La rapina di Tbilisi, 110 anni fa
La storia incredibile dell'assalto a una carrozza portavalori che uccise 40 persone, organizzato da Lenin e Stalin per finanziare la rivoluzione comunista
Il 26 giugno del 1907 a Tbilisi, la capitale della Georgia – che allora faceva parte dell’Impero russo – c’era una grande agitazione di polizia intorno a piazza Erivan, una delle più importanti del centro. Le autorità zariste avevano saputo che qualche gruppo rivoluzionario stava preparando un attacco o qualcosa di simile, e avevano messo a presidiare la zona più poliziotti del solito. Intorno alle dieci e mezza di mattina attraversò la piazza una carrozza trainata da cavalli: a bordo c’erano due guardie armate, un contabile, un bancario, e centinaia di migliaia di rubli della Banca di Stato dell’Impero russo diretti a una filiale locale. I soldi non arrivarono mai a destinazione, perché la carrozza fu attaccata da un gruppo di bolscevichi armati di granate e pistole, che ribaltarono il centro della città e uccisero circa 40 persone per finanziare le attività della rivoluzione comunista.
In nome della rivoluzione proletaria
Nei primi anni del Novecento, il Partito Comunista Sovietico non esisteva ancora: al suo posto c’era il Partito Operaio Socialdemocratico Russo, fatto da due anime molto diverse, che però operavano ancora all’interno dello stesso partito: i menscevichi e i bolscevichi. Entrambi i gruppi erano concordi in linea di massima sulla necessità di una rivoluzione proletaria in Russia, ma i primi erano un po’ più moderati e tolleranti verso i partiti liberali, oltre a differenziarsi dai secondi per questioni più legate all’interpretazione filosofica dei testi di Karl Marx. I bolscevichi erano più radicali, e sostenevano lo strumento dell’esproprio proletario, cioè il sequestro o il furto di beni privati per finanziare le attività rivoluzionarie. Al Quinto congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, però, i menscevichi – contrari agli espropri – fecero approvare a grande maggioranza una risoluzione per proibirli.
Sebbene la risoluzione fosse stata votata anche da molti bolscevichi, i dirigenti del gruppo si rifiutarono di smetterla con le rapine: per questo, nell’aprile del 1907, decisero che ne avrebbero organizzata una a Tbilisi. Tra questi dirigenti c’erano Vladimir Lenin e Josif Stalin, oltre che Maxim Litvinov, futuro ministro degli Esteri dell’URSS, Alexandr Bogdanov, storico rivale di Lenin e medico dalle convinzioni singolari, e Leonid Krasin, importante diplomatico dei primi anni dell’Unione Sovietica. Ma fu Stalin la mente principale dietro la rapina di Tbilisi, che era la città in cui viveva insieme alla moglie Ekaterina e al figlio Yakov. Stalin era un esperto organizzatore di colpi, e si affidò a Simon Arshaki Ter-Petrosian, detto Kamo, un temutissimo criminale e suo amico d’infanzia, sul quale circolano ancora leggende terribili, tipo che avesse estratto con un coltello il cuore dal petto di un uomo che aveva scoperto essere una spia, per dare l’esempio agli altri compagni rivoluzionari.
Stalin usò un suo contatto nella filiale locale della Banca di Stato per ottenere informazioni sugli orari e i contenuti delle carrozze portavalori che attraversavano Tbilisi. Scoprì che doveva arrivare una grossa somma il 26 giugno di quell’anno, e insieme a Kamo e a Krasin costruì e riuscì a introdurre nel centro della città diverse bombe. Quel giorno, una ventina di rivoluzionari si ritrovarono in piazza Erivan, per poi dividersi e disporsi ciascuno in un posto strategico stabilito in precedenza. I rivoluzionari sapevano a loro volta che la polizia aveva dei sospetti, e misero delle vedette sui palazzi che davano sulla piazza, per tenere d’occhio gli spostamenti dei poliziotti. Quando arrivò la carrozza della banca, era scortata davanti e dietro da cosacchi a cavallo, e da un calesse pieno di soldati.
La maggior parte dei rivoluzionari si era vestita in modo anonimo e si era radunata in una taverna: tranne Kamo, che arrivò sulla piazza vestito da capitano di cavalleria e a bordo di un phaeton, una piccola carrozza sportiva scoperta. Contemporaneamente, i rivoluzionari uscirono dalla taverna sparando e lanciando bombe, seminando il panico tra i civili che erano nella piazza e in generale nel centro di Tbilisi, che fu devastato e preso dalla confusione. Le esplosioni ruppero i vetri delle case sulla piazza. Le bombe ferirono i cavalli della carrozza portavalori, che si ribaltò: uno dei complici prese i sacchi di denaro e li lanciò sulla carrozza di Kamo, che cercò di allontanarsi il più in fretta possibile. Come ha raccontato Simon Sebag Montefiore nel suo Giovane Stalin, uno dei saggi che contiene più informazioni sulla rapina di Tbilisi, Kamo fu fermato da un gruppo di poliziotti, davanti ai quali si finse un militare urlando: «Il denaro è al sicuro, andate in piazza!». Fu lasciato andare, e tornò al quartier generale dei rivoluzionari, dove si cambiò d’abito e incontrò i complici, che erano riusciti tutti a scappare. Le autorità dissero che i morti furono soltanto tre, ma gli storici concordano nel ritenere che furono circa 40. In totale, erano stati rubati 340mila rubli, l’equivalente di oltre 3 milioni di dollari di oggi.
