Il potere fa male al cervello
Secondo psicologi e neuroscienziati col tempo i leader perdono le doti che li hanno resi leader, e smettono di capire gli altri
Il potere cambia le persone. È un luogo comune, ma è anche un fenomeno che gli psicologi studiano da tempo. Alcune ricerche indicano che avere un incarico di potere e comandare sugli altri rende le persone più impulsive, meno prudenti e soprattutto meno capaci di mettersi nei panni altrui. Un articolo pubblicato dalla rivista Atlantic riassume e spiega tutti gli studi che sono stati fatti sull’argomento, a partire da quelli di Dacher Keltner, uno psicologo dell’Università di Berkeley, secondo cui gli effetti del potere sul cervello possono essere paragonati a quelli di una ferita. Keltner è giunto a questa conclusione osservando i comportamenti delle persone con un ruolo di potere, ma la sua teoria è sostenuta anche da analisi fatte direttamente sul cervello.
Sukhvinder Obhi, un neuroscienziato dell’Università McMaster dell’Ontario, ha confrontato i cervelli di persone con qualche forma di potere e persone senza, usando la tecnica della stimolazione magnetica transcranica (TMS), che permette di studiare il funzionamento dei circuiti e delle connessioni neuronali in modo poco invasivo: così ha scoperto che il potere danneggia il funzionamento dei neuroni specchio, quelli che si attivano sia quando si compie un’azione che quando la si vede fare da qualcun altro. Si pensa che i neuroni specchio siano la cosa che ci rende empatici, cioè capaci di capire i problemi altrui: per questa ragione i potenti avrebbero più difficoltà a mettersi nei panni dei loro sottoposti.
Gli studiosi si sono inventati vari modi per testare l’empatia delle persone. In uno studio del 2006 ai partecipanti era stato chiesto di disegnare la lettera E sulla propria fronte in modo che fosse leggibile ad altre persone. Per farlo in modo efficace è necessario scriverla al contrario rispetto a quanto si farebbe per leggerla dalla propria prospettiva, come il simbolo matematico di esistenza ∃, per intenderci. I partecipanti allo studio che si percepivano come potenti sbagliavano a scrivere la E tre volte più spesso degli altri. Questo studio ha fatto pensare a Jerry Useem, l’autore dell’articolo dell’Atlantic, a quella volta in cui, durante le Olimpiadi del 2008, l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush tenne in mano la bandiera americana al contrario.
La first lady Laura Bush suggerisce al marito di girare la bandiera che stava tenendo in modo sbagliato, il 10 agosto 2008, a Pechino (Shaun Botterill/Getty Images)
Altri esperimenti hanno mostrato che le persone potenti sono meno brave a capire cosa stia provando chi sta loro di fronte oppure a indovinare come un collega possa interpretare un’osservazione, e tendono a non ridere quando ridono gli altri. Queste incapacità possono essere controproducenti non solo per avere dei buoni rapporti con gli altri esseri umani, ma anche nell’esercizio del potere stesso. Per questo Keltner ha coniato l’espressione “paradosso del potere” per indicare che il potere toglie alle persone che lo esercitano alcune delle capacità che le hanno aiutate a ottenerlo.
In uno di questi studi sull’empatia Obhi e i suoi colleghi mostrarono a un gruppo di persone un video in cui si vede una mano che stringe una palla di gomma. Nei cervelli delle persone non potenti si attivarono gli stessi processi neurali che si sarebbero attivati se le persone avessero effettivamente stretto una palla con le loro mani. L’effetto era molto meno presente nei cervelli delle persone “potenti”, anche se in quel caso si trattava di semplici studenti a cui prima del test era stato chiesto di raccontare un’esperienza passata in cui avevano dovuto dare ordini agli altri. La tesi dei neuroscienziati è che l’effetto anestetico del potere sul funzionamento dei neuroni specchio sarebbe scomparso non appena avessero smesso di sentirsi potenti in virtù del ricordo evocato. Più importante però è la tesi secondo cui l’essere “esposti al potere” per molto tempo potrebbe causare dei cambiamenti di lunga durata nel cervello.
I risultati dell’esperimento non cambiarono nemmeno quando fu spiegato ai partecipanti il funzionamento dei neuroni specchio e lo scopo dello studio: i partecipanti potenti ebbero di nuovo una risposta minore al video con la palla di gomma. Questo dimostrò che i risultati della prima parte dello studio non dipendevano dall’impegno messo dai partecipanti “potenti”, ma da una vera incapacità.
Useem spiega che comunque i cambiamenti che avvengono nel comportamento di una persona a causa del potere non sono necessariamente dannosi per l’esercizio del potere stesso, lo sono solo in certi casi. Ad esempio, la diminuzione dell’empatia sembra legata all’esclusione da parte del cervello di tutte le informazioni secondarie, cosa che normalmente aiuta a essere più efficienti. Susan Fiske, una psicologa dell’Università di Princeton, sostiene che avere il potere renda inutile sviluppare la capacità di capire in fretta le altre persone: chi è potente non deve convincere nessuno, basta che dia ordini su quello che gli altri devono fare. Tuttavia l’empatia è utile per riuscire a mantenere il potere.
Gli psicologi hanno elaborato anche dei consigli per le persone potenti interessate a non perdere le loro capacità empatiche. Il primo è cercare di non sentirsi potenti, dato che in realtà il potere è prima di tutto uno stato mentale. Secondo uno studio pubblicato lo scorso febbraio sulla rivista Journal of Finance, gli amministratori delegati che da bambini hanno avuto esperienza di un disastro naturale nel quale sono morte molte persone sono molto meno portati a rischiare rispetto a quelli che invece non hanno avuto esperienze di questo tipo; quelli che invece hanno sperimentato un disastro naturale in cui non è morto nessuno, sono ancora più spericolati. Si pensa che il ricordo della propria impotenza, o viceversa quello della propria supposta invulnerabilità, abbia un ruolo nel modo in cui le persone si sentono più o meno potenti.
Useem cita un aneddoto raccontato spesso da Indra Nooyi, presidente e amministratrice delegata di Pepsi: quando nel 2001 tornò a casa piena di soddisfazione e orgoglio dopo essere stata nominata presidente, sua madre le chiese di andare a comprare il latte prima di darle le sue «grandi notizie». Nooyi lo fece, ma se la prese con sua madre che le disse: «Lascia la tua stupida corona nel garage». Questa storia è utile a Nooyi per il fatto che lei stessa la racconta: ricordarsi degli obblighi a cui tutte le persone sono sottoposte, lei compresa, la aiuta a essere obiettiva su sé stessa e considerare gli altri. Nell’aneddoto il ruolo della madre di Nooyi è quello del consigliere che tiene il potente ancorato a terra. Molti statisti del passato avevano una figura del genere: per il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt era il consigliere Louis Howe, che non smise mai di chiamarlo per nome invece che «presidente»; per il primo ministro britannico Winston Churchill era sua moglie Clementine, che gli consigliava di essere più gentile con i suoi sottoposti.