società che produce microprocessori, che aveva ricevuto una multa di 1,06 miliardi di euro nel maggio del 2009 per posizione dominante sul mercato. In quel caso la multa equivalse al 3 per cento delle vendite di Intel nel 2008: di solito la Commissione si spinge a sanzionare le aziende con multe che al massimo equivalgono al 10 per cento delle vendite nell’anno fiscale precedente.
L’Unione Europea aveva iniziato a fare verifiche sul comportamento di Google nel 2010, in seguito alla segnalazione di Foundem, un motore di ricerca per lo shopping online del Regno Unito. Terminate le verifiche, nel 2012 la Commissione aveva chiesto a Google di apportare alcune modifiche al suo sistema dei risultati per gli acquisti online, in cambio della chiusura dell’indagine senza una multa. Negli anni seguenti la procedura è però continuata, anche sulla spinta di altre aziende che hanno fatto pressioni nei confronti della Unione Europa, fino al punto in cui non è stato più possibile trovare un accordo per chiudere il contenzioso.
Google ora ha la possibilità di fare ricorso presso la Corte di giustizia europea, che potrebbe impiegare molti anni prima di arrivare a un verdetto. L’esito dell’appello è inoltre molto incerto e potrebbe sfavorire Google: in molti casi la Corte si è dimostrata più vicina alle posizioni della Commissione. L’azienda rischierebbe di ricevere ulteriori limitazioni, come avvenuto tre anni fa con il caso del “diritto all’oblio”, che ha obbligato Google a mettere in piedi una grande e costosa struttura che si occupa di rimuovere i contenuti “non più rilevanti”, su richiesta delle persone coinvolte.
La Commissione non ha inoltre finito di indagare su Google: quella dello shopping online era solo una parte delle attività in corso di verifica. L’Unione Europea sta valutando se Android, il sistema operativo per smartphone e tablet, sia usato da Google per favorire i suoi servizi e applicazioni a scapito della concorrenza, obbligando i produttori a installarle per potere avere il sistema operativo. La società si difende da queste accuse dicendo che questa strategia commerciale ha permesso di mantenere gratuite le licenze per Android, favorendo quindi gli utenti che possono acquistare dispositivi a prezzi più bassi. Altre indagini riguardano invece AdSense, il sistema che utilizza Google per vendere le pubblicità online e sul quale basa buona parte dei propri ricavi miliardari.