Danni di immagine
Non fu mai chiaro cosa fece concretamente Stalin durante la rapina. Qualche testimone disse che era tra i ladri che assaltarono la carrozza, qualcun altro che assistette in disparte fumando una sigaretta, mentre qualche fonte negò che fosse sul posto. Un’altra teoria storicamente non accreditata sostiene che Stalin da giovane fosse stato un informatore dell’Ochrana, la polizia segreta zarista, e che avesse fornito dettagli sul colpo alle autorità.
I soldi rubati vennero cuciti in un materasso, che per un po’ rimase all’Osservatorio astronomico di Tbilisi, dove aveva lavorato Stalin. Poi Kamo spostò parte del denaro in Finlandia, a casa di Lenin, prima di comprarci armi in diverse città europee. In una di queste, Berlino, fu arrestato dalla polizia dopo una soffiata all’Ochrana. Lenin aveva intanto deciso di trasferirsi in Svizzera, perché le autorità zariste avevano inasprito le misure contro i rivoluzionari e le opposizioni. Con l’aiuto di una serie di complici e di falsari, cercò di farsi cambiare in stati diversi le banconote segnate, circa 250mila rubli di quelli ottenuti con la rapina. Nell’operazione, diversi complici furono arrestati.
Nonostante nessun responsabile della rapina fosse stato catturato, si capì in fretta che dietro al colpo c’erano i bolscevichi. Il partito reagì malissimo, con i menscevichi che condannarono duramente la rapina e isolarono ulteriormente Lenin, Stalin e i loro complici. Le conseguenze di immagine furono molto gravi in Georgia, dove i bolscevichi persero la loro popolarità nonostante le origini di Stalin, e anche tra gli altri partiti socialdemocratici europei. Si sarebbero rifatti pochi anni dopo, portando a termine la prima rivoluzione socialista della storia e instaurando un regime che sarebbe durato 74 anni.
La triste fine di Kamo
Prima che cominciasse il processo a Kamo a Berlino, Krasin riuscì a mandargli una lettera per consigliargli di fingersi pazzo, per ottenere una riduzione della pena. Kamo prese molto seriamente il suggerimento: rifiutò il cibo, tentò il suicidio in diversi modi diversi, e mangiò le proprie feci. Per mettere alla prova l’autenticità della sua follia, i medici tedeschi lo torturarono in diversi modi, trafiggendolo con aghi, ustionandolo e infilandogli spille sotto le unghie. Lui resistette, e nel 1909 fu dichiarato inadatto al processo e alla pena. Fu quindi trasferito in Russia, dove ripropose la sua impegnativa strategia: questa volta si mise a dare da mangiare a un uccello che teneva nella camicia durante l’udienza, e il processo venne sospeso. Anche i medici russi lo dichiararono malato di mente. Più avanti disse dei medici che lo avevano torturato: «certo, conoscono il loro mestiere, la loro scienza. Ma non conoscono i caucasici. Forse tutti i caucasici sono matti, per loro».
Nel 1911, mentre era rinchiuso nel reparto psichiatrico di una prigione di Tbilisi, riuscì ad evadere segando le sbarre della sua cella e calandosi con una corda che si era costruito. Raggiunse Lenin a Parigi, dove scoprì che durante la sua detenzione i dirigenti dei bolscevichi avevano litigato. Si rimise comunque a progettare rapine, ma nel 1913 fu nuovamente arrestato, e processato per la rapina di Tbilisi. Questa volta finse di essere guarito, ma disse di essersi dimenticato tutto durante la sua pazzia. Non funzionò, e ricevette quattro condanne a morte.
Per sua fortuna, in occasione dei festeggiamenti per il 300esimo anniversario della dinastia dei Romanov la sua pena, insieme a quella di molti altri prigionieri russi, fu commutata in un ergastolo. Fu poi liberato dopo la Rivoluzione d’ottobre, ma la sua cooptazione ai vertici del nuovo regime socialista fu da subito complicata. Dopo aver insistito a lungo, ottenne di poter compiere rapine e saccheggi oltre il confine occidentale dell’URSS, durante la Prima guerra mondiale. Finita la guerra svolse qualche incarico burocratico, senza grandi risultati. Fu investito mentre andava in bici nel 1922, in quello che si sospetta essere stato un omicidio politico ordinato da Stalin, preoccupato che Kamo potesse parlare delle cose spiacevoli fatte dai due in gioventù. La sua sepoltura avvenne con una cerimonia pubblica, sotto a un monumento a lui dedicato che sostituì uno precedente di Aleksandr Puškin, poco distante dalla piazza Erivan che quindici anni prima aveva messo a soqquadro con le sue bombe.