Un pezzo del “travel ban” di Trump torna in vigore
Lo ha deciso la Corte Suprema, che però si esprimerà a ottobre sulla legalità del blocco dell'immigrazione da sei paesi
La Corte Suprema degli Stati Uniti, il più importante ente giuridico del paese, ha deciso di esprimersi sui conflitti legali al cosiddetto “travel ban” (o “muslim ban“), una norma introdotta per ragioni di sicurezza dal presidente Donald Trump allo scopo di bloccare per 90 giorni gli ingressi negli Stati Uniti di persone provenienti da sei paesi, tutti a maggioranza musulmana, e che era stata successivamente bloccata e sospesa da due tribunali federali. I conflitti legali su cui si esprimerà la Corte Suprema sono in corso tra il governo degli Stati Uniti e un’associazione che difende i diritti civili, e tra il governo e due tribunali federali: la sentenza arriverà ad ottobre, ma l’effetto immediato della decisione della Corte sarà un parziale ritorno in vigore del “travel ban”.
Il “travel ban” era stato introdotto con un ordine esecutivo – che entra immediatamente in vigore –, riguardava le persone provenienti da Sudan, Siria, Iran, Libia, Somalia e Yemen e sospendeva per 120 giorni anche il programma di accoglienza dei rifugiati. Era stato molto contestato subito dopo la sua introduzione, e poi bloccato da due tribunali federali che lo avevano giudicato discriminatorio. La sentenza della Corte Suprema, che non sarà appellabile, risolverà la questione una volta per tutte. Secondo l’amministrazione Trump, questa norma temporanea doveva servire a rimettere in sesto gli apparati di sicurezza del paese; molti però avevano giudicato la norma discriminatoria, per l’apparente arbitrarietà con cui erano stati scelti i paesi in questione, per via di una precedente versione del decreto ancora più dura (anche questa bocciata dai tribunali federali) e per le cose dette da Donald Trump in campagna elettorale, per esempio la promessa di bloccare del tutto gli ingressi nel paese di persone musulmane.
In attesa della sentenza, che dovrebbe arrivare a ottobre, la Corte ha deciso però di rimuovere la sospensione del “travel ban” decisa dai tribunali federali: quindi il “travel ban” tra 72 ore tornerà in vigore per tutti i cittadini che provengono da quei sei paesi salvo – ha specificato la Corte – per quelli che possono dimostrare di avere una “legittima relazione” con una persona o con una società o istituzione negli Stati Uniti, per esempio un familiare o un’università o un datore di lavoro. Questi potranno continuare a entrare, seguendo le regole pre-esistenti per ottenere un visto o una carta verde; gli altri invece non potranno entrare nel paese.
Ora la Corte dovrà decidere, in sostanza, se la decisione di sospendere gli ingressi da questi sei paesi è in contrasto con quanto stabilisce il Primo Emendamento della Costituzione americana sulla libertà religiosa: cioè se costituisce una discriminazione su base religiosa. Apparentemente l’ordine esecutivo non lo fa, visto che la grandissima parte delle persone musulmane di tutto il mondo non è interessata dal divieto, ma i tribunali federali hanno usato la dura retorica anti-musulmana di Trump per sostenere che le motivazioni dell’introduzione del divieto fossero discriminatorie.